E’ stata una manifestazione con centinaia di migliaia di persone, libanesi e palestinesi dei campi profughi, quella di lunedì scorso nella parte meridionale di Beirut per protestare contro la decisione di Trump di “eleggere” Gerusalemme, o meglio Al Quds, come capitale unica di Israele. “Sta al popolo palestinese guidare la terza Intifada contro questa decisione” – ha dichiarato in un comizio televisivo il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah – “e sta alla Resistenza, palestinese e libanese, assumersi le proprie responsabilità per favorire l’unione di tutte le fazioni ed i partiti palestinesi e sostenere la causa di Gerusalemme contro il complotto americano”.
Nel suo discorso Nasrallah ha evidenziato come la decisione di Trump abbia infiammato e causato l’irritazione non tanto dei governi della regione, che si sono limitati a timide proteste contro Washington, ma soprattutto delle popolazioni arabe dal Maghreb fino al Medio Oriente.
Secondo il segretario di Hezbollah è evidente il fatto che gli USA non si possono e non si potranno più porre come i paladini o i mediatori nel processo di pace. In questi anni hanno dimostrato di essere solamente “i paladini di Israele o i paladini dell’ascesa del terrorismo jihadista dopo la disintegrazione dell’Iraq e la guerra in Siria”. Il quotidiano Al Akhbar ha riportato come la scelta di Trump fosse già stata sottoposta e condivisa dall’Arabia Saudita tramite gli stretti rapporti tra il genero di Trump, Jared Kushner, e il delfino di Riyadh, Mohamed Bin Salman (MBS).
Le dichiarazioni provocatorie dello stesso MBS nei confronti di Abu Mazen di “non considerare più Gerusalemme, ma piuttosto Abu Dis, come futura capitale di un possibile stato palestinese” ha aumentato solamente le defezioni di alcuni paesi, anche di alleati come Marocco o Giordania, nei confronti dell’Arabia Saudita.
Una simile decisione rischia di incendiare, però, tutta l’area con nuovi e sanguinosi conflitti. Non sembrano vane, ad esempio, le minacce di Nasrallah quando dichiara di voler aumentare l’appoggio del movimento sciita in termini di sostegno militare, logistico ed economico per la causa palestinese. Sulla stessa frequenza il comunicato del generale Qassem Soleimani, comandante della Brigata Al Quds dei Pasdaran (battaglione specializzato in azioni di sostegno in aree di conflitto esterne all’Iran), che ha dichiarato di aver comunicato con i comandanti di Hamas, Jihad Islamico e Fronte Popolare Liberazione Palestina a Gaza per garantire il proprio supporto per contrastare la violenta repressione di Tel Aviv contro le proteste palestinesi.
Proprio ieri il vice segretario del FPLP, Abu Ahmed Fuad, ha annunciato che “tutti i gruppi della Resistenza sono pronti per una nuova Intifada, grazie anche al sostegno e all’esperienza di Qassem Soleimani”, invitando lo stesso Abbas a partecipare ed unificare la leadership per una nuova lotta contro Israele.
La situazione sembra sul punto di poter esplodere anche in Iraq. Lo scorso venerdì, ad esempio, il leader del gruppo Harakat Al Nujaba (considerato come l’Hezbollah iracheno), Akram al Kaabi, ha minacciato di voler attaccare tutte le forze di occupazione americane presenti nel paese, dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli USA. Lo stesso Moqtada Al Sadr, considerato più vicino agli stati del Golfo, ha esortato Riyadh ad interrompere le sue guerre in Yemen, Siria e Bahrein ed a inviare i suoi jet militari per la difesa di Gerusalemme.
Nel suo ultimo editoriale sul quotidiano online Rai Al Youm, Abdel Bari Atwan afferma come Trump abbia fatto, insieme a sauditi e israeliani, l’ennesimo errore di valutazione, dopo la Siria. “Washington e Riyadh stimavano una reazione apatica della popolazione araba mentre, al contrario, i palestinesi oggi lottano insieme al rinnovato sostegno dei loro fratelli arabi e musulmani per ottenere la vittoria visto che Gerusalemme rimarrà la capitale della Palestina, l’intera Palestina”.
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