Della rete di uomini fidatissimi che ruota attorno alla ‘corona de facto’ di Mohammad bin Salman, dalle voci accreditate come quelle di cui si serve il quotidiano L’Orient le jour si possono ricostruire competenze e finalità dei più importati assistenti del nuovo potentato del Golfo. Tredici dei suoi quindici stretti collaboratori sono uomini che contano, parecchi prescelti direttamente da lui, altri accettati, uno imposto.
Legami di sangue – Iniziamo con gli uomini dei legami di sangue: un fratello, un cugino, un nipote. Fra costoro attualmente il più solido, nel ruolo di ministro dell’Interno, è il cugino Saud bin Nayef. 35 anni, studi e carriera tutti interni alla nazione saudita, è stato nominato alla carica nel giugno di quest’anno, una sorta di riparazione al ramo della sua famiglia, il cui zio Mohammad bin Nayaf era stato esautorato dal ruolo di principe ereditario. A vantaggio appunto di Mbs. Ma occhio al suo nipotino Ahmad bin Fahd. 31 anni e molte chances. Attualmente è vicegovernatore dell’enorme provincia orientale che affaccia sul Golfo Persico ed è anche la più ricca: Al Sharqiyya, dove si concentra anche gran parte della popolazione di fede sciita che vive in Arabia Saudita. Lì, a un centinaio di chilometri dalla città di Dhahran, è situato il più redditizio giacimento petrolifero del regno, Ghawar, dal quale vengono estratti 5 milioni di barili di greggio al giorno (oltre il 6% della produzione mondiale). Proiettarsi in un futuro prossimo al vertice dell’amministrazione economica di quella provincia significa controllare i forzieri del regno, infatti Mbs ha piazzato in loco il nipote. Forte già di suo, poiché la mamma Nouf possiede OSN, una delle maggiori reti televisive e satellitari mediorientali e ha anche la concessione locale degli affari di American Express. Nella triade di famiglia sicuramente il meno potente, così da non incentivarne velleità leaderistiche, è il fratellino Khaled bin, ventinovenne e pilota di aerei da guerra, formatosi nelle basi statunitensi. Il boy di famiglia (è il nono figlio di Re Salman) si occupa, accanto ai maggiori Fayçal bin e Turki bin, dei cospicui beni di famiglia.
Uomini chiave – Due elementi centrali del nuovo corso avviato da Bin Salman sono: Abdel Aziz bin Saud e Yasser El Roumayan. Relativamente più giovane il primo, 38 anni, che ricopre l’incarico di Capo di Stato maggiore delle forze di terra, lui stesso è un comandante dei reparti speciali dei parà. Quelli che rappresentano la punta di lancia saudita nella repressione ai ribelli Houti yemeniti. Bin Saud ricopre anche la carica di vicepresidente della Saudi Arabian Amiantit azienda che produce tubi in una trentina di fabbriche saudite e li esporta in 70 nazioni. El Roumayan ha il prestigioso ruolo di consigliere personale di Mbs ed è anche supervisore dei fondi sovrani. L’uomo riunisce funzioni politiche e intenti finanziari. In base al suo percorso accademico sul business e all’esperienza acquisita come intermediario di compagnìe occidentali è diventato dall’anno in corso Direttore del fondo pubblico d’investimento.
Figure strategiche – Strategico risulta il ministro dell’Energia Khaled El Faleh, che ha il non facile compito di far uscire il regno dalla centralità petrolifera. Il compimento della diversificazione economica, attualmente dipendente per il 70% dall’attività estrattiva, sarebbe previsto per il 2030. Come lui strategici sono: Saud El Qahtani e Mohammad El Houwerini. Il primo è presidente per la cyber sicurezza, apparati elettronici e consigliere per i media presso la Corte; il secondo è direttamente responsabile delle strutture di sicurezza. Gli obbediscono numerosi uffici e forze speciali più il Centro d’informazione e direzione generale degli affari tecnici. E’ considerato l’elemento che presiede gli scambi d’informazione fra Stati Uniti e Regno saudita riguardo al terrorismo internazionale. Mentre si deve a El Qahtani la virulenta campagna lanciata nei mesi scorsi contro il Qatar. Con essa ha fatto perseguire quei cittadini che sui social media mostravano solidarietà o simpatia verso la ricchissima nazione contigua. Una pratica repressiva e d’intimidazione degna dei peggiori inquisitori.
Propagandisti – Da non sottovalutare gli uomini dei media, dell’ideologia e della teologia. Anche qui due nomi: Turki El Dakhil e Awad El Maghanisi. El Dakhil è il direttore di Al Arabiya, sia nella versione di tv satellitare sia in quella diffusa in rete. Sin dalla fine degli anni Ottanta aveva sviluppato numerose esperienze con la carta stampata. Nei Novanta fu corrispondente da Riyadh di Radio Montecarlo che ne accrebbe la popolarità personale interna e all’estero. Diversi politologi lo indicano come elemento molto influente nella cerchia di Bin Salman. Occhio anche alla voce teologica del regime, ovviamente una delle voci, ma vicinissima al principe-sovrano. E’ il cinquantacinquenne Saleh bin Awad El Maghanisi, mufti ufficiale del Paese e da oltre un ventennio membro della Commissione della consapevolezza islamica. E’ presente nella moschea di Quba a Medina e offre i suoi contributi sulla dottrina islamica da vari canali televisivi e satellitari.
Esterni – Privi di keffia, anzi spesso con occhiali Ray ban l’uno e doppiopetto l’altro, Mohammad Eyad Kayali e Nehmé Tohmé, rispettivamente siriano e libanese sono due stranieri laici presenti a corte. I motivi stanno tutti nella diplomatica doppiezza che caratterizza la politica di Riyadh. Entrambi sono affaristi inseriti nei Palazzi di vari governi mediorientali e nelle fastose magioni reali del Golfo. Rappresentano pedine preziose per la diplomazia di Bin Salman. Il siriano gestisce da decenni gli investimenti di più d’un ramo dei regnanti sauditi. Affari che spesso hanno direzionato capitali in Spagna per finanziare operazioni della locale Real Casa, e fatto lavorare imprese iberiche nella penisola arabica. L’ultimo investimento di circa 7 miliardi di euro sostiene la creazione di una ferrovia superveloce fra La Mecca e Medina. Il businessman libanese è il regista di un’operazione che all’inizio dei Settanta inventò il gruppo Alhabani, il cui slogan è: “Da un grano di sabbia, progettiamo l’impossibile". Un impossibile fatto di aeroporti, autostrade, ponti, tangenziali e molte delle cattedrali architettoniche che l’Arabia Saudita sfoggia sull’orizzonte dei suoi deserti. Vicino all’immarcescibile leader druso Jumblatt, Nehmé Tohmé è anche stato il cassiere di buona parte dei petrodollari che hanno ricostruito la Beirut uscita dalla guerra civile, su cui i sauditi hanno sempre diretto lo sguardo affaristico e geopolitico, condizionandone l’establishment ben prima di tener ‘prigioniero’ Hariri junior.
L’imposto – A ultimare la lista degli uomini d’oro c’è un convitato di pietra: Ader Al Jubeir. Dire che sia gradito al nuovo corso è un’esagerazione. Lui è un politico espertissimo, vanta studi in vari Paesi orientali e occidentali, e negli anni Novanta ha affinato già spiccate qualità diplomatiche occupandosi di comunicazione in una fase delicatissima per il Regno saudita: il post 11 settembre. Al Jubeir è stato ambasciatore a Washington e da allora gode di amplissima considerazione negli ambienti della Casa Bianca, al di là di chi occupi lo Studio Ovale. Così si vocifera che nell’attuale prestigioso incarico di ministro degli Esteri ci sia lo zampino statunitense, che nel rapporto non sempre lineare con l’alleato saudita ha preferito avere un uomo di fiducia.
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