di Mohammed Ayesh* – Middle East Eye
Migliaia di giordani
sono scese in strada per esprimere la loro rabbia contro la decisione
del presidente statunitense Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come
capitale d’Israele. Gerusalemme costituisce un tema molto sensibile per
Amman per una serie di motivi di sicurezza e politici. La Giordania,
che è sempre stata una costante in qualsiasi negoziato di pace che ha
avuto luogo dall’inizio del processo politico di Madrid nel 1990, oggi
si sente isolata e marginalizzata. La decisione di Trump, secondo il suo
punto di vista ufficiale, costituisce una minaccia all’identità e al
futuro del Paese.
Il fattore demografico
I motivi strategici hanno innanzitutto a che fare con la demografia
della Giordania. Più della metà dei giordani è di origine palestinese,
tra questi vi sono anche quelli che sono stati sfollati da Gerusalemme
in seguito alla guerra del 1967. Inoltre, la maggior parte dei residenti
di Amman, la capitale, è costituita sia da rifugiati palestinesi sia da
palestinesi con cittadinanza giordana.
Ci sono crescenti paure che la decisione di Trump su Gerusalemme
potrebbe creare grosse agitazioni popolari nelle strade giordane simili –
o forse maggiori – alle manifestazioni di rabbia sociale che il regno
ha vissuto quando Ariel Sharon ha assaltato la Moschea di al-Aqsa nel
settembre del 2000. Allora, i manifestanti giordani arrivarono quasi ad
attaccare l’ambasciata israeliana ad Amman e furono tenuti a una
distanza di 100 metri dai suoi cancelli.
Un secondo fattore importante è che la Giordania ha l’incarico di
gestire i siti sacri di Gerusalemme, tra cui la moschea di al-Aqsa, sia
per tradizione sia in base al trattato di pace con Israele del 1994. Ogni
sfida allo status quo religioso nella Città Santa colpisce al cuore la
legittimità hashemita sia in Giordania che nel mondo arabo. Parlando in
parlamento, nel 2014 re Abdallah sottolineò: “La Giordania continuerà ad
opporsi, con tutti i mezzi disponibili, alle politiche unilaterali e
alle disposizioni israeliane e salvaguarderà i suoi siti sacri cristiani
e musulmani”. Pertanto la percezione generale tra la maggior parte dei
palestinesi e degli arabi è che la monarchia hashemita ne sia la loro
protettrice a Gerusalemme.
Giordania emarginata?
Un terzo fattore è l’articolo nono del Trattato di pace del 1994 tra
Israele e Giordania che stabilisce: “Israele dovrà rispettare il ruolo
attuale attribuito al Regno hashemita di Giordania nei luoghi sacri
islamici di Gerusalemme, e quando si avranno i negoziati sullo status
finale, Israele dovrà dare grande priorità al ruolo storico giordano in
questi siti”. In altre parole, ogni cambiamento introdotto allo status
legale della città in qualunque negoziato politico per un accordo di
pace dovrebbe tenere in considerazione i giordani. Attraverso questo
articolo, il defunto re Hussein di Giordania riuscì a strappare un
riconoscimento americano e israeliano sul ruolo giordano di Gerusalemme.
Per tale motivo, Amman dovrebbe essere un attore importante in
qualunque negoziato finale di pace nella regione.
La Giordania ha ora l’impressione che il suo ruolo nella
questione palestinese in particolare, e nella regione in generale, sia
marginale. Il recente riavvicinamento tra diversi Paese arabi –
soprattutto del Golfo – e Israele ha escluso la Giordania. Amman
considera questo una minaccia al Paese e alla sua identità poiché il
destino di milioni di rifugiati palestinesi e di Gerusalemme viene
discusso senza che il regno hashemita sia coinvolto nel processo
decisionale.
Da quando è iniziato il processo politico nella regione con la
Conferenza di Madrid durante la quale la delegazione giordana incluse i
palestinesi, questo tentativo di esclusione della Giordania rappresenta
un cambiamento significativo e senza precedenti. I tentativi
internazionali e americani di estromettere la Giordania potrebbero
esacerbare la crisi economica del Paese. La tensione tra Amman e
Washington potrebbe danneggiare l’aiuto che gli Usa forniscono alla
Giordania stimato al momento a circa il 10% del budget nazionale.
Ultimamente, inoltre, la crisi economica è peggiorata e potrebbe
ulteriormente aggravarsi in futuro a causa della situazione nel Golfo
[l’embargo imposto sul Qatar, ndr] e per la tensione tra la Giordania e
alcuni stati del Golfo. Gli aiuti dell’Arabia Saudita e del Qatar
continuano a mancare. Per tutti questi motivi la Giordania sta bollendo.
La monarchia giordana considera la decisione americana una violazione
del trattato di pace firmato sotto gli auspici di Washington. Per la
prima volta re Abduallah ha twittato in sostegno dei manifestanti
giordani contro la decisione Usa e ha difeso Gerusalemme come città
araba, non come capitale d’Israele.
Rivedere il trattato di pace
Contenere la rabbia popolare causata dalla decisione [di Trump] è una
delle principali preoccupazioni del governo [giordano] nella crisi in
corso tra la Giordania e Israele scoppiata lo scorso luglio dopo che un
impiegato dell’ambasciata israeliana ha ucciso due cittadini giordani. A
livello ufficiale, l’atto più significativo è stato preso dal
parlamento quando ha deciso, per la prima volta nella sua storia, di
rivedere gli accordi siglati con Israele, compreso il trattato di pace.
Quattordici parlamentari hanno firmato una lettera per annullarlo. Per
la legge giordana, ogni proposta che è stata sostenuta da 10 o più
deputati deve essere discussa e votata nel parlamento.
Se non è ancora chiaro quando il capo del parlamento ne fisserà la
discussione e se sarà o meno cancellata, quello che è certo, comunque, è
che è stato mandato un forte messaggio a Israele. Ciò significa infatti
che dovrà essere votata una proposta che revoca la precedente legge che
ratifica l’accordo di pace. Nel caso in cui la maggioranza dei membri
del parlamento approvi la bozza avanzata, la Giordania dovrà sospendere
l’accordo di pace che [così] diventerà nullo. Questo atto è di gran
lunga la minaccia più significativa e seria al trattato di pace [con
Israele] dalla sua firma avvenuta nel 1994. I giordani ritengono che
queste intese regionali, compreso il cosiddetto “accordo del secolo”,
non sono per loro vantaggiosi. Lo scoppio di una nuova Intifada nei
Territori palestinesi, inoltre, rappresenterà automaticamente un pesante
fardello securitario, economico e politico per la Giordania che ora
conta più di 10 milioni di persone rispetto ai 4 milioni di quando è
scoppiata la precedente Intifada del 2000.
*Mohhamed Ayesh è un giornalista arabo attualmente di stanza a Londra.
(La traduzione dell’articolo è a cura della redazione di Nena News)
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