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25/12/2017

Niamey bel suon d’amore. Corsi e ricorsi del nostro colonialismo

La volpe perde il pelo ma non il vizio. La saggezza latina aveva tradotto così la difficoltà, a volte insuperabile, ad operare cambiamenti significativi di comportamento. Tripoli e il bel suono d’amore fu inventato e cantato prima della conquista libica nel 1911. Passato al setaccio il testo conteneva in nuce gli ingredienti che il fascismo avrebbe portato a compimento con radicale ferocia in Libia e Etiopia in particolare.

Da Niamey a Tripoli il viaggio è lungo, accidentato e adesso quasi proibito dalle circostanze avverse. Da Agadez si transita a Dirkou e poi a Madama, antico fortino francese rivisto e corretto da un aeroporto di sabbia che ospita velivoli dell’operazione Barkhane, basata nella capitale del Tchad. Il confine con la Libia non è lontano e un tempo arrivare a Tripoli era un gioco da commercianti.

Il bel suon d’amore ricordava che quanto prima avrebbe dovuto sventolare il Tricolore sulle torri, al rombo dei cannoni, naviga o corazzata, benigno è il vento e dolce la stagion, Tripoli, terra incantata, sarai italiana al rombo del cannon. Il rombo del cannon, tanto per mettere in chiaro le cose, è ripetuto sei volte. Va e spera soldato, Vittoria è colà... Hai teco l’Italia, che gridati: Và!

Non si tratta dell’inno alla nazionale esclusa peraltro dai mondiali di calcio, quanto dell’inno alla conquista coloniale in seguito allo sfaldamento dell’impero ottomano. Sul mar che ci lega, coll’Africa d’or, la stella d’Italia, ci addita un tesor. Nel frattempo il mare è un cimitero non ancora battezzato. Mentre i vari giacimenti d’oro del Niger e dintorni sono stati chiusi ai cercatori per timore che i migranti usino l’oro per pagarsi il resto del viaggio.

Tutti concordi col patto firmato tra i due ministri della difesa, l’italiana Roberta Pinotti e il nigerino Kalla Moutari. Per il parlamento italiano in fase di smobilitazione e con gli occhi perduti sulle prossime elezioni, approvare l’invio dei militari italiani nel Niger assomiglia ad una partita truccata. Neppure gli ultimi ritrovati della tecnica arbitrale potranno fermare il corso della storia. Era scritto sulla sabbia che l’Italia, col Tricolore da far sventolare sulle dune mobili del deserto, era destinata a far risuonare il rombo dei cannoni, o in cambio quello dei camion e dei carri per rallegrare il triste silenzio del deserto dei nomadi. L’articolo 11 della Costituzione del Tricolore ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali non è ripetuto sei volte come per i cannoni.

L’Italia non va in guerra, la protegge, soprattutto quella contro i migranti inconfessata ma non troppo, rinasce, proprio sotto natale, l’antica idea coloniale di un posto alla sabbia del sole. La stella d’Italia, quella di Negroni si distingue per chiarezza e sapore. Il Tricolore ci lega al mare di sabbia di una probabile presenza a Madama, con l’aeroporto per avvistare cammelli sperduti, trafficanti di cocaina, armi, terroristi potenziali che sono trasformati in migranti a seconda degli interessi.

Il vento è caldo, torrido, la stagione è secca e le temperature da far saltare anche i termometri più preparati, rimane dunque il rombo dei cannoni, da ripetere più volte per far capire che adesso, nel Niger, nel deserto rosso ci siamo anche noi. Con tanto di ambasciata da inaugurare.

Un’altra missione di pace coi militari, le armi, i mezzi necessari, il ripudio della guerra è stato ripudiato e si sviluppano altre carte costituzionali fatte di sabbia, sole e suon d’amore alla maniera di Tripoli. Niamey è la capitale del Niger dove ieri, nel pomeriggio, e oggi, è di visita Macron, l’Emmanuele transalpino che si trasforma in venditore ambulante di armi per le compagnie francesi dovunque passa la sua diplomazia da banchiere ormai presidente. Anche l’Italia c’è, dove più magico è il sol del mar che ci lega agli interessi.

Niamey, dicembre 017

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