La svola “normalizzatrice” imposta da Grillo con la nomina di Luigi Di Maio a “capo politico” era già stata abbastanza evidenziata da una serie di passaggi. La visita a Cernobbio, tesa a rassicurare la presunta classe imprenditoriale italiana e internazionale. Un modo di suggerire l’idea che “non vi preoccupate se faccio discorsi incendiari e populisti, non ce l’abbiamo con voi”.
Idem per un altro classico, altrettanto necessario per l’accredito internazionale di un candidato premier: il viaggio a Washington, per quanto snobbato dagli alti livelli dell’amministrazione. Niente più critiche alla Nato, niente più velate minacce di “neutralità” militare. Anche coi grillini al governo l’Italia resterebbe il pilastro mediterraneo dell’Alleanza Atlantica.
A quel punto si attendeva che Giggetto camica-e-cravatta (sembra sia nato già vestito così...) completasse il trittico con una bella visita a Gerusalemme, completa di servizio fotografico con la kippah e la stretta di mano al fucilatore di palestinesi, anche se disabili...
E invece Giggetto ha deciso di sorprenderci. L’ha fatto con una intervista a Radio Capital (nomen omen, in fondo voleva farsi capire da quelle parti...):
“Se alle elezioni dovessimo ottenere il 40%, potremmo governare da soli. Se non dovessimo farcela, la sera delle elezioni faremo un appello pubblico alle altre forze politiche che sono entrate in Parlamento presentando il nostro programma e la nostra squadra. E governeremo con chi ci sta”.
La normalizzazione a tappe forzate manda così in soffitta l’unico vero elemento di “diversità” che restava ai Cinque Stelle: non ci mischiamo con gli altri partiti che ecc ecc...
Certo, qui la possibilità di governi di coalizione è ancora esclusa; in fondo si limita a dire “noi faremo il governo e gli, se vogliono, ci votano”. Ma non bisogna essere degli scienziati della politica per sapere che, in Italia, nessuno – in Parlamento, soprattutto – ti vota gratis.
Un grillino pervicace potrebbe obiettare che “vabbè, imbarcheremo qualcuno, ma sul nostro programma”. Gli daremmo ragione se i Cinque Stelle avessero un programma che va al di là dell’“abolizione dei vitalizi ai parlamentari” (spiccioli, seppure odiosi, in proporzione alla spesa pubblica). Memorabile, in questo senso, l’esibizione della loro “esperta economica”, Laura Castelli, interrogata dalla navigata Lilli Gruber sul tema dell’euro (su cui i grillini avevano promesso un referendum):
“Cosa voterei al referendum per uscire dall’euro? Non lo so”.Ecco, un partito-movimento cosiffatto, che sta dando a Roma e Torino prove di sordità totale rispetto ai bisogni elementari della parte meno protetta della popolazione, poteva vantare ancora un unico punto di reale differenza radicale rispetto agli altri competitor: l’indisponibilità a fare coalizioni con “chi ha rovinato il paese”, “servito le banche”, ecc, ecc, ecc.
Luigi Di Maio manda il segnale: dopo il voto, vedremo. Come i democristiani di lungo corso, presso cui – pare evidente – ha fatto i corsi di recupero.
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