Se ne parla da anni, e ogni giorno che passa diventa più probabile. L’egemonia quasi assoluta del dollaro sul sistema monetario mondiale è l’architrave dell’economia post-bellica e, a maggior ragione, di quella post-caduta del Muro.
Come per tutte le cose umane, anche questo dominio ha un inizio, una durata e una fine. Dipende dal “contesto”, favorevole oppure no alla sopravvivenza di un certo assetto internazionale, dall’evoluzione della tecnologia, dall’aggressività del capitale privato, ecc.
Elementi molto seri per inquadrare il problema vengono da un editoriale di TeleBorsa, che ricorda come “Il controllo della moneta, e delle sue transazioni è vitale per tutti, sia per i privati che per gli Stati”. La moneta è insomma un elemento “strutturale” del sistema economico, che però cambia forma e “fonti di controllo” nel tempo.
In pochi decenni siamo passati dal contante come unico mezzo di circolazione e pagamento, condizionato territorialmente dallo Stato che emetteva una certa moneta, a un sistema quasi totalmente informatizzato su scala planetaria.
Il controllo della moneta è dunque diventato complicato per chi “batte” una moneta. Ossa, nel vecchio mondo, per gli Stati (che sono ovviamente molto diversi tra loro, per potenza economica e militare, e dunque anche per forza delle rispettive monete).
Per di più, molti Stati – per esempio tutti quelli aderenti all’Unione Europea – hanno perso quel controllo, che è passato a banche centrali largamente indipendenti dal potere politico. E che a loro volta si vanno lentamente trasformando in fornitrici di liquidità al sistema finanziario, al limite anche in “lavatrici” che ritirano titoli-spazzatura sul mercato e ricostruiscono così l’arsenale con cui “i mercati” controllano o condizionano le politiche economiche dei singoli Stati.
Secondo elemento. Le transazioni digitali di denaro avvengono su piattaforme informatiche in parte statali (e controllate da agenzie incaricate di contrastare, tra l’altro, l’evasione fiscale) e in parte sempre più rilevante private.
Terzo. L’irruzione delle criptomonete ha rotto il monopolio pubblico della creazione di moneta nello stesso momento in cui “il pubblico”, in gran parte del mondo, perdeva il controllo assoluto delle banche centrali. Di fatto, dal Bitcoin in poi, è possibile che dei privati creino moneta convertibile in ogni altra (quelle “statali” di ogni Paese, tranne alcuni), operando in concorrenza con il potere politico su questo terreno un tempo sovrano per definizione.
Quarto. Il sistema bancario privato di tutto il mondo, cresciuto operando con monete statali “garantite”, benché sottoposte entro certi limiti alle normali oscillazioni di mercato, perde l’esclusiva che l’ha fatto potente: intermediare la circolazione del denaro raccogliendo depositi (dallo stipendio individuale alle grandi fortune mobiliari) e fornendo prestiti contro il pagamento di un interesse.
Qualsiasi transazione monetaria, per il pagamento di qualsiasi merce, in qualsiasi quantità, è quindi teoricamente possibile in qualunque moneta del mondo. Pubblica o privata. Non è ancora così, naturalmente, ma la tendenza oggettiva spinge in questa direzione, cavalcando lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la “libertà di impresa”.
Questo apparente “regno della libertà” è però un inferno assoluto, perché dominato dall’incertezza e dall’assenza di un vero potere di controllo (che è un bisogno dei sistemi complessi, non una questione ideologica).
Il valore di scambio di ogni moneta – specie di quelle “crypto” private – è altamente volatile. Cambia di ora in ora con oscillazioni fortissime. I “contratti di consegna a tre mesi”, per esempio, come possono essere rispettati se l’unità di misura del valore – la moneta, appunto – è inconoscibile con certezza da qui a domani?
Di fatto, tutti gli Stati sono “minacciati” dalla concorrenza delle tecnomonete e reagiscono, in diversi casi, lavorando all’ipotesi di elaborare proprie criptomonete, su piattaforme rigidamente controllate.
Detta così, la soluzione apparirebbe semplice: basta vietare le cripo private e il problema non si pone. Ma ogni “privato” ha il suo “governo di riferimento”. Per esempio Facebook che voleva lanciare la crypto Libra è stata stoppata dal governo Usa, perché avrebbe “oggettivamente” reso il dollaro una moneta qualsiasi, anziché il re del sistema monetario.
Dunque, vietare una moneta privata altrui – di altra area geopolitica – diventa argomento di contesa fra Stati. È successo per Huawei, figuriamoci cosa sarebbe accaduto se Libra avesse preso il via ma fosse stata vietata in Cina o Russia...
Oppure, ogni governo si fa la sua crypto statale, così controlla anche meglio – anzi, totalmente – qualsiasi transazione monetaria e può azzerare l’evasione fiscale, il riciclaggio, gli introiti mafiosi, ecc. Lodevole eticamente, ma – in presenza di crypto private – impossibile tecnicamente. Una marea di capitali privati, a quel punto, migrerebbero istantaneamente, con un click, verso le piattaforme private. Per non pagare le tasse, l’argomento più semplice.
Come si vede, la “soluzione” non è neppure alle viste. In linea astratta – wishful thinking – ci vorrebbe un governo mondiale (pubblico e orientato al soddisfacimento dei bisogni sociali, non del profitto privato; comunismo, insomma), ma non sembra per ora all’ordine del giorno.
Quindi bisogna far caso alle piccole mosse per “saggiare” la reazione dei mercati e dei potenziali avversari. Come sta facendo la Cina con il lancio della sua “valuta digitale ufficiale, già acquistabile attraverso una piattaforma privata di pagamenti: su YuanPay.com”.
Nulla di immediatamente sconvolgente, appunto, ma... il dollaro, in questo maelstrom incontrollato e fin qui incontrollabile, che fine fa? Che sorte attende quella moneta “fiduciaria” che tutti accettano a occhi chiusi, che funziona contemporaneamente come mezzo di circolazione interno a un Paese, mezzo di circolazione mondiale, strumento di tesaurizzazione, unità di misura degli scambi di merci, ecc?
Che fine fa quel potere straordinario del governo Usa, tramite la Federal Reserve, consistente nello “stampare moneta” per risolvere le proprie crisi interne a spese del resto del mondo? Cioè nel dare dei “pagherò” in cambio di merci concrete?
Fonte
C'è un dato che il testo interessantissimo di Piccioni non pone sotto la luce che merita: il fatto che sia proprio la Cina a testare per prima una valuta digitale ufficiale (in realtà non è così perchè in Venezuela hanno creato da un po' il Petro, ma si può convenire che il peso internazionale del sistema economico-finanziario venezuelano non sia quello cinese...).
La Cina, può permettersi un simile lusso senza determinare istantanei sconquassi sull'architettura finanziaria globale o venire da questa pesantemente penalizzata perchè il proprio mercato finanziario è estremamente regolato dall'autorità pubblica che a seconda delle necessità del sistema Paese stabilisce in quale misura e in quali tempi aprirlo o chiuderlo ai flussi di capitali internazionali che scorrazzano per le piazze finanziarie globali.
Certo i cinesi partono "in vantaggio" perchè un mercato aperto e deregolamentato non lo hanno mai avuto, ma anche dalle nostre parti la cosa non è infattibile, perchè gli strumenti per operare la "repressione finanziaria" – per dirla con Brancaccio – ci sono, mancano soltanto le classi dirigenti che vogliano e siano capaci di implementarli.
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