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25/08/2020

“Tutta colpa dei sindacati”: il mantra reazionario di Galli della Loggia

Una delle caratteristiche peculiari della rivoluzione boliviana è consistita nello sforzo di cooptare/integrare una serie di associazioni intermedie – movimenti, sindacati ecc. – nella gestione del potere statuale. Del resto, lo stesso presidente Evo Morales era un leader del sindacalismo indio e non un politico (i partiti della sinistra tradizionale non erano mai riusciti a conquistare il potere e, dopo la svolta “etnicista” dei movimenti contadini, sono stati integrati nel blocco sociale e politico del MAS, il Movimento al Socialismo guidato da Morales e dal vicepresidente Linera).

Nei suoi libri (vedi fra gli altri “Democrazia, Stato, Rivoluzione”, recentemente tradotto da Meltemi) Linera spiega bene il processo attraverso il quale una serie di lotte contro il regime neoliberista hanno dato vita al fronte che ha consentito l’elezione di Morales e la sua conferma (fino al golpe di destra di pochi mesi fa). Spiega inoltre come la sfida più ardua che il nuovo regime ha dovuto affrontare è stata la necessità di riformare quelle strutture statali (burocrazia, magistratura, esercito, sistema educativo ecc.) in cui erano profondamente radicati (attraverso corruzione, legami famigliari, interessi trasversali di élite e lobby economiche, politiche, accademiche e mediatiche) i rapporti di forza di un secolo di dominio coloniale e post coloniale. Uno sforzo riuscito solo in parte, come il successo della controrivoluzione ha dimostrato.

È significativo che una delle più frequenti critiche “di sinistra” rivolte al governo rivoluzionario, fosse quella di avere costruito un dispositivo di governance “corporativa”, in cui il potere decisionale, invece di essere monopolizzato dalle tradizionali strutture e procedure istituzionali (governo, parlamento, democrazia rappresentativa ecc.) veniva condiviso con una serie di movimenti e con i corpi intermedi che ne erano espressione (Linera parlava, in proposito, di “potere della moltitudine”, termine cui dava un significato diverso da quello attribuitogli da Antonio Negri, in quanto non riferito a un insieme di “singolarità” bensì a una aggregazione di soggetti collettivi sindacalmente e politicamente organizzati).

Questo dibattito mi è tornato in mente leggendo un articolo di Ernesto Galli della Loggia, uscito sul Corriere di sabato 22 agosto (“Lo strapotere dei sindacati nella scuola”). Al piano terra del ministero dell’Istruzione, scrive uno scandalizzato Galli della Loggia, si trovano “non si riesce a capire bene autorizzati quando e da chi”, uffici sindacali che in quanto “associazioni private” non hanno titolo di usufruire di quegli spazi pubblici (lo scandalo per l’abuso del potere “privato” riguarda sempre le rappresentanze delle classi subalterne, mai l’occupazione sistematica di funzioni pubbliche da parte di rappresentanti del potere economico, vedi il meccanismo delle “porte girevoli”, che consente a “esperti” già consulenti di grandi gruppi finanziari di divenire ministri della Repubblica o, vedi il caso di Monti, Presidenti del Consiglio).

L’articolo prosegue attribuendo al decennale “strapotere sindacale”, tutti i guai del nostro sistema educativo (le deliranti “riforme” inanellate da governi di destra e sinistra nell’ultimo mezzo secolo non c’entrano nulla!) e inneggiando alla fermezza con cui la ministra Azzolina (da quando si sono “normalizzati” gli esponenti del M5S – anche i più palesemente mediocri – non hanno mai raccolto tanti elogi) “ha coraggiosamente denunciato la resistenza strenua al rinnovamento dei sindacati stessi”.

Esempio di tale resistenza, continua il nostro, sono le polemiche sulla ripresa delle lezioni e sulle garanzie di sicurezza che, bontà sua, riconosce che sono una “questione cruciale”, la quale tuttavia, “si presta fin troppo bene a essere oggetto di agitazione a base di facili (!?) denunce di ritardi e contraddizioni”. Ovviamente per il nostro non spetta ai lavoratori (il che vale, implicitamente, non solo per gli insegnanti ma anche per operai e impiegati delle imprese private) stabilire quale livello di rischio sia accettabile, bensì agli “scienziati”, prontamente evocati in veste di esperti per tacitare dubbi e paure del popolo ignorante.

Dubbi che non possono non aumentare di fronte allo spettacolo delle baruffe fra “competenti” che litigano sostenendo tutto e il contrario di tutto. La gente non si fida, si mette di traverso alle sagge decisioni di istituzioni ed esperti? Colpa dello spirito distruttivo ispirato “al più gretto corporativismo”. La canzone cara ai conservatori e alle sinistre “liberal” latinoamericane, che prima denunciano le pratiche antidemocratiche dei vari Morales, Correa, Lula, Maduro, poi versano lacrime di coccodrillo quando al potere arrivano i Bolsonaro, risuona insomma anche alle nostre latitudini, e risuonerà più forte a mano a mano che bisognerà convincere le persone a immolarsi per rilanciare l’economia a rischio della propria pelle, soprattutto perché ci vedremo presto presentare il conto dei “generosi aiuti” che la Ue ci ha appena elargito (pardon che, forse ci verranno elargiti, se faremo i bravi).

Carlo Formenti

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