Una delle caratteristiche peculiari della rivoluzione boliviana è
consistita nello sforzo di cooptare/integrare una serie di associazioni
intermedie – movimenti, sindacati ecc. – nella gestione del potere
statuale. Del resto, lo stesso presidente Evo Morales era un leader del
sindacalismo indio e non un politico (i
partiti della sinistra tradizionale non erano mai riusciti a conquistare
il potere e, dopo la svolta “etnicista” dei movimenti contadini, sono
stati integrati nel blocco sociale e politico del MAS, il Movimento al
Socialismo guidato da Morales e dal vicepresidente Linera).
Nei suoi libri (vedi fra gli altri “Democrazia, Stato, Rivoluzione”,
recentemente tradotto da Meltemi) Linera spiega bene il processo
attraverso il quale una serie di lotte contro il regime neoliberista
hanno dato vita al fronte che ha consentito l’elezione di Morales e la
sua conferma (fino al golpe di destra di pochi mesi fa). Spiega inoltre
come la sfida più ardua che il nuovo regime ha dovuto affrontare è stata
la necessità di riformare quelle strutture statali (burocrazia,
magistratura, esercito, sistema educativo ecc.) in cui erano
profondamente radicati (attraverso corruzione, legami famigliari,
interessi trasversali di élite e lobby economiche, politiche,
accademiche e mediatiche) i rapporti di forza di un secolo di dominio
coloniale e post coloniale. Uno sforzo riuscito solo in parte, come il
successo della controrivoluzione ha dimostrato.
È significativo che una delle più frequenti critiche “di sinistra”
rivolte al governo rivoluzionario, fosse quella di avere costruito un
dispositivo di governance “corporativa”, in cui il potere decisionale,
invece di essere monopolizzato dalle tradizionali strutture e procedure
istituzionali (governo, parlamento, democrazia rappresentativa ecc.)
veniva condiviso con una serie di movimenti e con i corpi intermedi che
ne erano espressione (Linera parlava, in proposito, di “potere della
moltitudine”, termine cui dava un significato diverso da quello
attribuitogli da Antonio Negri, in quanto non riferito a un insieme di
“singolarità” bensì a una aggregazione di soggetti collettivi
sindacalmente e politicamente organizzati).
Questo dibattito mi è tornato in mente leggendo un articolo di
Ernesto Galli della Loggia, uscito sul Corriere di sabato 22 agosto (“Lo
strapotere dei sindacati nella scuola”). Al piano terra del ministero
dell’Istruzione, scrive uno scandalizzato Galli della Loggia, si trovano
“non si riesce a capire bene autorizzati quando e da chi”, uffici
sindacali che in quanto “associazioni private” non hanno titolo di
usufruire di quegli spazi pubblici (lo scandalo per l’abuso del potere
“privato” riguarda sempre le rappresentanze delle classi subalterne, mai
l’occupazione sistematica di funzioni pubbliche da parte di
rappresentanti del potere economico, vedi il meccanismo delle “porte
girevoli”, che consente a “esperti” già consulenti di grandi gruppi
finanziari di divenire ministri della Repubblica o, vedi il caso di
Monti, Presidenti del Consiglio).
L’articolo prosegue attribuendo al decennale “strapotere sindacale”,
tutti i guai del nostro sistema educativo (le deliranti “riforme”
inanellate da governi di destra e sinistra nell’ultimo mezzo secolo non
c’entrano nulla!) e inneggiando alla fermezza con cui la ministra
Azzolina (da quando si sono “normalizzati” gli esponenti del M5S –
anche i più palesemente mediocri – non hanno mai raccolto tanti elogi)
“ha coraggiosamente denunciato la resistenza strenua al rinnovamento dei
sindacati stessi”.
Esempio di tale resistenza, continua il nostro, sono le polemiche
sulla ripresa delle lezioni e sulle garanzie di sicurezza che, bontà
sua, riconosce che sono una “questione cruciale”, la quale tuttavia, “si
presta fin troppo bene a essere oggetto di agitazione a base di facili
(!?) denunce di ritardi e contraddizioni”. Ovviamente per il nostro non
spetta ai lavoratori (il che vale, implicitamente, non solo per gli
insegnanti ma anche per operai e impiegati delle imprese private)
stabilire quale livello di rischio sia accettabile, bensì agli
“scienziati”, prontamente evocati in veste di esperti per tacitare dubbi
e paure del popolo ignorante.
Dubbi che non possono non aumentare di fronte allo spettacolo delle
baruffe fra “competenti” che litigano sostenendo tutto e il contrario di
tutto. La gente non si fida, si mette di traverso alle sagge decisioni
di istituzioni ed esperti? Colpa dello spirito distruttivo ispirato “al
più gretto corporativismo”. La canzone cara ai conservatori e alle
sinistre “liberal” latinoamericane, che prima denunciano le pratiche
antidemocratiche dei vari Morales, Correa, Lula, Maduro, poi versano
lacrime di coccodrillo quando al potere arrivano i Bolsonaro, risuona
insomma anche alle nostre latitudini, e risuonerà più forte a mano a
mano che bisognerà convincere le persone a immolarsi per rilanciare
l’economia a rischio della propria pelle, soprattutto perché ci vedremo
presto presentare il conto dei “generosi aiuti” che la Ue ci ha appena
elargito (pardon che, forse ci verranno elargiti, se faremo i bravi).
Carlo Formenti
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