24/08/2020
Il capitale mangia se stesso e noi
Se non fosse, allo stesso tempo, una drammatica esibizione di violenza e impotenza imprenditoriale, ci sarebbe quasi da ridere...
Prendiamo ad esempio l’intervista fatta dall’agenzia Agi al consigliere nazionale di Unimpresa Giovanni Assi.
“Il mantenimento dei livelli occupazionali non può e non deve ottenersi per pochi mesi con le tasche degli imprenditori, ma deve essere la naturale conseguenza di misure durature nel tempo che permettano di pianificare e programmare le attività delle imprese, anche perché i divieti non potranno durare all’infinito e allo scadere degli stessi il risultato è già calcolato in una riduzione degli occupati stimata nella misura tra il 5% ed il 7%”.
Sorvoliamo per il momento sull’affermazione per cui “il mantenimento dei livelli occupazioni non può e non deve ottenersi per pochi mesi con le tasche degli imprenditori” (il blocco dei licenziamenti è finanziato con soldi pubblici) e badiamo al sodo: la riduzione degli occupati alla fine del periodo eccezionale di cassa integrazione, ecc. in autunno o al massimo a fine anno, sarà “nella misura tra il 5% ed il 7%”.
A fine 2019, secondo l’Istat, gli occupati erano 23,4 milioni circa. Sottraendo i poco più di 3 milioni di dipendenti pubblici (comprensivi di polizie, esercito, ecc.) avevamo grosso modo circa 20 milioni di lavoratori dipendenti (anche camuffati sotto varie forme di “collaborazione”) con qualsiasi tipologia di contratto.
La perdita certa stimata viaggia dunque tra 1 milione e 1,4 milioni di posti di lavoro.
Confindustria e le imprese vorrebbero procedere subito a questa falcidie (che per il momento, ricordiamo, non pesa sui loro bilanci), perché vorrebbero “cogliere l’occasione” per liberarsi di dipendenti con buoni salari e sostituirli con precari pagati con briciole.
Dire le cosa come stanno, però, è impopolare e potrebbe aumentare il tasso di antipatia sociale delle imprese. Dunque, si parla d’altro: “il pasticcio [creato dal governo Conte, ndr] prevede diverse ipotesi in cui le aziende dovranno identificarsi: da una parte il divieto di licenziamento sarà legato all’utilizzo della Cig d’emergenza, per tutte e 18 le nuove settimane, dall’altro, in alternativa, il divieto sarà legato dell’esonero contributivo [...] che può durare fino a 4 mesi, allungando, così, per molte imprese il divieto di licenziamento, tra metà novembre e fine anno: condizionare la facoltà di licenziamento non solo alla integrale fruizione degli ammortizzatori Covid [...] ma anche, seppur in via alternativa, alla fruizione di questo esonero, risulta una scelta non condivisibile, posto che le due fattispecie non sono minimamente equiparabili, stante la circostanza che la fruizione di questo esonero contributivo è incerta, perché sottoposta al vaglio della Commissione Europea”.
Sfondare le porte aperte è un trucco abituale, in questo mondo. E sicuramente il governo in carica, di pasticci, ne ha combinati a vagonate. Il problema della disoccupazione futura di massa, però, eccede largamente l’incompetenza di questo o quel ministro come la capacità di questo o quell’imprenditore.
Proprio stamattina, in proposito, abbiamo pubblicato un articolo di Kartana che “dà i numeri” a livello continentale. Insomma, coinvolgendo governi molto più “vicini” al cuore dell’imprenditore medio e considerati – nella pubblicistica mainstream – assai più capaci di quello in carica qui.
Sarebbe però fuorviante seguire ancora la lamentela corporativa di un “sindacalista delle piccole imprese”, perché chiaramente le tendenza macro sono troppo oltre i suoi interessi e dunque la sua ampiezza di “visione”.
La situazione in cui la società occidentale si è venuta a trovare – non “a causa” del Covid-19, ma in contemporanea con la pandemia – è sfortunatamente molto più grave. Il lamento del signor Assi, perciò, coglie solo alcuni aspetti parziali del problema e ammette – involontariamente – che non è vero che solo le imprese creano lavoro.
Il “settore privato”, avendo come unico parametro il “profitto di impresa”, crea posti di lavoro quando servono al profitto individuale di una singola impresa e li distrugge (licenziando) quando non servono più.
Gli esseri umani, invece, notoriamente esistono e vivono prima di essere assunti da un’impresa e vorrebbero vivere anche dopo esser stati licenziati. L’imprenditore singolo, come sappiamo tutti, afferma che questo non è affar suo. Ma vorrebbe anche che non fosse affare del “pubblico”, o dello Stato. Perché questa attenzione alla vita della popolazione che non viene impiegata (o sfruttata) dall’impresa privata fa salire il debito pubblico e, in una situazione di crisi, sottrae risorse che “dovrebbero” invece essere destinate soltanto all’impresa privata. Almeno secondo la visione di Confindustria in versione Carlo Bonomi...
Non è difficile capire quale sorte attende quei milioni di persone che non trovano lavoro da un “privato” né dal “pubblico” e che vedono sparire anche i modestissimi supporti ancora esistenti come welfare in Italia e in Europa...
Abbiamo provato a delineare le caratteristiche strutturali della “trappola” in cui si è da tempo infilata l’economia capitalistica in versione neoliberista, o ordoliberista (il modello tedesco-europeo), negli ultimi decenni. Chiacchierare di “soluzioni” senza tener ben presente quel quadro è come discutere di calcio al bar...
Ai tanti signor Assi – e ai governi di tutto l’Occidente – bisogna infatti segnalare che la crisi del loro sistema economico è un tantino più grave di quel che hanno fin qui capito. E che le “soluzioni” richiedono uno sforzo superiore al gridare “tutti i soldi a me!”.
In questi giorni vanno messe assieme alcune informazioni supplementari:
– la Bce vede nero ed è pronta a varare nuovi stimoli monetari entro la fine dell’anno se non si dovessero registrare “chiari segnali di una forte ripresa”;
– la stessa Bce ha infatti visto che “la ripresa c’è, ma è più fragile del previsto” e molto più bassa del desiderato;
– sui mercati ritorna infatti la pura visto che la pandemia cresce nel mondo e anche lì dove sembrava ridotta (come in Italia).
In un clima del genere “creare occupazione” è l’ultimo degli obbiettivi per le imprese.
Ma anche per la banche centrali. Dunque anche per gli Stati.
La banche centrali, infatti, sono pronte a immettere altra liquidità nel sistema finanziario, acquistando titoli pubblici e privati di ogni genere. Ma questo significa una sola cosa: ricostituire gli arsenali finanziari con cui “i mercati” condizionano le politiche degli Stati.
In pratica, le banche centrali – e soprattutto la Bce, giusto un po’ meno la Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra, che ora finanzia monetariamente la spesa pubblica di Londra, almeno in parte – sono diventate una “lavanderia” in cui si riciclano e rigenerano i capitali.
Gli Stati, invece, privati di questa loro storica capacità, sono obbligati a indebitarsi ulteriormente con investitori professionali privati. Come ha spiegato anche Mario Draghi, se questo debito va a premiare le aziende, “è buono”, se invece va a sostenere la domanda interna (sotto qualsiasi forma di sussidio alle persone) “è cattivo”.
Siccome quel debito fatto dal “pubblico” va in ogni caso restituito, e con gli interessi, ecco che quella trappola scatta e macina economia reale (industrie, commercio, Stati, persone, ecc.) per nutrire i “mercati finanziari”, nel frattempo “rinforzati” o mantenuti in vita dalle iniezioni di liquidità create dalle banche centrali stampando moneta.
È difficile, o sbagliato, cercare facili analogie tra questa crisi sistemica e quella del 1929. Allora, infatti, “l’industria finanziaria” si era in parte autonomizzata rispetto all’economia reale, ma funzionava prevalentemente su base nazionale (con proiezioni imperialistiche riconoscibili facilmente, perché chiamavano in causa, e in prima fila, gli Stati).
Oggi invece non ha confini insuperabili, usa gli Stati e contemporaneamente li svuota, ma soprattutto sopravvive a spese dell’economia reale.
Il capitale è diventato autofago, ma non dite ai nostri “imprenditori” che il nemico marcia alla loro testa...
Fonte
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento