Praticamente una manciata di ore dopo la sospirata ripresa dei
colloqui bilaterali sull’implementazione della prima fase dell’accordo
commerciale tra Stati Uniti e Cina, l’amministrazione Trump ha deciso
questa settimana di imporre nuove e decisamente inconsuete misure
punitive contro Pechino. L’iniziativa intende colpire decine di
compagnie e individui ed è relativa alla situazione del Mar Cinese
Meridionale, con ogni probabilità lo snodo più delicato della rivalità
tra le due potenze, nonché il teatro potenziale di un futuro scontro
armato.
Da un certo punto di vista, l’aggiunta di sanzioni per le attività
cinesi in queste acque è la logica conseguenza delle ripetute
provocazioni delle forze armate americane nell’area. Dal Mar Cinese
Meridionale transita una parte consistente dei beni diretti da e verso
la Cina, mentre l’area rappresenta anche il fronte più esposto, e per
questo segnato da una crescente militarizzazione, del sistema difensivo
di Pechino.
Nel Mar Cinese Meridionale si sovrappongono numerose rivendicazioni
territoriali che coinvolgono, oltre alla Cina, altri paesi come
Filippine, Vietnam, Brunei e Malaysia. Per decenni le dispute sono state
di bassa intensità, ma l’intervento degli Stati Uniti, soprattutto a
partire dalla “svolta” asiatica anti-cinese dell’amministrazione Obama,
ha spesso finito per infiammare i rapporti tra i paesi coinvolti.
Il governo cinese, da parte sua, ha iniziato da tempo la costruzione
di isole artificiali e installazioni militari in alcune aree contese, in
larga misura in risposta alla minaccia americana. Le sanzioni decise
mercoledì si riferiscono appunto a queste attività e confermano come
Washington abbia ormai abbandonato anche formalmente la precedente
neutralità circa le dispute nel Mar Cinese Meridionale per allinearsi su
posizioni contrarie a quelle della Cina. A metà luglio, il segretario
di Stato americano, Mike Pompeo, aveva ratificato questo cambio di
rotta, dichiarando ufficialmente “illegali” la gran parte delle
rivendicazioni di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
Le compagnie cinesi colpite dalle sanzioni sono 24 e tutte avrebbero
avuto un ruolo nelle attività di costruzione che interessano il Mar
Cinese Meridionale. Per loro sarà d’ora in poi impossibile acquistare
qualsiasi bene dagli Stati Uniti senza prima avere ottenuto
un’improbabile licenza speciale dal dipartimento del Commercio USA.
Anche un numero imprecisato di individui presumibilmente coinvolti in
queste attività verranno penalizzati, in primo luogo vedendosi respinte
eventuali richieste di visti d’ingresso in America.
Come già anticipato, queste ultime misure contro la Cina sono del
tutto inedite e particolarmente controverse. Mentre per quanto riguarda
le questioni di Hong Kong o della minoranza musulmana dello Xinjiang il
governo americano poteva quanto meno nascondersi dietro i principi della
democrazia e la difesa dei diritti umani, in questo caso è difficile
non vedere un puro interesse strategico e militare, sia pure anche in
questo caso proposto come una battaglia per la difesa della sovranità
dei paesi della regione.
Inoltre, le sanzioni più recenti rappresentano un altro strumento con
cui cercare di ostacolare i piani di integrazione infrastrutturale e
commerciale della Cina nell’area euro-asiatica, riassunti nella
definizione di “Nuova Via della Seta” o “Belt and Road Initiative”.
Svariate compagnie appena sanzionate sono infatti impegnate in progetti a
essa riconducibili, soprattutto nel settore della costruzione di
infrastrutture per le telecomunicazioni.
La concomitanza di queste misure con il vertice virtuale di inizio
settimana tra i responsabili delle politiche commerciali di Washington e
Pechino è la testimonianza di come la Casa Bianca non abbia nessuna
intenzione di allentare le pressioni sulla Cina a poche settimane dalle
elezioni presidenziali.
Le discussioni tenute nei giorni scorsi erano state le prime da molti
mesi a questa parte ed erano servite a rilanciare l’impegno cinese ad
aumentare le importazioni di prodotti americani secondo quanto richiesto
da Trump per sospendere i dazi doganali imposti fino all’anno scorso.
Il clima cordiale dei colloqui aveva ridato una certa momentanea fiducia
ai mercati, ma gli sviluppi successivi hanno riconfermato la volontà
USA di mantenere la linea dura contro Pechino.
Il
Mar Cinese Meridionale resta dunque un’area cruciale nella rivalità
sino-americana ed è infatti teatro di regolari operazioni di
“pattugliamento” da parte della marina militare e dell’aviazione USA.
Queste manovre vengono giustificate da Washington come indispensabili
per riaffermare il principio della “libertà di navigazione” in acque
internazionali, ma sono comprensibilmente viste come aperte provocazioni
da parte cinese.
Proprio mercoledì, la Cina avrebbe lanciato due missili nelle acque
del Mar Cinese Meridionale nel quadro di un’esercitazione militare in
corso, dopo che il giorno precedente le autorità di Pechino avevano
denunciato l’ingresso nel proprio spazio aereo di un aereo spia
americano.
Le sanzioni di questa settimana sono solo l’ultima tranche
dell’offensiva anti-cinese degli Stati Uniti. L’elenco di provvedimenti e
misure punitive è talmente lungo da far pensare alla Cina come la causa
di tutti i mali del pianeta. In realtà, lo zelo americano nel punire la
Cina è piuttosto il sintomo della disperazione della classe dirigente
USA nel tentativo di arrestare la crescita della principale potenza
concorrente sullo scacchiere internazionale.
Tra le decisioni più clamorose prese dall’amministrazione Trump solo
negli ultimi tempi vanno ricordate almeno l’ordine di vendita a una
corporation americana della popolare applicazione TikTok, la chiusura
del consolato cinese di Houston, il tentativo di compromettere la linea
di approvvigionamenti di Huawei e le sanzioni contro politici e
amministratori cinesi ritenuti responsabili di violazioni dei diritti
umani a Hong Kong e nello Xinjiang.
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