A due settimane dalla riapertura delle scuole si susseguono le riunioni ministeriali, i vertici stato-regioni, le audizioni parlamentari su come si potrà ritornare negli istituti. Da tutta questa enorme congerie di riunioni, contatti e comunicati, in cui si parla di distanze, mascherine e banchi a rotelle, emerge un solo dato chiaro.
L’unico provvedimento che avrebbe diminuito significativamente i rischi di contagio e al contempo aumentato la qualità dell’insegnamento, cioè la riduzione del numero di alunni per classe, non è stato preso.
Questo perché il Ministero non ha voluto assumere un numero di insegnanti sufficiente, pasticciando con i concorsi e inventandosi una nuova categoria di supplenti – quelli a gettone – che saranno licenziati in caso di ritorno alla didattica a distanza.
A oggi si calcola che manchino circa 250.000 insegnanti per la ripresa in sicurezza della scuola, ma senza contare la diminuzione necessaria degli alunni per classe e a fronte, tra l’altro, della richiesta di molti insegnanti di non essere esposti ai rischi della pandemia, per età o perché affetti da patologie croniche.
Vedendo la questione della ripresa scolastica in una prospettiva ampia, ci si rende facilmente conto che tale scadenza sta portando al pettine, nella nuova situazione di emergenza, i nodi di scelte politiche compiute negli ultimi decenni, indifferentemente da governi di centro-destra o centro-sinistra che fossero e che non riguardano strettamente la sola scuola.
Anzitutto, la riduzione degli organici nella scuola e la non risoluzione del problema del precariato. Ciò si collega all’aumento del numero degli alunni per classe e all’abbattimento di molti vincoli, tra i quali, per esempio, quello di avere un solo alunno disabile per classe.
Una scelta che ha impoverito la qualità didattica e aumentato il carico di lavoro di un corpo insegnante sempre più anziano. Infatti, l’aumento dell’età pensionabile, avvenuto a più riprese, iniziando con il governo D’Alema sino alla legge Fornero, è alla base del fatto che oggi i lavoratori della scuola sono, mediamente, i più “vecchi” d’Europa, con un abbondante 40% sopra i 55 anni.
Ne consegue che molti di questi anziani insegnanti abbiano oggi timore di esporsi a condizioni di lavoro non sicure e chiedano di essere destinati ad altri incarichi. Questi lavoratori, ma non solo loro, sono talvolta anche portatori di patologie croniche che li pongono particolarmente “a rischio”.
Un elemento di grave incertezza che incombe sulla ripresa è quello della medicina preventiva. Si parla di medici che, dalla rispettiva ASL, dovranno vigilare sulle scuole, mediamente 23 per ciascuno di loro, una quantità impossibile per garantire un servizio reale.
Non dimentichiamo che un tempo esistevano i medici scolastici, regolarmente presenti nelle scuole e affiancati da infermieri che gestivano le “sale mediche”. Un altro dei servizi sacrificati sull’altare della riduzione della spesa pubblica nonostante la sua importanza nell’ambito della prevenzione sul territorio.
Anni di politiche di tagli hanno ridotto il patrimonio edilizio delle scuole in condizioni disastrose. È noto che in Italia esistono scuole che non hanno nemmeno la certificazione di agibilità. Impossibile in pochi mesi non solo rimediare a questa situazione e persino organizzare nuovi spazi per la didattica.
Nei diversi vertici in cui si consuma la guerriglia elettorale tra il governo e le repubblichine regionali più o meno autonome, queste ultime hanno insistito affinché si consentisse di far viaggiare i mezzi pubblici con capienze superiori a quelle indicate dal CTS della Presidenza del Consiglio.
Da anni i lavoratori e i pendolari denunciano di dover andare al lavoro in condizioni disumane, ammassati all’inverosimile in mezzi pericolosi e lenti. Pensare oggi di diminuire la capienza dei mezzi appare impossibile; anche il sindaco della città più “europea” d’Italia, il milanese Sala, ha dichiarato che non ci sono mezzi e personale per garantire un potenziamento delle corse.
Questo è l’esito della politica che ha privilegiato per decenni la capienza dei mezzi sulla loro frequenza, per ridurre il personale e il numero dei mezzi in circolazione.
Peraltro, come si può oggi pensare di limitare la capienza dei mezzi al 75-80% (cifra già molto alta per garantire la sicurezza) quando c’è un solo agente a bordo, cioè l’autista, che deve pensare a guidare e non a contare i passeggeri?
Questi sono solo alcuni dei problemi che, connessi alla ripresa della scuola, fanno comprendere che per affrontare efficacemente l’emergenza Covid si sarebbe dovuto intervenire cambiando la direzione a 180 gradi rispetto al passato, cosa che né il MIUR e il governo nel suo insieme, né le varie regioni hanno la minima volontà di fare.
Tutti i problemi che oggi sono sul tappeto e che si pongono con drammatica urgenza, peraltro, erano noti da mesi. Probabilmente si sarebbe potuto fare di più, certamente di meglio, ma il MIUR si è trastullato in iniziative inutili, quali la costituzione della Commissione di esperti per la riapertura della scuola presieduta da Patrizio Bianchi che ha costituito solo una perdita di tempo.
Ancora, ci si è concentrati sulla questione dei banchi a rotelle, non certo prioritaria e che ha assorbito una mole di fondi che potevano essere spesi meglio. Tra l’altro, appare un’irritante presa in giro che la prima consegna dei nuovi banchi sia stata effettuata nelle scuole di Codogno, primo comune colpito dalla pandemia, ma soprattutto ad Alzano e a Nembro, centri della Val Seriana dove la mancata dichiarazione di “zona rossa” ha provocato una strage, quasi si volesse risarcire ciò che risarcibile non è oppure dimostrare un’attenzione ormai troppo tardiva.
Le scuole riapriranno, dunque, in una situazione preoccupante, rispetto alla quale possiamo solo sperare che si levi forte la voce dei lavoratori per cercare di trovare vie d’uscita più degne di quelle proposte da un Ministero che sinora non li ha voluti ascoltare, con un atteggiamento di un autoritarismo intollerabile.
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