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29/08/2020

USA - Una campagna presidenziale di piombo


A poco più di due mesi dalle elezioni presidenziali statunitensi che si terranno il 3 Novembre, dall’esito più che mai incerto, siamo di fronte ad uno scenario inedito di scontro politico.

Un supporter di Trump, nonché sostenitore del movimento “pro-polizia “thin blue line”, il 17enne Kyle Rittenhouse, illegalmente in possesso di una arma – un fucile semi-automatico AR15 – uccide due manifestanti e ne ferisce un terzo durante la terza notte di mobilitazioni a Kenosha nel Wisconsin.

In questa città si era recato insieme ad altri seguendo la “chiamata alle armi” diffusa tramite Facebook dalla milizia Kenosha Guard – pagina rimossa solo mercoledì – e ripresa dal sito “cospirazionista” InfoWar.

In questa cittadina di circa 100 mila abitanti, la polizia aveva sparato sabato scorso sette colpi alla schiena di Jacob Blake, un afro-americano disarmato. Blake non costituiva in alcun modo una minaccia, e la polizia ha sparato dopo avere cercato – senza riuscirci – di usare il taser contro di lui.

Blake, che in seguito alla sparatoria è rimasto paralizzato, a seconda di ciò che riferisce il padre, nonostante la sua condizione è stato ammanettato al letto in ospedale.

Quello che a tutti gli effetti è stato un tentato omicidio è stato ripreso in video ed è diventato immediatamente virale, com’era successo a fine maggio con George Floyd, detonatore della proteste del movimento Black Lives Matter, nato sulla spinta di un episodio analogo a Ferguson nel 2014.

The Guardian riporta, giovedì 27 agosto, che la polizia ha reso pubblico il nome di Rusten Sheney, l’agente in servizio da sette anni presso il dipartimento; seguirà una inchiesta del FBI. Il governatore dello Stato, Tony Evers, ha autorizzato il dispiegamento di 500 uomini della National Guard, raddoppiando il numero delle truppe presenti in città, cui si sono giunte anche le truppe federali mandate da Trump, mentre la città era già posta sotto coprifuoco.

Il nome del poliziotto è stato reso pubblico solo dopo l’annuncio della custodia del teen-ager accusato di omicidio di primo grado avvenuto la notte di martedì. La sera successiva le manifestazioni si sono svolte in una calma relativa.

Ciò che appare chiaramente dalle ricostruzioni più accurate è la complicità della polizia, di cui ha goduto questo minorenne che non potrebbe portare quell’arma e che non potrebbe sparare per difendere una proprietà non sua (secondo ciò che dice la legge del Winsconsin), nonostante fosse stato chiaramente indicato come l’artefice delle sparatorie.

Frutto del “clima benevolo”, diciamo così, con cui questi miliziani volontari vengono accolti dalle forze dell’ordine, un comportamento in generale riservato a tutta la galassia dell’Alt-Right nord-americana, diventata con l’elezione di Trump filo-governativa.

Le parole di un agente rivolte alle milizie, poco prima della sparatoria – “vi apprezziamo, vi apprezziamo davvero” – danno la cifra di questa che potremmo definire una connivenza non episodica.

Come sempre però, il pesce puzza dalla testa.

Era stato Trump stesso a fine maggio a “tweettare”: “affronteremo ogni difficoltà ed assumeremo il controllo, ma quando iniziano i saccheggi, cominciano gli spari”, cercando poi come al solito di ritrattare.

Alla National Convention repubblicana, la sera prima degli omicidi, i coniugi McCloskey dalla loro casa a St. Louis avevano inviato un messaggio al raduno del Grand Old Party.

L’unica ragion d’essere chiamati a prendere parte a questo appuntamento politico, per questi esponenti della middle class bianca che vive nei quartieri residenziali – uno dei target su cui punta Trump per le elezioni – è l’aver brandito un fucile ed una pistola contro i manifestanti di Black Lives Matter, colpevoli di passare nella strada antistante la loro abitazione.

Da parte dei Media vicini a Trump – in particolare «Fox News» – e di altri esponenti del Partito Repubblicano traspare la giustificazione della sparatoria e quindi la legittimazione dell’omicidio, al limite della celebrazione.

Stiamo parlando di un bacino di massa. Tucker Carlson, che fa 4 milioni di spettatori nel suo show, legittima questa “giustizia fai da te” e critica i governanti locali. Ann Coulter chiama Rittenhouse mio presidente in un video che fa 150 mila visualizzazioni; per non parlare delle raccolte fondi, i messaggi di solidarietà, ed i meme celebrativi, segno di una forte identificazione di parte dell’America profonda.

Si tratta dell’emersione senza tabù del suprematismo bianco, di quel “fascismo americano” ben analizzato ai tempi dalle pantere Nere, che oggi appare più vivo che mai di fronte ad una crisi epocale che a tratti – come in questo caso – assume l’aspetto della guerra civile e che, mutatis mutandis, ci ricorda la cornice di uno dei più bei romanzi di Steinbeck ambientati negli Usa degli Anni Trenta: La battaglia.

Di fronte al più importante movimento – per partecipazione ed estensione – della storia nord-americana del dopoguerra si sviluppa la mobilitazione reazionaria di massa anche di stampo militare. Non perché i vari corpi militari dedicati al “mantenimento dell’ordine” siano insufficienti, e non solo per creare consenso attorno al loro intervento.

«I dati raccolti dal Center for Analysis of the Radical Right e condivisi dal HuffPost venerdì», riporta il sito d’informazione The Intercept, parlano di «circa 500 appuntamenti di estremisti di destra radunatisi in risposta alle proteste di Black Lives Matter dall’omicidio poliziesco di George Floyd a fine maggio, che hanno portato a 64 casi di semplici assalti, 34 ulteriori effettuati con veicoli, nove casi di colpi sparati ai dimostranti che hanno portato alla morte di tre persone».

Un fenomeno ragguardevole, la punta di un iceberg, che serve a indicare una strada ed identificare un nemico a larghi strati della popolazione, distraendola dalle responsabilità del ceto politico e dai lauti affari delle oligarchie economiche: la stessa matrice ideologica che qui si è sviluppata attraverso “la Bestia” salviniana.

Certamente la pressione esercitata da BLM ha portato ad una azione legale più consistente nei confronti degli abusi polizieschi ed al fatto che i singoli governanti locali non tendono più (almeno di facciata) a “derubricare” la questione della violenza poliziesca nei confronti degli afro-americani e dei latinos.

Si ha però l’impressione che le cose non siano realmente mutate, nonostante le 2.000 iniziative in 50 Stati da fine maggio ad oggi, 531 in contemporanea solo il 6 giugno.

Queste iniziative, poi, sono scemate ad un ritmo molto minore rispetto al biennio 2014-2015 in cui si è sviluppato BLM, come riporta il New York Times.

Anche per questo, probabilmente, nelle maggiori leghe sportive statunitensi – a incominciare dal basket professionistico – si è sviluppato uno sciopero politico inedito, proprio quando nella cittadina del Winsconsin sembravano essersi calmate le acque.

Il centrismo dei Democratici non è riuscito – e non è in grado – di rappresentare questa condizione strutturale degli afro-americani, ed è paradossale che proprio Trump affermi di fatto che le opzioni in campo sono o lui o il socialismo, mentre è stato proprio l’establishment democratico a fare di tutto per sabotare la nomination di Sanders alle primarie per la seconda volta consecutiva e marginalizzare l’ala più progressista del Partito.

Sembra che sia Trump ad imporre il suo regime discorsivo, e che la blanda opposizione democratica non riesca a ribaltarlo. Nonostante l’apparente rozzezza e la natura di mentitore seriale dell’attuale presidente, lo stesso riesce a sfruttare e forse riuscirà a capitalizzare l’odio montante contro di lui e contro la sua amministrazione.

Sono innegabili i successi del movimento – anche nelle realtà lontane dai contesti metropolitani e/o prevalentemente “bianchi” – nel promuovere soprattutto tra larghi strati di giovani una conoscenza della condizione afro-americana e la necessità di reagire collettivamente.

Ma la sua rappresentanza politica e la capacità di impattare la violenza strutturale – non solo poliziesca e carceraria – dell’Amerika nei confronti dei Neri non è ancora all’altezza di un nemico feroce, che rivendica apertamente la sua violenza prevaricatrice.

Pensiamo che la sua proiezione in avanti su questi terreni, oltre l’appuntamento elettorale, sia la principale sfida. Ben oltre la “semplice” defenestrazione di Trump.

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