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27/08/2020

L’arrogante finzione di creare dal nulla

Fatti sotto, alza la testa, combatti la pseudo-scienza, alza la voce – Come forward, stand up, fight the pseudo-science and speak up. Le pecore possono starsene a casa, ma chi ha voglia di uscire deve poter uscire, chi ha voglia di andare a un concerto deve avere la libertà di andarci.

Non è economicamente possibile organizzare concerti con il distanziamento sociale. Fatti sotto, il futuro è adesso.

La vita è adesso, nel vecchio albergo della terra, piove sui tavolini vuoti dei caffè all’aperto, sulle tamerici, sui pini e sui mirti, mentre ognuno è chiuso in una stanza, intrattenuto a distanza da Lady Gaga, Elton John, Lizzo, Billie Eilish, Billie Joe Armstrong dei Green Day, Alanis Morissette, Chris Martin, Paul McCartney.

Ad alzare la voce è Van Morrison, il quale, sul suo sito web, venerdì scorso ha lanciato una campagna per salvare la musica dal vivo.

“Invito i miei colleghi cantanti, musicisti, scrittori, produttori, promotori del settore a combattere con me questa battaglia” – ha scritto.

Non si tratta di una battaglia per la libertà di espressione. Si tratta di riconoscere che il business della musica e dell’arte in generale è una struttura complessa e variegata dove lavorano elettricisti e tecnici delle luci, facchini, trasportatori, sarti, ingegneri del suono, cantanti per feste di matrimonio, addetti al merchandising, autisti, guardarobieri, parrucchieri e truccatori, maschere, lavoratori intermittenti, senza contratto, in nero, apprendisti, stagisti, cultori della materia, lavoratori a giornata, a cottimo, a chiamata, a concerto, a performance, stagionali, turnisti, coristi, accordatori, installatori di palchi e bagni chimici, invisibili al welfare, tagliati fuori da ogni forma di sussidio, con cumuli di bollette e affitti arretrati da pagare, lasciati a casa, come i 240 lavoratori del Teatro alla Scala di Milano.

Tra i primi a perdere il lavoro in seguito all’emergenza sanitaria. Tra gli ultimi a ricevere attenzioni dallo Stato.

Sino ad oggi nessun artista o musicista di spicco ha pubblicamente aderito alla campagna promossa da Van Morrison contro le restrizioni sui concerti (theguardian.com), e anche sulla pagina ufficiale di Facebook del cantante si leggono molti commenti contrari a questa uscita.

Bisogna davvero capire se è arrivato il momento per una riflessione generale sull’arte e sullo spettacolo, se sia possibile andare avanti con questo modello di business, oppure se non si debba mettere in discussione tutto l’apparato.

Di sicuro è da rispedire al mittente l’appello, lanciato il 6 maggio su Le Monde«Non à un retour à la normale» – e sottoscritto da nomi di punta dello star system, a partire da Madonna, Robert de Niro, Cate Blanchett, Paolo Conte, Monica Bellucci, Miguel Bosé, Penélope Cruz, Abel Ferrara, Jim Jarmusch, Naomi Klein, Ricky Martin, Jean-Luc Nancy, Iggy Pop, Isabella Rossellini, Vandana Shiva, Paolo Sorrentino, Barbra Streisand, Sting, Wim Wenders.

Come accade da troppo tempo, anche in questo appello si riduce il problema della società moderna – il capitalismo – a un problema ecologico, di rapporto tra l’uomo e la natura.

In ogni caso non si può continuare ad accettare un sistema – quello delle star – che fa leva sugli stessi identici meccanismi di arricchimento della finanza, del mercato del software, delle medicine e dello sport professionistico, dove a un branco di pecore (noi) viene sparato col bazooka un prodotto (moneta, medicina, applicazione, canzone), replicato a costo zero in quantità stratosferiche, e il cui valore è totalmente posizionale, ovvero arbitrario, di comando.

Il vero segreto dello spettacolo non è, come credeva Debord, l’allontanamento della vita vissuta verso la rappresentazione. Il segreto di questo business è il quantitative easing, è il potere di controllo dell’emissione, il diritto di battere moneta, di stampare copie conformi, la statuizione dell’origine e dell’originario – l’arrogante finzione di creare dal nulla.

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