È in corso un demagogico e volgare attacco all’istituzione parlamentare, vecchio arnese di fascisti, fascistoidi, reazionari, demagoghi ed idioti che, in assenza di idee e progetti per il futuro del paese, ritirano fuori la solita “antipolitica” ed il vecchio arnese dell’antiparlamentarismo (do you remember il “discorso del bivacco” del 16 novembre del 1922?) che hanno, come unico effetto, quello di sedimentarie ancor di più qualunquismo ed ignoranza becera proprio sul delicato tema della democrazia, benché rappresentativa.
E poi i 5 Stelle (ovvero, coloro che hanno lanciato questo sciocco e pericoloso referendum in piena emergenza Covid-19) non erano quelli che volevano tagliare gli stipendi anziché il numero dei parlamentari?
Eh sì... sono propri gli stessi che ora, però, vogliono rivedere anche uno dei principi ritenuti inossidabili del movimento, almeno, fino a qualche tempo fa: l’ineleggibilità dei propri rappresentanti dopo 2 mandati. Una regola (ed una bandiera) di cui il movimento (?) si era dotato proprio con il fine dichiarato di impedire, ostacolare, superare la “politica come professione” (problema non banale, come ci spiegava Max Weber nel suo Politik als Beruf già nel lontano 1919), in favore di un ricambio continuo e a rotazione della classe politica che non doveva più farsi casta ma lasciare spazio, nelle istituzioni rappresentative, alla così detta “cittadinanza attiva”.
Ebbene, a quanto pare, se ne sono bellamente dimenticati virando poi verso l’esatto opposto: il taglio secco dei parlamentari (restrizione della base democratica) ed ampie deroghe al divieto di accedere a più di due mandati.
Insomma, come utilizzare la retorica della “lotta alla casta” in una robusta operazione di rilancio della casta stessa e della dittatura dei partiti che ormai nominano direttamente i propri rappresentanti in totale spregio a quanto ancora previsto all’art. 67 della Costituzione italiana secondo la quale: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
È vero che siamo immersi, ormai da troppo tempo, dentro un processo di trasformazione e trasfigurazione del modello di democrazia rappresentativa e di una crisi di egemonia delle classi dirigenti che attraversa, più o meno, tutti i paesi occidentali. Le nazioni si fanno comunità indistinte, unite dai confini “minacciati” da vecchi e nuovi nemici.
I nuovi ‘populisti’, cavalcano l’avversione verso i ‘capi’, le burocrazie tanto quanto verso gli stranieri, gli islamici e i migranti. I populisti reazionari offrono risposte immediate e semplificazioni a situazioni complesse la cui soluzione richiederebbe tempi lunghi. Tuttavia, si fa sempre più largo una tentazione di massa di sposare un approccio sempre più sbrigativo ad ogni questione, dalla più piccola alla più grande.
Alla crisi della democrazia parlamentare e dei partiti, ora, si contrappone tout court la “democrazia della rete”. Un modello bottom-up che si spaccia per “democrazia immediata” ma che, come abbiamo visto, è sempre più preda delle manipolazioni e del controllo assoluto da parte dei suoi padroni e detentori.
È chiaro che l’attuale crisi delle istituzioni rappresentative è anche figlia di in un mondo globalizzato popolato di solitudini e che i nuovi dispositivi digitali attraverso cui viene costruito il consenso riempiono un vuoto ed una distanza che appaiono sempre più incolmabili e che non potranno essere riempiti solo e semplicemente attraverso una semplice rievocazione del passato e/o mediante anacronistici appelli alla “sacralità” delle istituzioni democratiche nate dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla lotta al fascismo.
Tuttavia, la cosa peggiore sarebbe credere di avviare un percorso di rinnovamento della nostra già fragile democrazia buttando il bambino insieme all’acqua sporca. È appena il caso di rammentare che l’Assemblea Costituente del 1947 decise, sulla base di un criterio di proporzionalità, che si dovesse eleggere un deputato ogni 80.000 abitanti, non uno ogni 150.000.
L’equazione stabilita da padri e madri costituenti fu più deputati = più democrazia. Ed avevano ragione: ad una drastica riduzione del numero di rappresentanti corrisponderebbe un altrettanto drastico restringimento della base democratica.
Di certo, un responso referendario del genere segnerebbe un ulteriore regresso in un paese, qual è il nostro, già a corto di democrazia sostanziale.
Per questo #iovotono.
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