di Michele Giorgio – Il Manifesto
Inebriato dall’accordo di normalizzazione tra Israele ed Emirati, Donald Trump
qualche giorno fa ha detto di aspettarsi che anche l’Arabia Saudita
stabilisca al più presto rapporti con lo Stato ebraico. Un auspicio
fondato su elementi concreti. La Casa Bianca ha lavorato per mesi a un
exploit diplomatico in Medio Oriente per poterlo sfruttare nella
campagna per le presidenziali. E inoltre Riyadh è stata, da quando Trump
è presidente, la capitale che più di ogni altra nel Golfo ha stretto
dietro le quinte i rapporti con Israele. Lo spregiudicato, a dir poco,
principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs) non ha
esitato ad addossare ai palestinesi sotto occupazione militare
israeliana la responsabilità del mancato accordo con Tel Aviv. Eppure,
giunti al dunque, l’Arabia Saudita ha applaudito senza entusiasmo alla
normalizzazione tra Israele ed Emirati e ha invocato la creazione di uno
Stato palestinese.
Gli analisti ragionano sui motivi di questa frenata e della inedita fiammata panarabista che avvolge i palazzi della dinastia Saud. Qualcosa si è incrinato. Lo indica anche lo scoop che avrebbe messo a segno l’autorevole portale d’informazione Middle East Eye. Mohammed bin Salman, scriveva ieri Mee,
ha annullato una visita a Washington la prossima settimana che
prevedeva il suo incontro con il primo ministro israeliano Netanyahu. Un
faccia a faccia fissato per il 31 agosto finalizzato non a un annuncio
di normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele bensì ad una stretta di
mano tra Mbs e Netanyahu davanti alle telecamere di tutto il mondo, simile a quella che si diedero nel 1978 il presidente egiziano Sadat e il primo ministro israeliano Begin a Camp David.
Ne avrebbe tratto giovamento l’accordo tra Emirati e Israele. E l’erede
al trono saudita sarebbe apparso come un «pacificatore» e non lo
spietato mandante dell’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi
e il brutale repressore degli oppositori e delle ambizioni di cugini e
zii che non ha esitato a rinchiudere per settimane nella prigione di
lusso del Ritz-Carlton Hotel. Quando sembrava tutto fatto, scrive Mee, Mbs si è tirato indietro temendo che la notizia fosse trapelata e che la sua presenza nella capitale Usa si sarebbe trasformata in un “incubo”. Per l’Amministrazione è stata una doccia gelata,
che fa il paio con la cautela che altre monarchie del Golfo manifestano
nei confronti della normalizzazione con Israele. Si erano fatto i nomi
di Bahrain, Oman e Sudan pronti ad aprire le braccia a Netanyahu, ma gli annunci ancora non arrivano.
La brusca frenata all’ultima curva pare sia frutto della diversità di
opinioni emerse nell’establishment reale saudita nei confronti del
piano Trump, del progetto di annessione a Israele di porzioni di
Cisgiordania palestinese e sull’opportunità di avviare in questa fase
relazioni piene con Israele, solo per favorire la campagna elettorale di
Trump. Anche a Riyadh leggono i sondaggi e al momento il
Democratico Joe Biden ha le carte in regola per buttare il presidente in
carica fuori dalla Casa Bianca. Al rampollo reale saudita
perciò è stato suggerito di far uso di prudenza e di non mostrarsi
troppo compiacente con Trump, forse destinato ad uscire di scena tra
qualche mese. Riyadh inoltre ha capito che lo stop al piano di
annessione di Israele sbandierato dagli Emirati per giustificare
l’intesa con Netanyahu, in realtà è solo sospeso e il premier israeliano
coglierà l’occasione propizia per rilanciarlo.
Conta anche l’orgoglio ferito dei sauditi che non
hanno gradito di essere stati lasciati all’oscuro (o quasi) delle
intenzioni degli Emirati e della mediazione Usa. Venerdì su Asharq Al-Awsat, il principe Turki al-Faisal
ha spiegato che Riyadh non è stata informata in anticipo dell’accordo.
«Gli Emirati ci hanno sorpreso accettando un accordo con Stati Uniti e
Israele», ha scritto escludendo poi una normalizzazione delle relazioni
con Israele prima della creazione di uno Stato palestinese con
Gerusalemme come capitale. E i media sauditi, da anni compiacenti con
Israele, in questa occasione parlano di «normalizzazione in cambio di
nulla» e che l’unico vincitore è Benyamin Netanyahu.
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