Quella tra il discorso di re-investitura di Trump e l’uccisione di un padre di famiglia afroamericano davanti ai suoi tre figli da parte di poliziotti bianchi NON è una coincidenza.
L’uccisione gratuita di neri è prassi quasi quotidiana e nonostante mesi di rivolte e manifestazioni Black Lives Matter continuano come prima, più sfrontatamente di prima. Perché c’è un presidente che si nutre e legittima quella subcultura razzista che va direttamente dal Ku Klux Klan all’ultimo dei poliziotti bianchi.
Chiamare a parlare alla convention i due coniugi che, armi in pugno, avevano minacciato di sparare su una manifestazione antirazzista che passava davanti alla loro abitazione è una rivendicazione politica del razzismo poliziesco. Non stiamo parlando di due disadattati marginali, ma di due avvocati di Saint Louis; e del presidente degli Stati Uniti. Dell’establishment e dell’upper class, insomma.
E anche “il clima gotico” in cui si svolge la stessa convention dovrebbe dire qualcosa sulla crisi sociale, politica, culturale in cui si vanno contorcendo gli States.
I giornali che ne riferiscono sono pieni di slogan troppo irreali per essere un incidente di comunicazione.
I McCloskey sul palco: “Noi armi in pugno contro quella folla selvaggia di Black Lives Matter perché è nostro diritto”.
Donald Trump jr: “Biden è il mostro di Loch Ness della Palude”
Lo stesso Trump senior “Per vincere, i dem dovranno rubare milioni di voti”
Anche senza Steve Bannon, insomma, la cifra del “confronto” è rimasta saldamente piazzata verso l’estremo insulto a quelli che, nella pratica consueta della politica istituzionale Usa, sono solo degli avversari da battere. Nessun terreno comune condiviso, nessun riconoscimento della pari legittimità altrui.
Gli “altri” sono “nemici” da schiacciare, paventando o minacciando l’apocalisse in caso di propria sconfitta.
Una radicalizzazione verbale che accompagna e rappresenta, a suo modo, la polarizzazione sociale e politica nella società Usa. Che si contrappone senza volontà di mediare ai movimenti che in questi mesi hanno portato in primo piano “la faccia migliore dell’America”, l’attivismo e la volontà di battersi concretamente per un Paese diverso.
I media mainstream di casa nostra danno per scontata la sconfitta di The Donald, evocando la sua rozzezza e il disastro epocale nella gestione della pandemia (quasi 6 milioni contagiati e 180.000 morti, fin qui). Wishful thinking, più che un’analisi.
La polarizzazione che vediamo ogni giorno è reale. Ma, come in Italia o in altri Paesi del vecchio Occidente in crisi, la destra reazionaria punta a rappresentare questa polarizzazione dal lato delle classi ricche e bianche, usando lo schema razziale per tenere insieme un blocco sociale molto eterogeneo quanto ad “appartenenza dl classe”.
Come fa in fondo un Salvini o una Meloni, passati alla scuola di Bannon: gridano “prima gli italiani” perché proprio non si può dire “viva chi c’ha i soldi” e sperare di prendere tanti voti.
Ma anche negli Usa, dall’altro lato della barricata, la rappresentanza politica di quella radicalizzazione non passa. L’establishment dem si è blindato nel Palazzo, pur essendo all’opposizione, e ha sbarrato la strada con fermezza a chiunque fosse – anche moderatamente, come Sanders – “a sinistra”.
E tra una destra aggressiva, che non nasconde di voler essere reazionaria e violenta, disposta alla strage pur di prevalere, e un “centro moderato” espressione del capitale multinazionale e finanziario, in genere non c’è partita.
Hillary Clinton sta lì, ancora oggi, a dimostrarlo.
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