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Bruno Drweski è maître de conférences HDR presso l’INALCO (Istituto di Lingue e Civiltà Orientali di Parigi) nel settore polacco. Oltre al lavoro sulla Polonia, che include il suo ultimo libro “Solidarnosc: una solidarietà costata cara” (Delga, 2019), ha scritto un compendio sulla Bielorussia e la prefazione al libro di Stephen Parker sulla Bielorussia di Lukashenko, “L’ultima Repubblica Sovietica. Bielorussia: un’oasi sociale, economica e politica?” (Edizione Delga, 2019). La commissione internazionale del PRCF ha quindi deciso di porgli alcune domande essenziali sull’attualità in Bielorussia.
[D] Dal 1994 i media occidentali stigmatizzano il dittatore Lukashenko, per poi riconoscere che ha avuto la maggioranza del popolo alle sue spalle, ma che ogni volta la situazione è in procinto di cambiare. Anche questa volta ci è stato assicurato che il popolo bielorusso vuole che se ne vada. Tra qualche mese, saranno costretti ad ammettere che nell’estate del 2020 ha riscosso ancora una volta il sostegno della maggioranza dei suoi connazionali?
[R] Lukashenko è stato eletto inaspettatamente nel 1994. Ha sconfitto allora il candidato socialdemocratico, che voleva avvicinare il Paese al campo occidentale, e il rappresentante della nomenklatura postcomunista che non aveva difeso il potere sovietico nel 1991. Lukashenko è stato eletto su una piattaforma che ha poi portato avanti: mantenimento di un settore prevalentemente pubblico, salvaguardia dei servizi sociali ereditati dall’URSS, riabilitazione del passato sovietico e celebrazione del ruolo dei veterani della “Repubblica partigiana” e dei costruttori del Paese nel dopoguerra, sviluppo delle industrie ad alta tecnologia create nel Paese dopo il 1945, rifiuto di aderire alla NATO e perseguimento di una politica di cooperazione con i Paesi dello spazio post-sovietico e con i membri del Movimento dei Non Allineati. Questo programma è rimasto popolare fino ad oggi, anche se una parte della popolazione sembra stanca di un sistema che dà più spazio al paternalismo che alla democrazia partecipativa. Oggi è chiaro che diverse potenze straniere vogliono un cambio di regime in Bielorussia e stanno spingendo in quella direzione, il che spiega le pressioni e i tentativi di manipolare l’opinione pubblica. In questo contesto, è giusto tenere a mente e cercare per quanto possibile di distinguere il vero dal falso, le esagerazioni dalle reali evoluzioni dell’opinione pubblica.
[D] Come definire il sistema politico e sociale in vigore in Bielorussia?
[R] È un sistema fortemente centralizzato intorno al potere presidenziale, che persegue una politica paternalistica di protezione sociale e di sviluppo economico sotto l’impulso più o meno efficace dell’apparato statale e che permette ad un settore privato di svilupparsi in parallelo, senza favorire la nascita di una classe davvero troppo ricca. Questo sistema, d’altra parte, lascia poco spazio alle iniziative della base della società e non contribuisce alla politicizzazione della popolazione, cosa che fino a poco tempo fa ha portato a una certa passività da parte del corpo sociale, delle organizzazioni sociali, dei sindacati o dei partiti politici. In particolare, Lukashenko ha rifiutato di creare un partito di massa che costituisse la sua base militante, anche se ha ottenuto il sostegno di partiti come il Partito Comunista di Bielorussia, che non possono essere considerati “partiti del Presidente” perché operano “ai margini” del campo presidenziale.
[D] Perché il paese ha optato per Lukashenko nel 1994, quando tutti gli ex paesi socialisti erano passati al capitalismo neoliberista?
[R] Quando la Bielorussia ha eletto inaspettatamente Lukashenko nel 1994, lo ha fatto come reazione contro la politica d’impoverimento, privatizzazione e smantellamento di tutto ciò che era stato fatto nell’era sovietica. Si è voluto porre fine alle privatizzazioni, alla polarizzazione sociale in corso, allo sviluppo della criminalità proveniente dalla Russia di Eltsin, al regno degli oligarchi e alla frammentazione dello spazio post-sovietico. Chiaramente, questo voto è stato “filosovietico”, anche se Lukashenko non ha mai avuto l’intenzione di ricostruire un partito comunista e optare nuovamente per la costruzione di una società socialista. Si può dire che la scelta del 1994 sia stata quella di un pragmatismo socialmente orientato, rispettoso dell’eredità sovietica.
[D] Le attuali manifestazioni di protesta sono spontanee o sono il risultato di ingerenze straniere?
[R] Entrambe le cose. Nel complesso, queste manifestazioni sono state preparate in anticipo dalle solite ONG. Da una quindicina d’anni circa, giovani bielorussi seguono corsi di formazione sulla manipolazione della folla in seminari organizzati sotto l’egida di varie fondazioni, come la fondazione di Soros o l’associazione serba “per le rivoluzioni non violente” Otpor, nata sulla scia del rovesciamento di Milosevic. Fino a poco tempo fa, queste iniziative non erano riuscite a generare un forte movimento di protesta. Questa volta, la parte della popolazione che trova sempre più pesante il paternalismo del regime, così come il suo autoritarismo “morbido”, si è manifestata con più forza, ma alla fine è stata la scala del tutto inaspettata della repressione contro i manifestanti subito dopo le elezioni a spingere un’ulteriore parte della popolazione verso il movimento di protesta. Queste manifestazioni non sono state così massicce come sono state ritratte dai media occidentali, ma hanno comunque guadagnato slancio di fronte alla repressione selvaggia e senza precedenti dei manifestanti da parte della milizia e del KGB. Secondo le mie fonti a Minsk, tuttavia, non si può escludere che questa brutalità, finora sconosciuta nel Paese, sia stata provocata da funzionari più o meno legati o più o meno comprati dagli oligarchi russi, che vorrebbero aumentare il malcontento per spingere Lukashenko tra le braccia di Putin. Questi ultimi, come i loro omologhi in Occidente, vorrebbero infatti porre fine al modello sociale bielorusso “insolente”, in cui le industrie di punta sono di proprietà dello Stato e funzionano bene.
[D] C’è modo di sapere qual è attualmente lo stato dell’opinione politica in Bielorussia?
[R] Se gli oppositori sostengono di aver ottenuto il sostegno della maggioranza dei loro connazionali prima o dopo le elezioni, sondaggi d’opinione abbastanza accurati tendono a mostrare che a Minsk tra il 45% e il 50% della popolazione si è spostato a favore dell’opposizione, che è piuttosto eterogenea. Sembra che questo sia molto meno vero in provincia, ma dà comunque agli oppositori un margine di manovra di un milione di abitanti nella capitale, cioè la metà della popolazione, che è sufficiente per radunare centomila manifestanti. In TV e sui social network, mostrano giovani uomini belli e ben curati, e soprattutto belle giovani donne bionde dal fascino slavo, tutte vestite di bianco con fiori, che vanno a baciare miliziani dall’aspetto sgradevole sotto gli elmetti e le maschere nere. Queste immagini fanno rabbrividire nelle case occidentali, e questo è lo scopo.
Il resto della popolazione, a Minsk, e soprattutto nelle province, sembra ancora piuttosto fedele a Lukashenko, anche se spesso è rimasto scioccato dalla brutalità della polizia, il che spiega i tentativi di lanciare scioperi a Minsk, ma anche in diverse grandi fabbriche delle province. È difficile dire quale sia la reale percentuale di scioperanti, soprattutto quando il sindacato maggioritario non chiama allo sciopero, ma a negoziati di compromesso per preservare la pace. In compenso, di fronte alle grandi aziende di Minsk ragazzi energici, accompagnati da affascinanti giovani donne, chiedono ai lavoratori all’ingresso delle fabbriche di astenersi dal lavoro. Dalle regioni di Brest e Grodno, ci sono anche tentativi di penetrazione da parte di manifestanti più o meno bielorussi, provenienti dalla Polonia o dalla Lituania, il che spiega le manovre militari che il governo ha appena lanciato sui confini occidentali del Paese.
[D] Perché i paesi occidentali, ma anche la Russia, sono così poco entusiasti del sistema in vigore in Bielorussia?
[R] L’industria e l’agricoltura bielorussa producono molto di più delle patate, cui si vorrebbe ridurre l’immagine del Paese per far ignorare le sue grandi capacità tecnologiche, che sono state costantemente sviluppate durante l’era sovietica ma anche da quando Lukashenko è salito al potere. Autocarri giganteschi per l’industria mineraria, trattori di alta qualità, l’industria aerospaziale, i computer, l’industria militare avanzata, ecc. Si tratta di un’economia insolente agli occhi dei capitalisti, per i quali la proprietà pubblica deve necessariamente fare rima con arcaismo e inefficienza. Inoltre i cinesi, il nuovo nemico dichiarato dell’Occidente, hanno puntato molto sulle capacità produttive e scientifiche della Bielorussia e sulla sua posizione di hub verso l’Europa occidentale, per cui questo “giocattolo” deve assolutamente essere tolto dalle loro mani. E fa niente se questo significa dare “dolcetti” ai criminali oligarchi russi. Almeno all’inizio, poi si potrà sempre ridefinire la divisione del bottino fifty/fifty, o anche in proporzioni più favorevoli se nel frattempo si sarà riusciti a inceppare la macchina del Cremlino. I capitalisti sanno come cooperare per distruggere un sistema alternativo, prima di distruggersi a vicenda una volta aperto il mercato del paese preso di mira. Non è ancora il caso della Bielorussia, e ciò ormai da trent’anni: di qui il nervosismo delle élites conservatrici di tutti i paesi.
[D] Lukashenko può contare sul sostegno attivo di una parte della popolazione? Perché i suoi sostenitori si sono mobilitati in ritardo?
[R] Se Lukashenko ha visibilmente perso il sostegno di una parte dei lavoratori, che si sentono orgogliosi delle loro fabbriche e non vedono perché dovrebbero chinare il capo davanti a un potere paternalistico che funziona sempre più, ai loro occhi, come un signorotto del passato, il presidente ha ricordato loro che in Bielorussia si può smettere di lavorare e scendere in sciopero perché il potere ha garantito l’occupazione, ma che se il sistema viene cambiato allora smetteranno di nuovo di lavorare, questa volta perché saranno disoccupati. La manifestazione filogovernativa del 16 agosto a Minsk, tuttavia, ha mobilitato diverse decine di migliaia di manifestanti, e ora si stanno svolgendo manifestazioni di massa nelle principali città di provincia. Malgrado ciò, queste contromanifestazioni sono state tardive perché la popolazione non è abituata a mobilitarsi, che è il principale handicap che il regime attuale sta affrontando per sua stessa colpa.
[D] Quali sono gli interessi strategici della Russia in Bielorussia?
[R] Nonostante le tensioni che da diversi anni turbano i rapporti tra i due Paesi, l’integrazione strategica dei due Paesi è solida ed è impensabile un possibile distacco militare, perché la Bielorussia si trova a meno di 500 km da Mosca. I leader occidentali più moderati sanno di non poter ignorare gli interessi strategici della Russia e quindi che un cambiamento politico a Minsk non potrebbe in alcun modo aprire la strada all’adesione della Bielorussia alla NATO. Per quanto riguarda gli estremisti del “Deep State”, essi non conoscono limiti ai propri appetiti, poiché sono pronti a rischiare la guerra mondiale per allargare senza limiti il loro “spazio vitale”, come la caduta tendenziale del saggio di profitto li obbliga a fare. In ogni caso, Mosca non ha bisogno d’intervenire militarmente in Bielorussia perché l’esercito bielorusso è intrinsecamente integrato nelle strutture occidentali dell’esercito russo e ci sono quindi poche possibilità che cada nel campo dell’opposizione o che accetti di rompere con il fratello slavo. Questo, naturalmente, conferisce alla Russia un ruolo centrale di mediazione nella crisi attuale.
[D] Chi trarrebbe vantaggio, in Russia, se Lukashenko perdesse il potere?
[R] Il capo della società russa Uralchem, Dimitry Mazepin, un potente oligarca bielorusso stabilitosi in Russia, ha cercato a lungo di acquisire la società statale bielorussa del potassio a Soligorsk, il cui valore è stimato attorno ai 150 miliardi di dollari, incontrando il rifiuto sistematico delle autorità di Minsk. Secondo fonti vicine al potere a Minsk, ha quindi pompato un sacco di soldi per “comprare” alti funzionari bielorussi, disposti a cambiare casacca per garantire una privatizzazione del Paese da dividere tra oligarchi russi e occidentali. Le attuali proteste sono quindi una benedizione per questi capitalisti, perché spingono la Bielorussia verso la Russia, dove l’influenza degli oligarchi è abbastanza forte da far pensare che il Cremlino costringerebbe il governo bielorusso a rompere con il principio dello Stato sociale e con l’attaccamento alla proprietà pubblica delle imprese chiave. Per il Cremlino, la difficoltà sta nel non dover affrontare una “rivoluzione colorata” filo-occidentale a Minsk e nello stesso tempo spingere le autorità locali ad abbandonare il loro modello sociale, aprendo il paese alla privatizzazione di massa. In totale, il KGB bielorusso stima che 1,8 miliardi di dollari siano stati pompati in Bielorussia negli ultimi cinque anni, da ovest e da est, per “foraggiare” alti funzionari favorevoli all’integrazione con la Russia e militanti di organizzazioni dell’opposizione vicine, invece, agli interessi occidentali. È così emerso uno strato di soggetti corrotti che hanno interesse a privatizzare piuttosto che a mantenersi in posizioni di governo relativamente poco remunerative.
[D] Lukashenko sembra aver riconosciuto che sono stati commessi degli eccessi nella repressione. Ciò indica un cambiamento di linea o si è trovato di fronte al fatto compiuto e sta cercando di venirne fuori?
[R] Ci sono elementi che inducono a pensare che la brutalità della repressione potrebbe non venire dalla presidenza in sé, ma da funzionari legati all’oligarchia filo-russa che cercherebbero di gettare benzina sul fuoco per spingere Lukashenko nelle braccia di Putin, che poi imporrebbe una politica di privatizzazione in cambio del suo appoggio o di un graduale ritiro del presidente in carica. Le scuse avanzate dal Ministro dell’Interno per gli innegabili eccessi repressivi contro persone non sospettate di violenza, possono ora essere utilizzate da ambienti governativi ostili al Presidente per accusarlo di averle tradite e di non proteggerle più per gli atti commessi. Il KGB potrebbe quindi essere diviso dall’interno, e se Lukashenko o i suoi vogliono tenere duro dovranno ripulire rapidamente i propri servizi e le proprie amministrazioni, cercando allo stesso tempo di disinnescare alcuni degli avversari e ottenere l’appoggio attivo dei propri sostenitori.
[D] Tutti i paesi NATO perseguono la stessa politica in Bielorussia?
[R] Il Ministro degli Esteri bielorusso, Vladimir Makej in particolare, ma anche diversi altri importanti dirigenti del Paese, sono evidentemente da collocare nel campo dei “filo-occidentali” e sembrano nello specifico molto legati alla Gran Bretagna, che è attivamente impegnata a sostenere i movimenti di protesta. Putin avrebbe avvertito Lukashenko, qualche tempo fa, dei legami di questo personaggio con la potenza d’oltremanica, ma quest’ultimo si è rifiutato di ascoltarlo e di rompere con il clan filo-anglosassone di cui riteneva di aver bisogno per bilanciare il peso dei sostenitori di un’unione con la Russia che andrebbe a beneficio degli oligarchi russi. L’Ambasciata britannica a Varsavia svolge un ruolo centrale nell’orchestrare il malcontento a Minsk, in collaborazione con le autorità polacche e baltiche. Scopriamo durante gli eventi di Minsk che le potenze occidentali sono divise tra un’ala “moderata”, che vuole preservare i canali di negoziazione e cooperazione con Minsk e Mosca, e un’ala estremista, interventista, determinata a esacerbare tutti i possibili conflitti in un mondo dove il sistema dominante è stretto alla gola dalla sua stessa crisi. In linea di massima, si può dire che Germania e Francia siano dalla parte dei moderati e, per quanto riguarda la Bielorussia, lo è anche l’amministrazione Trump, mentre i sostenitori dell’estremismo si trovano nel Regno Unito, in quello che anche il New York Times ora chiama l’ormai consolidato Deep State, negli Stati Baltici, in Polonia e in Repubblica Ceca. Da parte russa, è un po’ la stessa cosa: gli oligarchi e i ministeri economici con tendenze globaliste tendono a esercitare la massima pressione su Minsk, mentre i più “statalisti” e “patriottici” “ministeri della forza” sarebbero maggiormente favorevoli a una conciliazione con il regime di Lukashenko. È chiaro che la Russia ha speso molti soldi per sostenere la Bielorussia, ma bisogna anche tenere conto che le industrie bielorusse ad alta tecnologia sono indispensabili per l’industria russa del settore spaziale, aeronautico, militare, agro-industriale e della ricerca scientifica. In tempi di pace e stabilità, Lukashenko ha quindi molti argomenti per imporre le sue scelte a Putin. Indebolito, invece, è debitore nei confronti di Mosca per il prolungamento della sua posizione a capo dello Stato ed è dubbio che la Cina sia pronta a impegnarsi a sostenere un presidente che pure le è molto favorevole, perché ha bisogno soprattutto di mantenere la sua alleanza strategica con la Russia e l’Iran, il che rende la posizione della Bielorussia secondaria rispetto a questo grande gioco.
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