Nei giorni in cui ricorre il 29° anniversario di quel tardivo, goffo e verticistico tentativo di scongiurare la fine dell’URSS, attuato da “gli otto del GKČP” (Gosudarstvennyj Komitet po Črezvyčajnomu Položeniju: Comitato statale per lo stato d’emergenza) per prevenire la firma dell’accordo che doveva stravolgere l’URSS, la cosiddetta “vittima” per antonomasia di quel Comitato, Mikhail Gorbačëv, ha detto che l’errore fondamentale di Aleksandr Lukašenko è stato quello di aver fatto appello troppo tardi agli operai.
“Da che pulpito viene la predica”, si potrebbe dire; anche se, in questo caso, difficile dare torto all’ex primo e ultimo Presidente dell’URSS. In ogni caso, questa è solo una parte della “verità” e non la principale.
Se non si vuol ripetere la storiella diffusa a piene mani a destra e a (certa) sinistra del dittatore da una parte e di tutto un popolo dall’altra, si dovrebbe innanzitutto analizzare chi rappresenti Lukašenko: quale classe o quali settori di classe, quantomeno quali strati sociali siano espressi nella figura de “l’ultimo dittatore d’Europa”.
Si dovrebbero indagare (non è questo il luogo per farlo e le capacità di chi scrive non arrivano a tanto) i movimenti passati e attuali nella società bielorussa. Troppo facile e troppo comodo ripetere: “là c’è un dittatore e di qua ci sono i milioni che subiscono la dittatura di quel singolo despota”.
Il minimo che i leninisti sono tenuti a fare, è chiedersi sempre quali siano le classi in lotta nella data situazione, come siano strutturate tali classi, da chi siano rappresentate e, subito dopo, domandarsi quali direzioni possano assumere i diversi movimenti delle diverse classi, a quali risultati, quali conseguenze possano portare queste o quelle azioni.
Ricordate la polemica di Lenin con Kautsky, a proposito del fatto se, per dittatura, debba intendersi il potere assoluto di un singolo, o se invece una classe sociale intera possa esercitare, e eserciti, nei fatti, la propria dittatura?
O ancora, chiedersi: quali forze stiano dietro alle azioni di determinate “masse”; di chi facciano il gioco quelle azioni: vanno nell’interesse delle “masse” che le intraprendono, oppure delle forze che le spingono? Ricorderemmo Kronštadt; ma è troppo lontana; così come ci è lontana anche solo l’idea di voler vestire bats’ka dei panni del “comunista” e dipingere l’opposizione bielorussa come una massa che chiede “i soviet senza i comunisti”, secondo gli slogan dell’emigrazione bianca che incitava i marinai del Baltico – in quel momento, per lo più piccoli contadini e piccola borghesia – nel marzo del ’21.
Non è necessario andare così indietro nel tempo. Sarebbero forse sufficienti, per dire, proprio quei 29 anni che ci separano dall’agosto 1991, da quelle tre (proprio come i manifestanti bielorussi) vittime sacrificali – Ilja Kričevskij, Dmitrij Komar, Vladimir Usov – nelle strade di Mosca. Ricordiamo benissimo le centinaia di migliaia di persone che accompagnarono i loro funerali; ci ricordiamo benissimo le decine e decine di migliaia di persone che, sempre a Mosca, pochi mesi prima, manifestavano “per la libertà, la democrazia, contro i comunisti”...
C’erano anche allora, da una parte, le masse che “anelavano alla libertà” e, dall’altra, una “dittatura” che privava i cittadini delle delizie del libero mercato?
Ricordiamo chi appoggiasse quelle migliaia di “oppositori” per la libertà (quantunque, ciò in parte contraddicesse con il plauso per il “beniamino dell’Occidente”: era ancora al potere Gorbačëv) e li spronasse ad andare avanti.
Nel giro di due anni di “libertà e democrazia” e “contro i comunisti” (c’era ormai così tanto poco di comunista negli epigoni di quel periodo in Russia, quanto poco ce n’è in quel che resta della “più prospera tra le ex Repubbliche sovietiche” per istruzione, sanità, industria, ecc., targata Lukašenko), invece dei tre morti, ce ne furono decine alla torre della televisione il 3 ottobre del ’93 e centinaia di fucilati il 4 ottobre dietro il Parlamento, dopo essersi arresi agli sgherri eltsiniani.
Fu la prima delle tante “majdan” del dopo URSS.
Ogni volta che si parla di lotta della “opposizione” contro “un dittatore”, sembra che si dimentichi (intenzionalmente o meno) cosa abbiano significato i risultati di quella lotta, in termini di lutti, di contrapposizioni, di conflitti, e poi di disoccupazione, miseria, distruzione anche degli ultimi rimasugli delle realizzazioni sociali del periodo sovietico.
Si dimenticano le decine di milioni di morti (finanche per miseria, per non essere in grado di alimentarsi a sufficienza, o di potersi pagare cure non più gratuite), la chiusura e la distruzione materiale dei più grossi impianti, l’accaparramento di terra, miniere, risorse naturali svendute ai privati, le “riforme” dettate dal FMI, gli aumenti di prezzi e tariffe: in Ucraina, in Russia, ovunque nello spazio ex sovietico, l’emigrazione in cerca di occupazioni meno che dignitose, l’istruzione divenuta, come volevasi, solo d’élite e la conseguente “fuga di cervelli”.
Troppo facile parlare di “un dittatore”: aiuta molto bene a nascondere l’essenza di classe della questione, ma non dice nulla su quali forze si muovano sulla scena e dietro le quinte. Da un lato della barricata c’è “il dittatore” e dall’altro ci sono le masse: ovvio che si debba stare dalla parte delle masse. Tanto più se quel “dittatore” manda ancora qualche lontano olezzo di “statalismo”.
E dunque: “Lukašenko vattene!” è lo slogan urlato a destra e a (certa) “sinistra”. Certo che bats’ka se ne dovrà andare prima o poi; ma non certo per i motivi cari a Bruxelles, Varsavia, Washington. Non certo perché sia “l’ultimo dittatore” fatto passare per “comunista”.
Dunque, è il caso di chiedersi dove andrebbe non la “Bielorussia senza Lukašenko”, ma la Bielorussia della “opposizione democratica”, di cui sono noti programmi e linee; anche se bats’ka stesso ha già da tempo messo mano alle stesse “riforme”.
Stabilito questo, è ovviamente il caso di discutere quale sia una politica che, senza bats’ka, metta al primo posto le esigenze sociali dei lavoratori bielorussi e non quelle della borghesia “compradora”, legata, a seconda dei casi, o al grosso capitale occidentale o a quello russo.
Il nodo, chiaramente, è la debolezza delle organizzazioni sociali comuniste o di sinistra, che, oltretutto, non sono state trattate esattamente coi guanti di velluto da bats’ka negli ultimi anni. Nei giorni scorsi, Aleksandr Buzgalin si chiedeva se a protestare davvero in Bielorussia siano le masse, oppure chi sta dietro di esse e invia loro istruzioni via internet da Lituania, Polonia, Ucraina, Repubblica Ceca, Ungheria, Gran Bretagna, ecc. e auspicava che nelle piazze si avanzino non solo astratti slogan su “nuove elezioni”, ma si lavori concretamente per un dialogo tra potere e società civile, su temi sociali ed economici.
In caso contrario, il rischio è quello dell’ennesima “rivoluzione arancione”, già tentata negli anni scorsi e ora ripresa con più forza, più mezzi e più esperienza.
Anche perché, ciò che sta accadendo oggi in Bielorussia, si è verificato due anni fa anche in Armenia, scrive il leader del partito “Adekvad” Artur Danieljan: stesse “tecniche, stessa propaganda, idee, utilizzate oggi in Bielorussia. Ovviamente, c’era insoddisfazione, ma questa era alimentata da strutture ben determinate, anche con l’aiuto dei media”.
Dopo il cambio di potere, “non è successo niente di buono: gli oligarchi si stanno arricchendo a spese della popolazione. Fratelli bielorussi, debbo deludervi: indipendentemente dall’esito delle proteste, vi attende un periodo in cui tutti gli indicatori cadranno, dato che la radice dei vostri e nostri problemi è che stiamo giocando un gioco, le cui regole sono scritte oltreoceano”.
Appelli arrivano anche da Kiev: su realtribune.ru, l’attivista ucraino per i diritti umani Volodymyr Čemeris ammonisce a non fidarsi della borghesia compradora bielorussa, legata all’Occidente e alla Russia; “i programmi dei concorrenti di Lukašenko includono privatizzazioni, vendite di terreni, riforme neoliberiste, decomunistizzazione. Sia che Lukašenko cada, sia che rimanga, quei programmi saranno portati avanti nel prossimo futuro. Questo è l’interesse del capitale transnazionale, per il quale la Bielorussia, come l’Ucraina, non è altro che un’appendice di materie prime, un mercato di vendita, un serbatoio di manodopera a basso costo. Le riforme sociali non verranno attuate né in Bielorussia né in Ucraina”.
Oltretutto, “non esiste un movimento sociale di sinistra con un programma sociale che possa prendere il potere e attuare riforme nell’interesse della classe operaia... Alle manifestazioni dei lavoratori, non si odono quasi per niente richieste sociali serie, tranne, forse, alcune generali e amorfe“.
Il 17 agosto, il canale televisivo di stato Belarus 1 ha trasmesso un servizio sul programma dell’opposizione “Pacchetto di riforme di rianimazione per la Bielorussia”. Il politologo Andrei Mančuk ha notato che quel programma è una copia di quello ucraino apparso nel 2014 dopo majdan: “Questo è un programma per la rinascita economica di una futura Bielorussia libera... La coalizione che lo promuove è un clone del Pacchetto di riforme di rianimazione ucraina: nemmeno i nomi sono stati cambiati. Questa è la struttura che fornisce al governo ucraino riformatori ed esperti neoliberisti – con un’enfasi sulla privatizzazione, la denazionalizzazione dell’economia, la promozione degli interessi delle strutture finanziarie internazionali e delle società transnazionali”.
D’altra parte, scrive la direttrice dell’Istituto di strategie russe, Elena Panina su iarex.ru, “Lukašenko è come caduto in uno stato di sindrome di Stoccolma. Vede l’Occidente, che lo ha attanagliato, non come un occupante, ma come un liberatore. La penetrazione occidentale nella classe politica bielorussa è già piuttosto ampia, ma finora manca la cosa principale: il controllo sulle istituzioni”.
In ogni caso, rimane l’obiettivo dell’inserimento della Bielorussia nelle strutture UE e NATO, per stravolgere l’intero equilibrio missilistico nucleare ai confini russi; in fondo, armate di tutto punto Romania, Polonia, Paesi baltici, la Bielorussia rimane l’unico corridoio aperto da cui Mosca può contrapporre a USA e NATO il proprio potenziale missilistico.
Lo scrittore German Sadulaev, in un post su facebook, scrive che “Nella Bielorussia salvata da dio e scelta da dio, i lavoratori delle fabbriche sussidiate dallo stato partecipano a manifestazioni a sostegno della signora Tikhanovskaja, che ha scritto nero su bianco nel programma che, appena arrivata al potere, avrebbe tagliato i sussidi e affidato le imprese non redditizie alle mani di manager efficienti che le avrebbero ottimizzate. Non bisogna mai sottovalutare il grado di idiozia del cosiddetto uomo comune“.
Anche se il punto, commenta Ivan Andreev su svobodnaja pressa, non è solo l’idiozia. Siamo tutti idioti qui. Come dice Sherlock Holmes nell’omonima serie TV cambogiana: “Se nulla è chiaro, fai un’analisi di classe“.
Anche Gautama Buddha, nel X millennio prima della nostra era, disse: “Nel gioco sociale, la classe che sarà in grado di convincere la società che i suoi ristretti interessi di classe sono generali, nazionali o anche umani universali, vince“.
Da allora nulla è cambiato. In Bielorussia, la grande e media borghesia straniera, semi-straniera e compradora è riuscita a convincere una parte significativa della classe operaia e della piccola borghesia che i suoi interessi siano gli interessi dell’intero popolo. E ora “tutto il popolo” va sotto i manganelli della polizia per il bene della propria classe sfruttatrice.
L’economista Elena Veduta, figlia del celebre economista-cibernetico Nikolaj Veduta, dice su realtribune.ru di capire l’insoddisfazione “della gente nei confronti del presidente, ma sorge la domanda: dove viene indirizzata tale insoddisfazione? Sembra che nessuno chieda a bats’ka di cambiare il vettore dello sviluppo economico nell’interesse del miglioramento della vita delle persone. Questo argomento non viene sollevato. Si sono semplicemente stancati di lui, oltre che del modello della sua gestione, credendo ingenuamente che tutta la faccenda consista nel privatizzare le proprietà statali”.
L’oligarchia finanziaria mondiale trova facilmente quegli eletti che sono pronti a servirla per denaro e non sono contrari ad arraffare pezzi di proprietà statale. Questi prescelti sono i coordinatori delle azioni della folla strategicamente non pensante. Perché la folla è per lo più giovane? Alexandr Grigorievič, Lei si è mai preoccupato di ciò che viene loro insegnato? Dia un’occhiata ai loro libri di testo di economia e scienze politiche. Guardi cosa scrivono alcuni dei Suoi insegnanti. Dove condurranno i giovani? In piazza, contro di Lei.
Per troppi anni è stato loro ripetuto il mantra del mercato e sono diventati zombi del mercato. È colpa Sua. Lei si è assunto la piena responsabilità per il futuro del paese; quindi i giovani La incolpano per tutti i problemi del paese.
E, dietro la loro sincera indignazione, ci sono le spade di coloro che sono venuti a distruggere il futuro della Bielorussia, per arricchimento personale: oligarchi tedeschi, polacchi, russi e altri. Non mi sorprende, quindi, che alcuni amministratori di grandi imprese, desiderosi di diventarne i proprietari, oggi La tradiscano, usando cinicamente i loro lavoratori contro di Lei, e domani priveranno questi stessi lavoratori di tutti i diritti. Ecco perché, Alexandr Grigorievič, sono per Lei”.
Non mancano nemmeno gli appelli caustici a una majdan bielorussa, e se ne indicano, fotografie alla mano, i risultati già acquisiti in Russia e Ucraina: “Si dice che alcuni gruppi di lavoratori in Bielorussia sostengano le proteste di destra e stiano cercando di organizzare scioperi di destra nelle loro fabbriche. Benissimo! Lo stabilimento di trattori di Volgograd esprime piena solidarietà e si unisce allo sciopero! Vero è, che già da tempo siamo in sciopero a tempo indeterminato e, forse, per sempre! Anche la fabbrica di autobus di L’vov è dalla vostra parte, fratelli bielorussi di majdan! E anche la compagnia di navigazione del mar Nero è in sciopero! 30 anni fa, era la più grande d’Europa e la seconda al mondo, con quasi 300 navi, senza contare le navi ausiliarie. Ora, di tutto quell’antico splendore, c’è solo questo rimorchiatore adagiato su un fianco sulla spiaggia di Odessa. Ma anche quello sciopera! Urra! Continuate così! Avanti verso l’Europa! Non un passo indietro! Così vinceremo! E alla fine, senza dubbio, le rovine delle fabbriche bielorusse si uniranno presto alle rovine di quelle ucraine e russe. Si dice che anche lo stabilimento di Odessa “Krajan”, famoso produttore di gru industriali, abbia espresso la sua solidarietà agli scioperanti. Forza! Il tiranno deve andarsene!”
Per concludere, sostegno alla “lotta contro il dittatore” è venuto anche dall’Ucraina golpista, dove si arruolano volontari tra veterani dal Donbass e “NatsKorpus” per “compiti al di fuori dei confini ucraini”. Gli oppositori di Lukašenko non dovrebbero ripetere gli errori della majdan ucraina, ha detto Andrey Stempitskij, successore di Dmitro Jaroš a capo del neonazista “Pravyj Sektor”.
“Richiamando l’attenzione sull’imponenza e sul carattere di massa e a lungo termine delle proteste in Bielorussia, ne concludiamo che gli eventi bielorussi hanno molto in comune con la majdan ucraina. Ciò considerato, facciamo appello ai manifestanti a non ripetere gli errori degli ucraini nel 2014! Dopo aver cacciato il dittatore Lukašenko, non lasciate il potere ai liberali e alle persone che sono indifferenti alla Bielorussia e al suo popolo. Gli ucraini sono con voi e sono sempre pronti a prestarvi le proprie spalle”.
È tutto.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento