È deceduto a 97 anni Cesare Romiti. Ai più giovani è un nome che non dice nulla. Per un’altra generazione è l’uomo che guidò gli interessi della Fiat nel decisivo scontro di classe nel 1980 contro gli operai della principale fabbrica italiana e, conseguentemente, contro tutto il movimento operaio nel nostro paese.
Romiti è stato il volto dell’arroganza padronale e della determinazione nel mettere in ginocchio la classe operaia alla fine di un ciclo di emancipazione storica dei lavoratori e dell’intera società. Una emancipazione che mal si adattava agli interessi materiali ed ideologici del capitalismo in Italia.
Come molte altre, la sua è una storia che nasce dal basso ma che sin da subito si integra perfettamente con i poteri forti fino a diventarne un uomo di fiducia e di punta per tutto il lavoro sporco.
Nel 1947, a 24 anni viene assuntodal Gruppo Bombrini Parodi Delfino di Colleferro in provincia di Roma. Si tratta di una grande fabbrica di produzioni militari sotto il controllo della Difesa e dei servizi segreti italiani e statunitensi. Ne diventa il direttore finanziario. Per dare un’idea della valenza dell’impianto in cui il giovane Romiti fa la gavetta, insieme a lui lavora anche Mario Schimberni, quello che sarà il futuro presidente della Montedison.
Dopo la fusione con la Snia Viscosa, nel 1968, Romiti diventa direttore generale e qui inizia a costruire un rapporto di fiducia personale con Enrico Cuccia, ossia il principe nero di Mediobanca (il salotto dominante della finanza in Italia). Lo stretto rapporto con Cuccia gli farà da battistrada nel diventare il principale manager privato in Italia.
Dopo alcuni anni come amministratore delegato all’Alitalia, nel 1974, su richiesta di Gianni Agnelli, Cuccia lo segnala come direttore centrale di finanza, amministrazione e controllo del gruppo Fiat e nel 1976 ne diventa l’amministratore delegato.
La dolorosa ristrutturazione della Fiat nasce proprio in quel salotto privato di Mediobanca in cui Romiti è di casa. E sarà Romiti a pianificare lo scontro frontale per piegare gli operai della Fiat. Prima con i 61 licenziamenti politici nel 1979 e poi con i licenziamenti di massa nel 1980.
Il 5 settembre 1980 la Fiat mette in cassaintegrazione per 18 mesi 24mila dipendenti (quasi tutti operai). L’11 settembre – dopo una settimana di trattative con i sindacati – la Fiat annuncia 14.469 licenziamenti. Romiti, definisce i licenziamenti essenziali per non fare fallire l’azienda. Sono giorni e giorni di picchetti ai cancelli della fabbrica che viene addirittura occupata. L’allora segretario del PCI Berlinguer terrà un comizio ai cancelli della Fiat annunciando (in minoranza nella segreteria del Pci) il suo sostegno alla lotta.
Romiti, sostenuto dall’intero sistema politico/mediatico (La Repubblica inclusa per intendersi, con De Benedetti avrà un rapporto di odio/amore per anni ndr), accentua lo scontro e organizza la Marcia dei Quarantamila (impiegati e funzionari della Fiat ma anche commercianti ed esponenti dell’anticomunismo diffuso) in funzione antioperaia.
I sindacati Cgil Cisl Uil invece di rispondere chiamando alla mobilitazione il movimento operaio, calano le braghe e accettano il piano Fiat sulla cassa integrazione a zero ore che diventeranno poi licenziamenti veri e propri. Nelle assemblee operaie negli stabilimenti Fiat i sindacalisti verranno presi a ombrellate, contestati e rincorsi dagli operai che si sentono traditi. Con la sconfitta del 1980 alla Fiat inizierà il ciclo regressivo delle conquiste sociali e sindacali nel nostro paese.
Con la sconfitta degli operai alla Fiat e il rapporto fiduciario con il banchiere dei banchieri Enrico Cuccia, Romiti condizionerà anche la stessa famiglia Agnelli e diventa il manager più potente d’Italia fino a metà degli anni ’90. Dimessosi dalla Fiat (con una buona uscita di 105 miliardi più 99 per il patto di non concorrenza, ndr), passerà alla Gemina, la finanziaria che controllava il gruppo editoriale Rcs (Corriere della Sera).
Insomma Romiti è stato un vero e proprio “Uomo nero” del capitalismo italiano, spietato e potentissimo, sia contro gli operai sia verso i competitori nel suo mondo. Il fatto che nel 2009 sostenne l’appello all’unità per far eleggere Napolitano a Presidente della Repubblica (in contrasto con Berlusconi) gli ha assicurato la pubblica benevolenza da salvatore della patria del tutto immeritata.
La dipartita di Romiti non merita neanche una lacrima.
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