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17/08/2020

Spagna - Operazione “salvare la corona”

I fatti erano noti da mesi e facevano presagire una mossa della famiglia reale volta a mettere la corona al riparo dall’ultimo scandalo che minacciava non solo di travolgere il re emerito Juan Carlos (indagato in Svizzera e in Spagna per riciclaggio di denaro sporco, evasione fiscale e corruzione) ma anche di far traballare il trono del figlio Filippo.

La trama era stata scoperta da alcune inchieste giornalistiche inglesi e svizzere, che ne avevano rivelato i dettagli, mentre Filippo VI cercava di prendere le distanze dal padre e annacquare la vicenda.

Ma è difficile mettere la sordina ai cento milioni di dollari che nel 2008 sarebbero transitati dalla monarchia saudita al conto svizzero dell’ex sovrano e approdati alla fondazione Lucum, una entità finanziaria con sede a Panama e ora chiusa, il cui beneficiario risultava essere, dopo Juan Carlos, l’attuale re Filippo VI, secondo quanto rivelato dal quotidiano inglese The Telegraph.

La somma sarebbe stata una commissione in nero legata all’aggiudicazione dei lavori dell’alta velocità da Medina a La Mecca a un consorzio di imprese spagnole.

La necessità di arginare la prevedibile indignazione dell’opinione pubblica (la cui fiducia nella monarchia è scesa in Catalunya a livelli minimi, dietro la chiesa e le banche) è così all’origine della pezza cucita dal governo e da Filippo VI alla istituzione più rappresentativa del regime del ’78: la fuga del re emerito non è un gesto impulsivo e disperato, ma un’operazione dei più alti poteri dello stato, preparata con cura per salvare una corona sempre più sommersa dalla corruzione.

Come in un gioco di prestigio, il governo PSOE-Podemos ne ha organizzato la sparizione esibendosi in una imbarazzante commedia delle parti. In un primo momento il segretario del PSOE, rispondendo alla domanda se era a conoscenza della mossa del re emerito, ha dichiarato che “i nostri uffici sono discreti. Tra la mia persona e la casa reale c’è una riservatezza che intendo preservare”, lasciando intendere di sapere più di quanto era disposto a raccontare.

La reazione sdegnata non solo dei partiti indipendentisti di tutto lo Stato (ERC, CUP, BNG, EH Bildu...), ma anche dei soci di governo, ha costretto i socialisti a correggere il tiro, affermando tardivamente di non aver accordato con la casa reale la fuga dell’anziano ex governante. Ma tutto ciò che ha a che fare con la sicurezza del re emerito viene gestito direttamente dal ministero dell’interno, attualmente occupato dal socialista Fernando Grande-Marlaska.

Per quanto riguarda il ruolo svolto da Podemos nella vicenda, nonostante il partito vanti la vicepresidenza del governo (occupata da Pablo Iglesias) e sia dunque presumibilmente al corrente delle scelte del governo di coalizione, sembra aver potuto fare ben poco per evitare la fuga dell’anziano Borbone, mostrando una volta di più lo scarso peso specifico di cui gode nel governo.

A questo proposito è interessante l’opinione di uno storico militante dell’esquerra independentista, lo scrittore Julià de Jòdar, secondo il quale “Podemos è vittima di un miraggio: fare la politica del PCE di Carrllo durante la transizione. Lottare per ottenere un posto nell’establishment che l’establishment non ti concederà mai, perché se lo stato spagnolo ha una caratteristica distintiva (sia durante il franchismo che nella transizione) è l’anticomunismo. Chiunque si dica comunista non sarà mai accettato, né dalle élites economiche né dall’oligarchia politica”.

E nonostante abbia cercato disperatamente di smarcarsi dalla posizione di Sánchez, la formazione della sinistra spagnola è stata aspramente criticata dall’esquerra independentista.

Secondo Vidal Aragonés, deputato della CUP alla camera catalana, il repubblicanesimo di Podemos, privo di misure tattiche e strategiche per raggiungere l’obbiettivo, si riduce alla occasionale difesa di un simbolo, la repubblica spagnola, dietro il quale si nasconde la difesa dell’unità di Spagna. Perciò Aragonés ha ribadito la scommessa per la repubblica catalana, una rottura in grado di riaprire un processo di democratizzazione in tutto lo Stato.

La persistente corruzione e l’impunità della corona non sono che ulteriori elementi rivelatori del fallimento della transizione e mostrano tutti i limiti delle istituzioni liberaldemocratiche in Spagna (dove le famiglie arricchitesi col franchismo continuano a rappresentare l’élite economica del paese). Riproponendo la favola della transizione modello, Pedro Sánchez ha difeso la monarchia e la fuga di Juan Carlos affermando di considerare “pienamente vigente il patto costituzionale”.

Peccato che questo patto non abbia mai incluso una votazione popolare sull’istituzione monarchica, la cui legittimità risiede ancora nel regime franchista. Juan Carlos infatti accetta il titolo offertogli da Franco nel 1969 giurando con la seguente formula: “ricevo da Sua Eccellenza il Capo dello Stato e Generalissimo Franco la legittimità politica sorta il 18 luglio del 1936, in mezzo a tanto patimento, triste ma necessario perché la nostra patria recuperi nuovamente il suo destino”.

Difficile essere più chiari. Una fedeltà al fascismo spagnolo che i partiti democratici ingoiarono all’epoca come un rospo, ribadita solennemente da Juan Carlos dopo la morte del Generalissimo, quando il Borbone sale al trono e giura “nel ricordo emozionato di Franco” di “difendere i principi fondamentali del movimiento nacional”.

“Repubblica sí, sempre, però catalana, come unica garanzia di un nuovo patto istituzionale che non si porti dietro né i fantasmi della dittatura né le oligarchie inamovibili”, ha affermato la deputata della CUP a Madrid Mireia Vehí.

E gli anticapitalisti e indipendentisti catalani hanno rilanciato la loro proposta radicale per le prossime settimane proponendo una serie di misure per cambiare le condizioni delle classi popolari: esproprio di tutte le risorse sanitarie private e servizi pubblici al 100%, fine delle esternalizzazioni, abolizione della riforma del lavoro e riduzione dell’orario, nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, esproprio delle proprietà immobiliari degli istituti finanziari e alloggio degno per tutti, istituzione di una banca pubblica, esercizio del diritto all’autodeterminazione dei Països Catalans e uscita dall’Unione Europea.

Per la CUP, infatti, il recente accordo di Bruxelles è in perfetta continuità con le ricette liberiste seguite da decenni dai governi europei che, secondo gli anticapitalisti e indipendentisti catalani, semplicemente “vogliono sostituire gli uomini in nero della Troika con quelli grigi dei paesi frugali”.

Perciò la CUP ritiene più che mai necessario difendere la sovranità dei popoli davanti alla UE, al capitale finanziario (rappresentato dall’Íbex35, il principale indice di borsa spagnolo) e allo stato. Istituzioni davanti alle quali per la formazione dell’esquerra independentista “non c’è altra soluzione che l’autodeterminazione”.

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Il video del giuramento di Juan Carlos si trova a questo indirizzo.

Nel 2018, un collettivo di musicisti formatosi per l’occasione compose l’evocativo singolo Los Borbones son unos ladrones, in solidarietà con i rapper Pablo Hasél e Valtònyc, accusati di istigazione al terrorismo e ingiuria alla corona: il video, girato nella prigione franchista recentemente dimessa della Model di Barcellona, si può vedere qui.

Fonte

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