Il periodo che va dal 1450 al 1750 è tristemente noto per gli oltre
100.000 morti causati dalla caccia alle streghe, scatenata dai tribunali
religiosi dell’inquisizione che si accanirono in particolar modo sulla
figura femminile. L’accusa era quella di aver praticato malefici e
adorato il diavolo. Le condanne a morte venivano eseguite dopo che gli
accusati erano stati sottoposti a crudeli torture per mezzo delle quali
si estorcevano le confessioni. L’inquisizione faceva riferimento agli
svariati trattati di stregoneria del tempo tra cui il “Malleus
maleficarum” scritto nel 1487 da due preti domenicani Heinrich Kramer e
Jacob Sprenger e il “Tractaus de haereticis et sortilegiis”del giurista
Paolo Grillandi scritto nel 1536.
Oggi il termine viene utilizzato come metafora quando, nei riguardi
di persone o di gruppi si apre, con un certo accanimento al limite della
vera e propria persecuzione, un’indagine di pubblico dominio per
contrastare il divulgarsi di ideologie, opinioni, concezioni, ritenute
pericolose per la società o lo stato, come fu la caccia ai comunisti del
senatore McCarthy negli USA degli anni '50.
Nel caso dei furbetti del bonus dedicato alle partite IVA su cui si sono gettati,
a caccia dei 600 euro procapite, circa 2000 politici, tra cui sembra ci
sia un presidente di regione e almeno 3 deputati che si sono però
autodenunciati subito dopo lo scoppio dello scandalo lanciato da
“Repubblica”, non si può certo parlare di caccia alle streghe visto che
l’incentivo era riservato ai titolari di partite IVA in difficoltà. A
tale riguardo una volta Antonio Gramsci, nell’articolo “il popolo delle
scimmie”, affermò che la classe politica italiana si è “specializzata in
cretinismo parlamentare […] con il parlamento che […]diviene una
bottega di chiacchiere e di scandali […] e perde ogni prestigio presso
le masse popolari” . Oggi i tempi sono cambianti ma certe cattive
abitudini sono rimaste incollate al genoma della nuova classe politica
come una sorta di malattia ereditaria.
Infatti i 2000 politici locali, pur beneficiando di uno stipendio
mensile rafforzato dai gettoni di presenza, pur non violando la legge,
non si sono astenuti dal richiedere il sussidio. Nello stesso periodo
già diverse migliaia di persone non hanno percepito un euro nonostante
la profusione a valanga di dpcm e delle tante, troppe chiacchiere e
rassicurazioni del governo, alle quali hanno fatto eco i mass media
nazionali pubblici e privati.
Ma quello che più sconcerta in questa “repubblica delle banane” sono
state le “chiacchiere da bottega” e il “cretinismo parlamentare” che si
sono espresse tramite il diritto alla difesa della riservatezza, della
privacy di istituzioni come l’INPS che dovrebbero essere invece
trasparenti come il cristallo di Boemia. Trincerarsi dietro il diritto
alla privacy, alla burocrazia, ai regolamenti alle immunità
parlamentari, ci riporta indietro ai tempi della “gloriosa prima
repubblica” dove era praticamente impossibile sanzionare o espellere i
politici che sbagliavano. Ridicola quasi da avanspettacolo di bassa
qualità è stata l’audizione del presidente dell’INPS in commissione
parlamentare dove non si è fatto il minimo accenno sui 2000 politici
locali e su altri due deputati. Anzi è venuto fuori che l’INPS aprirà un
Audit interno per far chiarezza sulla fuga di notizie che hanno aperto
lo scandalo politico scoppiato guarda caso, in prossimità del referendum
sulla riduzione del numero di senatori e parlamentari. Mai ci potrebbe
essere pubblicità migliore in favore del taglio dei parlamentari
previsto dal prossimo referendum! Certamente la vicenda tipicamente
italiana per come è emersa, fa perdere di prestigio e di credibilità la
politica che non prevede il controllo del popolo sull’operato dei propri
rappresentanti e che non applica la trasparenza sui propri procedimenti
amministrativi, trincerandosi dietro il sipario strumentale di una
privacy che di fatto non è concessa ai comuni cittadini.
L’altra tormentata vicenda riguarda il premier, che si è visto
costretto a correre ai ripari, dopo la pubblicazione sulla stampa dei
verbali del comitato tecnico scientifico, utilizzando tutta la cassetta
degli attrezzi dell’ottimo avvocato qual è. La vicenda nota è la non
tempestiva istituzione della zona rossa nei paesi di Nembro nel
Bergamasco e di Alzano Lombardo. Anche qui siamo di fronte ad un
episodio che è emerso solo dopo l’istanza di accesso civico da parte
della fondazione Einaudi, inoltrata in data 13 Maggio 2020 con la
pubblicazione dei cinque verbali riservati del comitato tecnico
scientifico istituito per far fronte all’epidemia covid-19 e che non
erano stati resi pubblici.
Strano, come cittadino di una repubblica
parlamentare, in fatto di sanità pubblica non credevo si dovessero
utilizzare forme seppur edulcorate di secretazione. Fatto sta che lo si
è fatto ma quel che è peggio sono le dichiarazioni del governo per voce
del suo leader massimo che ha affermato: “ho sempre detto che avremo
lavorato fianco a fianco con gli scienziati ma mai che avremmo ceduto
delle responsabilità, c’è un compito della politica. Non ho mai detto
che avremmo seguito alla lettera le loro valutazioni”. E per i verbali
aggiunge “che quando c’è un processo decisionale così delicato io
rivendico che quei verbali restino riservati. Ma non significa
secretati, non ho mai posto un segreto di stato. E vi annuncio che sono
il primo che consentirà la pubblicazione di tutto, non abbiamo nulla da
nascondere” (cit.riportate dal sole 24 Ore del 9 Agosto 2020).
Due
osservazioni.
La prima: a che serve istituire un CTS che, caso strano, è
composto di soli uomini, se poi le sue indicazioni vengono poste al
vaglio delle politica? È un pò come andare dal medico per farsi curare e
poi fare come ci pare!* Seconda osservazione: in un periodo dove i
cittadini erano super vigilati dalla sera alla mattina, che senso aveva
porre come riservati i verbali del CTS se non per avere le mani libere
per fare come meglio gli pareva? Forse per dare ascolto alle forti
preoccupazioni del mondo imprenditoriale? Fatto sta che richiamare il
concetto di responsabilità politica, visto il casino che è successo da
quelle parti, mi sembra un’ingegnosa alchimia retorica per difendere una
scelta politica fatta in barba ai consigli dei medici. Credo da
cittadino, di poter esprimere tutti i miei dubbi su tale affermazioni
che interpreto come un chiaro errore politico. Come al solito nessuno
pagherà nonostante siano stati raggiunti da avviso di garanzia ben sei
ministri della repubblica italiana.
Infine alcune osservazioni sul nuovo ponte di Genova. Questa
bellissima opera andrà, per ironia della sorte e contraddicendo le
speranze dei familiari delle vittime, nelle mani degli stessi gestori
attualmente sotto inchiesta per il crollo del ponte Morandi per scarsa
manutenzione. Qui lo Stato italiano ha dato espressione massima della
sua incapacità. Non occorre essere laureati in economia e commercio alla
Bocconi per notare alcune evidenti incongruenze proprie di una
“repubblica delle banane”. Questa vicenda drammatica alla fine si è
risolta a tarallucci e vin santo riassegnando la gestione del ponte alla
solita società. Anche in questo caso non si è scavato abbastanza a
fondo nell’individuazione delle colpe che hanno portato alla concessione
capestro con penali di decine di miliardi. Come è stato possibile che
il governo, a fronte di concessioni pubbliche dove si ricavavano
miliardi di euro in pedaggi, non abbia mai pensato in vent’anni a
mettere in piedi un meccanismo di controllo sulla buona gestione
manutentiva delle infrastrutture gestiste e costruite con soldi
pubblici? Se tale controllo fosse stato attuato, forse oggi non si
piangerebbero molti morti. Quale tipologia di pubblico interesse si è
tutelato dando luogo ad una concessione così sbilanciata a favore dei
gestori?
Venendo alle ultime e “brillanti” iniziative del governo, da
profano mi pare evidente che lo stato subentrerà nella gestione delle
infrastrutture stradali trovandosi in mano una situazione dove dovrà
investire molti soldi pubblici per il loro ammodernamento e messa in
sicurezza. Credo che in un paese in cui il governo presta cura agli
interessi pubblici, la cosa doveva risolversi con l’immediata revoca
della concessione per giusta causa con relativa tutela dei posti di
lavoro per passare poi alla statalizzazione facendo tabula rasa della
vecchia gestione.
Invece oggi ci troviamo in alto mare, con accordi di
massima ancora da sottoscrivere dai vari CDA e nonostante il parere
positivo della corte costituzionale che ha dichiarato legittimo l’aver
abbassato la penale a carico dello stato coprendo le spalle allo stato
di fronte ad eventuali richieste di risarcimento miliardario da parte
della vecchia gestione. Con le regole che si stanno delineando l’infrastruttura autostradale passerà a CDP con nuova cordata di soci,
mentre la vecchia gestione rimarrà minoritaria con una quota intorno al
10/12% rimanendo di fatto all’interno della nuova gestione pur non
avendo rappresentanza nel nuovo CDA, ma ricevendo comunque per la sua
seppur minima partecipazione la ripartizione degli utili derivanti dalle
quote societarie in suo possesso. Tale bella quadratura del cerchio è
il risultato di tutta la “bottega di chiacchiere” e promesse del governo
che alla fine ha partorito un timoroso e spaventato topolino.
In tutte e tre le vicende c’è un filo rosso che le mette in
comunicazione tra loro: la poca trasparenza dei procedimenti, l’opacità
delle scelte, la completa mancanza di competenza e di tutela del
pubblico interesse che vengono attuate dai governi. Come si diceva una
volta, alla fine paga sempre pantalone, solamente che pantalone qui è il
popolo italiano che sovrano di fatto non è mai stato. Occorre ritornare
al controllo popolare dei propri rappresentanti, istituire delle regole
che prevedano il vincolo di mandato sui programmi venduti come merce in
campagna elettorale. Occorre istituire un meccanismo che possa
prevedere la revoca immediata dei propri rappresentanti politici e che
eviti il “salto della quaglia” da un partito ad un altro o la creazione
di gruppi e partiti parlamentari e governi che non sono legittimati dal
voto popolare. Piccole modifiche che creerebbero grandi cambiamenti e
disarticolerebbero il potere politico di adesso.
Queste idee non sono
nuove provengono dalla gloriosa e sfortunata comune parigina del 1871
che dovrebbe essere studiata con maggiore attenzione se non altro per i
suoi preziosi suggerimenti. A tale riguardo riporto una considerazione
molto interessante di Paul Ginsborg tratta dal libro la democrazia che
non c’è: “la delega della politica a una sfera separata, abitata da
professionisti, organizzata dalle élite di partito, protetta dal
linguaggio tecnico e dalla prassi burocratica degli amministratori e in
vastissima misura impermeabile alla generalità del pubblico. Nel lontano
1861 Mill era convinto che l’essenza della democrazia nella sua
nascente forma rappresentativa sarebbe stata diversa: il senso del
governo rappresentativo è che tutto il popolo o una numerosa parte di
esso eserciti, tramite deputati periodicamente eletti, il potere di
controllo ultimo che in ogni costituzione deve trovare il suo soggetto.
Deve possedere tale potere nella sua pienezza. Deve essere padrone a suo
piacimento, di tutte le funzioni del governo”.
{D@ttero}
“Sul vocabolario c’è scritto che democrazia, è parola che deriva dal
greco e significa “potere al popolo”. L’espressione è poetica e
suggestiva. Ma in che senso potere al popolo? Come si fa? Questo sul
vocabolario non c’è scritto. Però si sa che dal 1945, dopo il famoso
ventennio, il popolo italiano ha acquistato finalmente il diritto al
voto. È nata così la famosa democrazia rappresentativa, che dopo alcune
geniali modifiche, fa si che tu deleghi un partito, che sceglie una
coalizione, che sceglie un candidato, che tu non sai chi è, e che tu
deleghi a rappresentarti per cinque anni. E che se lo incontri, ti dice
giustamente: “Lei non sa chi sono io”. Questo è il potere del popolo”
(cit. “che cos’è la democrazia” di G. Gaber).
Fonte
* Questa è un po' una forzatura che presta pericolosamente il fianco alle derive tecnocratiche che ammorbano la vita pubblica da decenni ormai.
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