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14/03/2021

La notte dei generali senza vaccini


Gli Stati dell’Occidente neoliberista sono cani da guardia delle multinazionali. Ma sono anche suicidi, oltre i limiti di ogni possibili idiozia.

Vi sembra un’affermazione eccessiva?

Vediamo i fatti. Venerdi il Wto – Organizzazione mondiale del commercio – ha di fatto respinto la richiesta per una deroga sui brevetti per la produzione di vaccini contro il Covid-19, avanzata da India e Sudafrica, oltre che da un numero sconfinato di associazioni, medici ed anche dall’Oms (organizzazione mondiale della sanità, un braccio dell’Onu). La deroga avrebbe permesso di produrre in loco su vasta scala le dosi che servono per fermare la pandemia, senza attendere pazientemente che le stesse multinazionali di Big Pharma (al momento solo Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson) arrivino a soddisfare quella domanda, dopo aver rifornito per primi i paesi più ricchi.

L’opposizione è arrivata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea (tutti e 27 i paesi membri di quest’ultima sostenuto la stessa posizione, Italia compresa), che hanno ricevuto anche il sostegno di Svizzera e Brasile. I primi due sono le “patrie” di quelle multinazionali, e “casualmente” sono anche i due paesi occidentali che hanno potuto cominciare a vaccinare su vasta scala le proprie popolazioni. Mentre tutti gli altri stanno in lista d’attesa e vedono ogni giorno arrivare meno dosi di quanto previsto nei contratti.

Dunque l’opposizione anglo-americana appare una logica – ma feroce – difesa dei propri interessi economici (delle società private basate nei propri sistemi-paese) e al tempo stesso, anche se molto in ritardo, della propria popolazione, inizialmente martoriata dall’atteggiamento negazionista di Trump e Boris Johnson (rispettivamente 530mila e 126mila morti). Nazionalismo vaccinale, insomma, niente di nuovo sotto il sole...

Il “niet” di tutti gli altri Paesi risulta invece incomprensibile, se non all’interno di un paradigma suicida in cui la predominanza del “privato” sul “pubblico” è un tabù che non deve mai essere messo in discussione. Neanche davanti alla morte.

Ma è proprio quello che avviene ogni giorno nelle “nostre” società. Da domani, in Italia, scatta per esempio un regime di restrizioni particolarmente chiaro nella sua impostazione: quasi tutto il Paese diventa una “zona rossa” molto particolare, in cui dal lunedì al venerdì quasi 20 milioni di persone potranno muoversi per andare al lavoro (i mezzi di trasporto collettivi, sia pubblici che privati, sono nelle stesse condizioni e nello stesso numero di un anno fa; dunque affollati e pericolosi quanto i luoghi di lavoro). Ma a sera e nel weekend si dovrà stare più o meno chiusi in casa (tranne chi lavora anche in quegli spazi orari).

È ovvio, ci dicono tutti gli scienziati del settore, che il virus se ne fotte del “perché” le persone si affollano in certi ambienti, ma circola con la circolazione umana. Però la produzione va fatta comunque (e infatti quella industriale è rimasta stabile o è addirittura cresciuta anche durante i lockdown), mentre tutto il resto può andare al macero (la vita delle persone in primo luogo).

Quale prova più evidente della predominanza del economico-privato sulla salute pubblica?

Dopo un anno dovrebbe essere evidente anche ad un idiota che quel modo di gestire la pandemia, “convivendo con il virus”, è stata una follia suicida. Non solo ha prodotto una strage senza fine (se 100.000 morti vi sembran pochi, siete da allontanare dal genere umano), ma anche una crisi economica di enormi dimensioni (quasi il 10% di Pil, tutto nei settori non industriali).

Tanto più che in diversi paesi (Cina, Venezuela e Cuba in testa, ma anche Corea del Sud, Taiwan e Nuova Zelanda, per chi ha problemi con qualche forma di socialismo) sono state messe in atto strategie diverse e molto più efficaci: lockdown totali ma circoscritti ai focolai di contagio non appena emergevano, screening con tampone di tutta la popolazione in quelle aree, identificazione e isolamento dei contagiati.

Qui si è preferito “attendere i vaccini”. Che però non ci sono, perché le multinazionali di Big Pharma li distribuiscono prima a chi paga un prezzo più alto (Israele, per esempio), oppure ai propri paesi-base (Usa e GB) per ovvi motivi. O addirittura li fanno girare di contrabbando sul “mercato parallelo”.

Logica (“di guerra”) vorrebbe che si producessero dovunque possibile (servono fabbriche dotate di bioreattori, ma questi ultimi si possono anche comprare o requisire temporaneamente), in barba ai brevetti o persino riconoscendo un minimo di “diritti di licenza”. E invece no. Se ne comincia a parlare, ma sempre nella chiave molto limitativa del “se le aziende si mettono d’accordo tra di loro” (è possibile infatti che sul territorio italiano o europeo ci siano stabilimenti adatti, ma di una multinazionale diversa da quelle titolari dei brevetti). Mai disturbare il profitto di un privato, nemmeno in punto di morte...

Ultimi arrivarono i militari. Quando un sistema sociale barcolla, prima di alzare bandiera bianca, si chiamano i generali e si chiede loro di dimostrare la propria efficienza mantenendo l’ordine.

Con scarsa fantasia, ma fedele agli interessi del grande capitale, anche Mario Draghi è ricorso a quest’ultima risorsa, nominando il generale Francesco Paolo Figliuolo a commissario governativo per la campagna di vaccinazione.


Con piglio e decisionismo militare il suddetto generale ha prodotto il suo bravo “piano”, di cui parlano oggi tutti i giornali, con obbiettivo dichiarato “mezzo milione di vaccinazioni al giorno".

Immaginiamo l’immenso lavoro per preparare la catena logistica (i vaccini arrivano a Pratica di Mare, vicino Roma, vengono stoccati in frigoriferi appositi, trasportati poi là dove servono con camion frigoriferi, distribuiti a decine di migliaia di medici e/o infermieri dotati di siringa, ecc.).

E un grazie sentito, senza alcuna ironia, va detto a tutta questa gente.

Il problema è che la materia da distribuire non c’è. Di sicuro non nelle dimensioni che servirebbero per vaccinare mezzo milione di persone al giorno. E non ci sarà nei tempi necessari, perché anche l’Italia è tra quei paesi che si sono opposti e si oppongono alla deroga sui brevetti che consentirebbe di produrre dove servono le quantità di dosi necessarie.

Potremmo ironizzare a lungo sui generali italiani, da sempre avvezzi a ordinare “offensive” a soldati con le scarpe di cartone, senza munizioni ma con “otto milioni di baionette”. Ma non ci viene...

Anche stavolta siamo senza munizioni, ossia vaccini. E anche stavolta non c’è niente da ridere.

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