Due giorni fa si è tenuta una conferenza online che ha dettagliato i contorni inquietanti di questa vicenda.
Stando a quanto riferito dal giornale tunisino al-Araby al-Jadeed, il 17 febbraio, il Ministero dell’Ambiente tunisino ha affermato che la Regione Campania, il 9 dicembre scorso, hanno emanato una decisione che impone alla società italiana SRA di riprendersi i propri rifiuti entro un termine non superiore a novanta giorni, ovvero entro il 9 marzo, in linea con quanto stabilito dalla Convenzione di Basilea. In caso di rifiuto da parte dell’azienda campana, le autorità italiane, a detta delle fonti governative tunisine, si sono dette pronte a intervenire.
Secondo quanto riportato dal quotidiano tunisino, l’impegno di Roma nei confronti di Tunisi giunge a seguito di un lungo percorso, che ha visto la SRA Campania fare ricorso al Tar, chiedendo la sospensione della decisione emanata dalla Regione. Il Tar, da parte sua, ha declinato la questione, affermando di non avere competenza. Quando è coinvolto anche uno Stato straniero che ha aderito alla Convenzione di Basilea, è stato precisato dal Tar, bisogna ricorrere a un arbitro o, in alternativa, alla Corte Internazionale di Giustizia. Sebbene l’azienda campana abbia affermato di aver agito secondo la legge, le autorità italiane hanno, invece, ammesso la sua colpevolezza, e hanno esortato la SRA ad assumersi le proprie responsabilità, ritirando le tonnellate di rifiuti che si pensa possano emettere sostanze tossiche in un’area portuale abitata.
La SRA di Polla (Salerno), è una società addetta allo stoccaggio di rifiuti ed ha un accordo di fornitura, stipulato con la società tunisina SOREPLAST, titolare di licenza di attività di selezione, recupero e riciclaggio dei rifiuti di plastica.
La SRA avrebbe spedito in Tunisia migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi, almeno così lascia intendere la lettura dei report della stampa informata sui fatti. L’esportazione di tali rifiuti, però, è vietata dalla legislazione tunisina nonché dalle convenzioni internazionali (accordo di Basilea e convenzione di Bamako).
L’estate scorsa i funzionari doganali, nell’ambito di un’ispezione nel magazzino della società fornitrice, constatarono un’infrazione in considerazione della tipologia di codice di identificazione in base al quale i rifiuti sono arrivati in Tunisia (classificati come rifiuti di plastica in realtà contenevano rifiuti pericolosi). Nonostante la prima contestazione, con la richiesta di riesportare i container vietati, la SOREPLAST ha continuato ad operare, facendo arrivare nel porto di Sousse 212 nuovi container carichi di rifiuti pericolosi. Le autorità doganali hanno sequestrato il secondo lotto di rifiuti, per il quale la parte tunisina avrebbe dovuto ricevere l’equivalente di 150 dinari per tonnellata (circa 45 euro), secondo il contratto stipulato con la SRA, che mirava a smaltire circa 120.000 tonnellate nelle discariche tunisine, per un fatturato complessivo di quasi 5 milioni di euro. A Sousse, l’8 luglio, è stato finalmente deciso di sequestrare i container per rispedirli in Italia, ma, fino ad oggi, i rifiuti sono ancora in Tunisia.
La mobilitazione delle forze progressiste e delle associazioni della società civile ha messo pressione alle autorità competenti, che hanno aperto un’indagine giudiziaria, arrestando alti funzionari tra cui il ministro dell’ambiente Moustapha Aroui, licenziato dal governo solo il giorno prima dell’arresto.
La Regione Campania rispondendo a gennaio all’interrogazione della consigliera Muscarà ha rivelato che il “Dossier rifiuti” è in mano alla Procura. Infatti la Regione afferma che non può permettere l’accesso agli atti alla consigliera in quanto sono in mano alla Procura di Salerno e ai Noe, il Nucleo ambientale dei Carabinieri, di Salerno.
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