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29/04/2022

Quando il Donbass era un “entusiasmo”

Quasi quotidianamente, all’interno della bolla mediatica che si è creata in forma martellante sulla guerra in Ucraina, viene nominato il “Donbass” e viene affermato dai media che Putin, per giungere a una tregua, considera tale territorio come irrinunciabile. La parola “Donbass” è la contrazione di “bacino del Donec” ed è una regione geografica dell’Ucraina sud-orientale i cui centri più importanti sono Donec’k, Mariupol’ e Luhans’k. Si tratta di una ricca area mineraria (con giacimenti di metalli adesso largamente utilizzati nell’industria hi-tech) in cui è particolarmente sviluppata la siderurgia (per una visione d’insieme si può vedere la voce di Wikipedia dedicata al Donbass).

La parola “Donbass”, però, a chi un po’ si intende di arte cinematografica, può far venire in mente anche uno dei documentari più significativi della cinematografia sovietica, Sinfonia del Donbass/Entusiasmo (1931) di Dziga Vertov, che nacque per celebrare il piano quinquennale di Stalin, operativo dal 1928 al 1932. Il film pone l’accento sull’importanza delle risorse naturali (il carbone innanzitutto) per il completo sviluppo del Donbass. Esso si può dividere in due parti: la prima è dedicata al tema della religione e all’obnubilamento mentale che ne deriva; la seconda, invece, è la descrizione delle attività lavorative e dei processi produttivi che si svolgono nel Donbass.

Nella prima parte, il regista mostra le immagini di una folla di credenti durante una cerimonia religiosa. Gli atti dei rituali e le stesse inquadrature delle icone sacre appaiono come dei fantasmi onirici che avvolgono la folla tenendola come prigioniera di un vero e proprio abbrutimento della mente. Alla fine della cerimonia, diversi uomini tracannano vodka e si danno all’alcol: vediamo immagini di ubriachi che barcollano, che stramazzano a terra, che si muovono come stupide marionette. La colonna sonora si estende in un accumulo di suoni: il rintocco della campana, gemiti, preghiere e canti liturgici che si uniscono in una sorta di folle carnevale.

Il passaggio alla seconda parte avviene in modo brusco. La chiesa viene ‘ripulita’ dalle icone e dai candelieri e viene trasformata in un circolo operaio. Mentre sfila una processione laica da cui emerge l’enorme figura di un pontefice di cartapesta, cominciamo a sentire urlare una sirena di fabbrica e il film si catapulta di colpo nel mondo del lavoro, nelle officine, negli altiforni e nelle acciaierie del Donbass. I processi produttivi del bacino del Donbass sono descritti meticolosamente in tutte le fasi, dall’estrazione del minerale fino alla sua trasformazione in prodotto. Il film è dominato dall’idea della produttività a ogni costo, simboleggiata dal ritmo martellante per mezzo del quale si susseguono le immagini. La stanchezza degli operai si trasforma in entusiasmo ed essi stessi prendono quasi la forma di macchine, mostrati mentre si muovono meccanicamente al ritmo di una produzione lanciata al massimo per “raggiungere e sorpassare i paesi capitalistici”. Come scrive Nikolaj Abramov, collaboratore dell’Istituto di Storia delle Arti presso il Ministero della Cultura Popolare, in un suo saggio del 1962, Vertov “riprendeva le macchine con entusiasmo perché erano macchine sovietiche, perché le facevano funzionare cittadini sovietici. Per mostrare la bellezza del ritmo dei movimenti di lavoro egli faceva uso di tutto il suo talento e di tutta la sua esperienza. Per la prima volta venivano registrate sincronicamente le voci degli uomini, dei realizzatori del primo piano quinquennale”.

Nel film giocava un ruolo importante anche la colonna sonora, costituita in gran parte da suoni industriali, provenienti dalla fabbrica e dai macchinari. Charlie Chaplin, che assistette alla proiezione del film nel novembre del 1931, scrisse: “Non avrei mai immaginato che i rumori industriali potessero essere sistemati in modo da sembrare tanto belli. Ritengo il film Entusiasmo una delle sinfonie più conturbanti che abbia mai sentito”.

Oggi, che tanto si parla di Donbass in un contesto in cui di “entusiasmo” non c’è proprio niente, probabilmente non farebbe male riguardarsi questo film-documentario di uno dei più grandi registi e teorici del cinema sovietici.

Riferimenti bibliografici:

N. Abramov, Dziga Vertov, a cura di M. Verdone, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1963.
P. Montani, Dziga Vertov, La Nuova Italia, Firenze, 1975.

Fonte

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