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21/04/2022

Infiniti rifiuti

di Guido Salerno Aletta

Sono solo fanfare, neppure chiacchiere: c'è troppo poco, praticamente niente nel PNRR per la Gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma della Economia circolare: in tutto sono 2,1 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi per la realizzazione di nuovi impianti di smaltimento e la modernizzazione di quelli esistenti e 600 milioni per Progetti Faro di Economia circolare.

La Green Economy, la sostenibilità ambientale, l'uso responsabile delle risorse sono solo slogan.

La verità è che sui rifiuti ci sono troppi business, girano troppi soldi, e che con la TARSU i Comuni hanno già risolto tutto: tassano, incassano e dormono sonni beatissimi. Quello che c'è, rimane: raccolta più o meno differenziata, discariche, camion, treni e navi che partono per destinazioni all'estero, pagando profumatamente per lo smaltimento dei rifiuti soggetti che ci fanno sopra bei soldoni.

Nel PNRR ci si salva l'anima distribuendo a pioggia i soliti aggettivi: si tratta di rendere il sistema efficiente, sostenibile, con un approccio ovviamente integrato.

La ciliegina messa come guarnizione sulla pattumiera non può essere che avveniristica ed ipertecnologica: "A sostegno della misura e per il raggiungimento degli obiettivi, verrà sviluppato un sistema di monitoraggio su tutto il territorio nazionale che consentirà di affrontare tematiche di scarichi illegali attraverso l'impiego di satelliti, droni e tecnologie di Intelligenza Artificiale". Altro business, ovviamente.

La verità è che si continua a tirare il toro per coda, perché i rifiuti sono connaturati ad un sistema che li prevede come un elemento ineliminabile dell'intero processo: "produco, consumo, butto". Che poi il rifiuto debba essere interrato, bruciato, recuperato o riciclato, è un problema amministrativo ed organizzativo successivo: si interviene solo sull'effetto, sul "rifiuto", e non sul processo che lo determina.

Bisogna fare diversamente, congegnare la produzione non solo per soddisfare l'uso immediato della merce, ma per riutilizzarne la materia prima che ne residua: per la ri-produzione.

Il problema non è rappresentato solo dai prezzi ormai stellari delle materie prime, quanto dal fatto che il ciclo dei prodotti, che va dalla produzione al consumo, si conclude con il rifiuto: una merce, o quel che ne resta dopo l'uso, viene considerata uno scarto. Va in discarica, viene bruciato o per fortuna riciclato.

Si butta tutto, si ricava energia dalla sua combustione, oppure inizia un nuovo ciclo di produzione. Le bottiglie di plastica vengono fuse, quelle di vetro pure, la carta ed il cartone vengono recuperati, e così avviene per l'alluminio ed un'altra quantità di prodotti.

Il fatto è che queste operazioni sono complesse e costose, e spesso conviene utilizzare materie prime vergini piuttosto che quelle riciclate. Questo è il primo punto da affrontare: ci sono gli inchiostri della carta stampata, i punti metallici negli imballaggi, colle ed altri materiali che devono essere eliminati per procedere al riciclaggio.

Il metodo deve essere dunque diverso: bisogna reingegnerizzare la produzione per soddisfare anche le esigenze del riuso delle materie prime. Le buste di carta combinata con la finestrina di cellophane sono un esempio di come le esigenze commerciali rendano quel rifiuto difficilmente riciclabile: non essendo solo carta a neppure solo plastica recuperabile, finisce tutto nel falò.

Ci sono questioni più complesse, che riguardano soprattutto gli imballaggi. Basta pensare alle confezioni di detersivo, alla varechina, agli ammorbidenti per gli indumenti da mettere in lavatrice. Il costo dell'imballaggio tradizionale in plastica e la loro dimensione sono ragguardevoli: per questo, stanno cominciando ad entrare in commercio dei contenitori molti piccoli, dei salsicciotti, che contengono il prodotto concentrato da diluire a casa con l'acqua riutilizzando il vecchio contenitore. I negozi risparmiano spazio negli espositori, si riducono gli ingombri nei trasporti e si evita anche il riciclo dei contenitori.

Il problema della sostenibilità ambientale non si risolve (solo - ndr) consumando di meno, ma soprattutto producendo meglio.

Anche la leva della tassazione va usata al contrario. Dal punto di vista fiscale, andrebbe ribaltata la metodologia punitiva adottata finora: anziché "tassare chi inquina", sulla base del principio in base a cui si penalizzano fiscalmente le esternalità ambientali negative, si dovrebbe detassare chi produce in modo da recuperare facilmente la materia prima del prodotto o del suo contenitore. Questo sistema va incontro al comportamento fisiologico del consumatore, che è orientato al risparmio rispetto allo standard consueto di prezzi. Invece di mandare fuori mercato alcuni prodotti tassandoli di più, si devono rendere più convenienti gli altri che sono più facilmente riutilizzabili, tassandoli di meno.

Va ripensata tutta la filiera produttiva, invece di considerare solo l'ultimo tratto, quello dello smaltimento dei rifiuti, anche con i sistemi più moderni che producono energia riducendo al minimo le emissioni nocive nell'ambiente. I rifiuti non sono dei combustibili gratuiti, ma materia prima da recuperare.

Nei Paesi poveri non si butta via nulla, perché non c'è proprio niente da buttare. Nei Paesi ricchi si butta tutto perché si compra, si usa, si getta e si ricompra.

In campagna non si butta via nulla, perché tutto viene dalla natura e ciò che resta dopo il consumo ritorna alla natura.

Invece di consumare meno, invece di immaginare una inesistente decrescita felice, bisogna produrre meglio: ri-produrre.

Dalle discariche allo smaltimento, dal riciclaggio alla ri-produzione

Infiniti Rifiuti

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