di Michele Giorgio
Per settimane, dopo l’attacco russo all’Ucraina, il governo di Naftali Bennett ha provato a mantenere una posizione equidistante tra Mosca e Kiev. Una scelta dettata da interessi strategici e fatta in considerazione dei significativi segmenti russi e ucraini presenti nella popolazione israeliana. Tanto che Bennett a inizio marzo si è recato a Mosca per incontrare Vladimir Putin, dichiarandosi pronto a mediare tra le due parti in guerra. Poi sotto la pressione dell’opinione pubblica e per la linea apertamente pro-Ucraina del ministro degli esteri Yair Lapid, l’esecutivo israeliano si è gradualmente spostato dalla parte del presidente Zelensky – di origine ebraica e invitato a parlare in videoconferenza ai membri della Knesset – fino a votare a favore della sospensione di Mosca dal Consiglio Onu dei diritti umani. Un passo che è costato la convocazione dell’ambasciatore israeliano in Russia, Alex Ben Zvi, al ministero degli esteri a Mosca. Tel Aviv non ha condannato l’attacco russo all’Ucraina e non si è unita alle sanzioni internazionali contro Mosca. Non basta a Putin, deluso da Bennett. E il disappunto del presidente russo rischia di impattare sugli interessi israeliani strategici e militari. In un’intervista alla tv Channel 11, l’ambasciatore russo in Israele, Anatoly Viktorov, ha fatto sapere che il Cremlino si aspetta una «posizione più equilibrata» da Israele. I due paesi, ha aggiunto, sono «ancora» amici. «Ancora» è la parola chiave.
I segnali del dispiacere di Mosca sono inequivocabili. Vladimir Putin, che raramente si è lasciato andare a dichiarazioni di sostegno esplicito dei diritti dei palestinesi, l’altro giorno ha telefonato al presidente dell’Autorità Nazionale, Abu Mazen, per esprimergli la condanna russa della politica di Israele sulla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. E, riporta l’agenzia Wafa, ha assicurato che «la Russia continuerà ad appoggiare la causa palestinese in tutti i forum internazionali e a fornire grano ai palestinesi e ad altri importatori in Medio Oriente». Parole accolte con favore dai palestinesi, convinti che il ritorno al bipolarismo Est-Ovest farà gli interessi della loro causa molto più del dominio globale degli Stati uniti. Poche ore prima della conversazione telefonica con Abu Mazen, Putin aveva inviato una lettera al governo Bennett chiedendogli di autorizzare senza indugio il passaggio sotto il controllo russo della Chiesa di S. Alessandro Nevsky, non distante dal Santo Sepolcro di Gerusalemme. Si tratta di un accordo tra Cremlino e Israele risalente a due anni fa. L’ex premier Netanyahu promise la chiesa a Putin in cambio del rilascio della cittadina israeliana Naama Issachar detenuta in Russia dopo essere stata condannata a sette anni per possesso di marijuana. La registrazione dell’atto è ferma e ora Mosca reclama una soluzione rapida.
Sono azioni di disturbo, ritorsioni alle dichiarazioni di Lapid e al voto all’Onu. Più seriamente il governo Bennett teme che Putin congeli la sua decisione di assicurare (da anni) piena libertà all’aviazione israeliana contro presunti obiettivi militari iraniani in Siria (alleata di Mosca). Qualche segnale già si vede. Dopo gli attacchi israeliani di giovedì, l’ammiraglio Oleg Zhuravlev, uno dei comandanti russi in Siria, ha affermato che un missile antiaereo siriano, fabbricato in Russia, ha intercettato un razzo israeliano. Giorni prima, il 24 marzo, l’ambasciatore russo in Siria, Alexander Efimov, aveva accusato Israele di «provocare» la Russia al punto da spingerla a rispondere agli attacchi aerei. Il quotidiano Haaretz di Tel Aviv scrive che il coordinamento con la Russia in Siria non è compromesso ma la libertà d’azione goduta da Israele probabilmente ha i giorni contati. Desta preoccupazione in Israele, aggiunge Haaretz, anche la riduzione delle forze russe in Siria – a sostegno dello sforzo bellico in Ucraina – poiché i soldati russi verrebbero sostituiti da iraniani e milizie filo-Teheran. E se fino ad oggi la Russia ha avuto in Siria relazioni non proprio cordiali con l’Iran, i prossimi mesi dovrebbero vedere un maggior coordinamento tra i due paesi.
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