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15/04/2022

Si scivola lentamente verso la guerra mondiale

A mettere insieme le notizie più rilevanti di questi giorni, ovviamente intorno alla guerra in Ucraina, sale forte la sensazione di stare nella condizione della rana bollita. Dotata di grande capacità di adattamento alla temperatura dell’acqua (“resilienza”, la chiamerebbe qualcuno...), la rana non coglie il pericolo mortale mentre – dentro la pentola sul fuoco acceso – si avvia verso la bollitura. E continua tranquillamente a nuotare...

Fuor di metafora, la “bollitura” è il rischio di ritrovarsi in una guerra mondiale senza neanche accorgersene, ossia continuando a ragionare come se nulla di veramente serio stia accadendo.

Mettiamo in fila le questioni principali.

Gas. L’Europa ne importa per il 40% dalla Russia, attraverso gasdotti; il resto da Algeria, Libia, Azerbaigian, Norvegia. In più si va cercando di aumentare le importazioni di Gnl (gas liquefatto) da Stati Uniti, Qatar, Egitto, Azerbaigian, Nigeria e Corea del Sud.

Primo problema: il gnl costa mediamente il 50% in più (va liquefatto alla partenza e riportato allo stato gassoso all’arrivo), viaggia per nave e di navi gasiere c’è una disponibilità aggiuntiva molto limitata. Costruirne altre richiede anni. L’Italia, in particolare, possiede solo tre rigassificatori fissi e pensa di aumentare la portata affittando una nave che faccia lo stesso lavoro.

Secondo problema. L’Unione Europea, su pressione Usa, dovrebbe varare sanzioni anti-russe anche sul gas. Ma dopo il ballottaggio nelle elezioni francesi (24 aprile) e a ridosso del termine fissato da Mosca per iniziare a pagare il gas in rubli (1 maggio).

Senza aspettare che gli europei si decidano, la Russia potrebbe dirottare le proprie esportazioni energetiche verso l’Asia. Putin ha dedicato una riunione specifica del suo governo al tema, ricordando che “Adesso non c’è possibilità di sostituire il gas russo in Europa” e che, dunque, “I Paesi europei parlano di tagliare le forniture russe e così facendo destabilizzano il mercato e fanno salire i prezzi per i propri cittadini”. Sarebbe questo il “sacrificio” che i guerrafondai come Draghi vorrebbero imporre.

Anche da Christine Lagarde – presidente della Bce – è stata costretta a riconoscere che “ci saranno conseguenze significative per la crescita europea”. Un eufemismo, visto che i governi si apprestano a varare il razionamento dell’energia elettrica (la produciamo soprattutto con il gas) in caso di penuria. Si chiama “economia di guerra”, e non è affatto una passeggiata.

Discorso simile, ma forse più drammatico. Si può fare a meno del condizionatore (così Draghi è contento), ma non del pane. Il 25% delle esportazioni di grano viene da Russia e Ucraina. La guerra ostacola la produzione della seconda, le sanzioni limitano le esportazioni verso una serie di paesi per la prima.

Risultato: scarsità di grano (pane e pasta) e aumento dei prezzi. Soprattutto per quei paesi – poveri, ovviamente – in cui costituisce l’alimento principale per la maggior parte della popolazione (Egitto, Indonesia, Algeria, Turchia, Brasile, Iran, Messico, Nigeria, ecc.).

Sono cominciate tensioni sociali in diversi di questi paesi, dove la scarsità di grano si traduce immediatamente in fame. Ma anche nei paesi europei (quinto importatore mondiale) si sta innalzando pericolosamente il livello dei prezzi in presenza di un sostanziale “blocco salariale” (che Draghi vorrebbe imporre per “accordo sindacale” o altrimenti per decreto).

Impegno diretto Usa in Ucraina. L’ultima notizia su questo fronte è l’ormai prossimo invio di un “alto funzionario a Kiev”. È nota da tempo la presenza di numerosi militari Usa in funzione di addestratori, ma che sul campo si comportano come comandanti militari.

Un “alto funzionario” avrebbe dunque un doppio significato: a) le attività militari Usa in Ucraina verrebbero di fatto coordinate “in presenza”, b) si alzerebbe il livello di “copertura” diplomatica e militare da parte degli Stati Uniti. In pratica, un primo livello di coinvolgimento della Nato.

Va da sé che “il funzionario” non arriverebbe da solo, ma con un nutrito stuolo di “aiutanti” e “consulenti”, che naturalmente sarebbero potenziali obiettivi esattamente come ogni altro militare ucraino. Il che innalza il rischio di caduti americani anche di grado elevato (dei mercenari ribattezzati “volontari” nessuno si cura seriamente),

Provocazioni contro la Cina. In un quadro già pericoloso, gli Stati Uniti hanno da tempo iniziato a provocare i cinesi con manovre militari vicino Taiwan – che Pechino considera parte integrante del proprio territorio, anche se non ha mai tentato di “riprendersela” – insieme alle Filippine.

Per sovrappiù, il segretario al tesoro Janet Yellen (ex presidente della Federal Reserve) ha ventilato “sanzioni secondarie” nei confronti di Pechino se non chiarirà al più presto “da che parte sta” nel conflitto tra Russia e Occidente che si gioca in Ucraina.

Come avviene obbligatoriamente tra potenze, ogni provocazione richiede una risposta “proporzionata”, altrimenti il competitor si convince di poterne avanzare impunemente delle altre. E dunque anche Pechino ha iniziato manovre militari dalle parti di Taiwan.

Potremmo andare avanti a lungo, ma già queste prime “pennellate” sono sufficienti a definire il quadro attuale come particolarmente fosco. Persino un vecchio marpione del business come Carlo De Benedetti la vede nera: “Carestia globale e guerra Usa-Cina, la pace è finita”.

L’establishment occidentale sembra a questo punto in preda agli interessi degli Stati Uniti, pronti a far di tutto per mantenere – o meglio ripristinare – la propria egemonia sul mondo. Ma il mondo è troppo cambiato, anche grazie alle loro sciagurate decisioni sul piano sia economico che militare.

E riportare indietro l’orologio della Storia non è mai riuscito a nessuno.

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