Massimo Cacciari fa parte di questa ristretta cerchia, e ci è capitato spesso – quasi sempre, ci par di ricordare – di dissentire verso di lui in modo anche radicale. È stato sindaco di Venezia, europarlamentare del PD, ex PCI ed ex Potere Operaio, filosofo e molte altre cose. Un membro dell’establishment, insomma, un “europeista” senza se e senza ma, come si dice, ma nonostante tutto “critico”.
I nostri lettori sono ormai abituati a vedere che prendiamo spesso spunto da queste rare eccezioni – per esempio spiluccando sulle testate di economia, costrette per necessità (consigli e informazioni per gli imprenditori) a lasciar da parte l’ideologia.
Quindi non si stupiranno se prendiamo spunto, oggi, da un lungo editoriale di Massimo Cacciari apparso su La Stampa, e che possiamo definire fin dal titolo – La nostra Europa vicina al tramonto – il grido di “dolore della borghesia europea” in questo frangente.
La ragione è semplice. Cacciari coglie con precisione – conoscendoli dall’interno – sia i rapporti di potere tra frazioni diverse della borghesia (italiana, europea, euro-atlantica), comprese le relazioni istituzionali relative (Stato nazionale, Unione Europea, Nato); sia alcuni effetti di questa struttura di potere sulle dinamiche elettorali, che costituiscono il punto di partenza della sua analisi.
Incidentalmente spazza via ogni sciocchezza sia stata detta, da 30 anni a questa parte, sul cosiddetto “voto utile”, che tanto affascina i “sinistri” quando devono entrare (una volta l’anno, in pratica) in una cabina elettorale.
Affronta, all’interno della crisi aperta con la guerra in Ucraina, proprio il “respiro di sollievo europeo” di fronte al voto francese, che ha bocciato ancora una volta l’estrema destra di Marine Le Pen, confermando obtorto collo il banchiere Macron. Ma lo fa in modo davvero originale, rispetto al coro dei media italiani di regime.
“Le elezioni francesi insegnano, come, nello stesso senso, insegnano anche le vicende italiane, e prima ancora quelle greche, spagnole, ecc. ecc. Casi diversi, certo, in base anche alla forza dei diversi Stati, ma un filo rosso li unisce. Le Marine Le Pen potranno provare altre dieci volte a vincere e mai vinceranno.Non c’è alcun dissenso strategico con la prospettiva europeista, si apprezza questo voto “conservatore”; semplicemente constata che “i cittadini” hanno ormai introiettato quei rapporti di forza sovranazionali che rendono ogni elezione e amministrazione nazionali una semplice ratifica del dominio esistente.
Pericolo felicemente scampato; meno felici forse le ragioni per cui ne siamo immuni. Semplicemente, i nostri concittadini europei hanno compreso in grande maggioranza che non è possibile governare un Paese occidentale senza l’esplicito sostegno delle grandi potenze finanziarie ed economiche globali. Votare le Le Pen significa votare per aprire una crisi.
I cittadini europei votano oggi, e del tutto ragionevolmente, per coloro che pensano in grado di difendere, grazie alla autorevolezza di cui godono proprio ‘a casa’ di quelle potenze, quel poco o tanto di benessere e sicurezza che è loro rimasto. Le Le Pen non sono votate – o non sono votate abbastanza – non perché culturalmente indigeribili, ma perché sicuri fattori di sicura insicurezza”.
In altre parole: ci si è in maggioranza rassegnati ad accettare che non si può cambiare nulla davvero, in nessun paese, ma bisogna assecondare decisioni di livello più alto per non rischiare un peggioramento drastico delle normali condizioni di vita (aumento dello spread, austerità più rigida, chiusure, tagli alla spesa pubblica, ecc.).
Nel nostro linguaggio, simo soliti dire che l’Unione Europea è “una gabbia” fatta di trattati e istituzioni sovranazionali, che condizionano le scelte politiche nazionali esattamente come un governo centrale condiziona le amministrazioni regionali e comunali.
Questa constatazione – espressa in passato con toni nazionalistici e reazionari soprattutto dalla Lega e dai postfascisti della Meloni (ma anche dai Cinque Stelle pre-”prova di governo”, brandendo gli interessi tipici di una “borghesia italiana” il cui orizzonte di business non supera i confini, per carenza di capitale, know how, innovazione, ecc. – è un riconoscimento della condizione di fatto, non una “questione ideologica”.
Tanto è vero che quel potere “sovranazionale” si esprime nello stesso modo contro qualsiasi governo venga formato in contraddizione con le proprie politiche economiche ed interessi. È stato per esempio violentissimo contro la sinistra greca dello Tsipras I (il governo con Varoufakis ministro dell’economia). E si è detto “per forza, la Grecia è un paese debole...”.
Ma il gioco si è ripetuto col governo “giallo-verde”, il Conte-Salvini, su tutt’altro orientamento politico-sociale. E l’Italia, ancorché la più fragile, è la terza economia della UE, dopo Germania e Francia. Dunque il “peso” di un paese conta per la dimensione e le forme dell’attacco, ma non cambia il senso dell’operazione.
Detto ancora in altre parole: ogni paese della UE non possiede alcuna “libertà” di scegliere il proprio destino – di destra o di sinistra che sia – ma si deve muovere in uno spazio decisionale limitato ai temi non “strutturali”. Ossia non attinenti ad economia, rapporti di proprietà, relazioni internazionali, autonomia strategica, politiche sociali e fiscali, ecc.
Ricordiamo sempre che il cosiddetto “Recovery Fund”, poi concretizzatosi in PNRR, concede prestiti vincolati alla realizzazione di ben 528 “condizionalità”. Altrimenti nisba.
In questo Cacciari è preciso.
“In tutte le elezioni che contano, in altre il voto può essere più ‘libero’ e la protesta nei confronti dell’establishment alzare la voce. Se però la alza troppo vedi affermazioni grilline – la situazione diviene ingovernabile e si provvede, come da noi, con i Ciampi, i Dini, i Monti, i Draghi (e conseguente ravvedimento dei rottamatori incredibile addirittura nel caso dei vari Di Maio nostrani). Provvedimenti provvidenziali, magari, ma la morale della vola non cambia: in Occidente non sì governa se non sulla linea politico-economica che questi nomi rappresentano”.Dal nostro punto di osservazione – di comunisti, o anche da quello dei semplici “progressisti” – questo significa che nessun cambiamento sociale è possibile all’interno di questi vincoli e di queste istituzioni sovranazionali. Che a Cacciari vanno naturalmente bene, ma di cui mette in luce la scarsa attenzione nei confronti dei problemi sociali che vanno sollevando con la propria azione (ma questo è un discorso più lungo, che ci porterebbe fuori tema).
La parte importante, per oggi, è infatti la demolizione dell’argomento “voto utile”, strettamente connesso al “buco nero in cui è scomparsa la sinistra”. Sentiamolo:
“La scomparsa della cosiddetta “sinistra” è il prodotto di tale destino, ben più che della incapacità e smemoratezza dei suoi leader. E la nostalgia per quel nome, rimasto un puro flatus vocis, semplicemente patetica”.Chiunque vinca una elezione, non ha alcuna possibilità di fare un gioco – e politiche sociali – diverse da quelle stabilite a Bruxelles, Francoforte e Washington. Il voto utile, insomma, non è mai servito a “sbarrare il passo alla destra” – che, come dimostra Marine Le Pen, “non può vincere” – ma semplicemente a distruggere qualsiasi ipotesi e visione alternativa di cambiamento sociale. Anche non radicale.
Poi, certo, anche Cacciari deve a suo modo riconoscere che – vinta la guerra economica contro i lavoratori, annullata l’autonomia degli Stati nazionali, affermata la superiorità della borghesia europea nel Vecchio Continente – tuttavia quest’ultima sta perdendo la sua scommessa di “autonomia strategica” nella competizione internazionale.
“La riduzione dell’Europa a Provincia atlantica è l’altrettanto inevitabile conseguenza che poi, per rendere la legge meno dura, si dipinga la Nato come una grande forza di pace non è, si sarebbe detto una volta, che trascurabile sovrastruttura ideologica.”I compagni che ancora oggi si baloccano con gli “stati nazionali” che sarebbero autonomi nelle proprie decisioni e con lo “spazio europeo” come se fosse neutro e “scalabile”, prendano nota. E ci riflettano sopra, direbbe Zaia...
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