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24/04/2022

La nuova estetica della guerra

“L’esercito deve essere fornito di munizioni ma anche di informazioni, immagini, intelligenza visuale. È questo che si intende per logistica della percezione”
(Paul Virilio)

Da tempo l’estetica, specie quella definibile come continentale, ha delineato le proprie modalità di sganciamento dal terreno dell’arte. Sono maturate così estetiche come quelle della logistica della percezione nelle quali la visione è organizzata su diversi piani di realtà come strumento per far funzionare dispositivi come quello militare.

A lungo l’estetica della guerra si è mossa timidamente a causa di giudizi come quello, ben noto, di Benjamin sull’estetizzazione della guerra come caratteristica del fascismo. Ad ogni modo Benjamin si muoveva in un contesto nel quale la politicizzazione dell’arte, a supporto dei processi di emancipazione, rappresentava un primo momento di rottura con un rapporto tra estetica, arte e guerra all’epoca comunque egemonizzato dal fascismo.

Oggi questa rottura tra estetica e arte apre a nuovi terreni disciplinari e si può guardare all’estetica della guerra come strumento di spiegazione delle mutazioni della percezione, del conflitto e dei rapporti sociali e di potere che sono inscritti in questa dimensione. In questo modo sono centrali almeno due categorie estetiche – estetica della sparizione e, appunto, logistica della percezione – e la domanda, radicalmente antropologica, su come davvero evolva la guerra.

Grazie a Virilio abbiamo così l’estetica della sparizione, nella quale l’oggetto si definisce, come nel cinema, nella scomparsa dei fotogrammi che rende possibile il processo di rappresentazione. L’estetica della sparizione è così estetica della scomparsa (dei fotogrammi) e dell’accelerazione (che permette di percepire oggetto o movimento grazie alla scomparsa della percezione dei singoli fotogrammi). E qui, tra sparizione, rappresentazione e accelerazione l’estetica va alla guerra.

In Virilio, sia durante gli anni ’80 che all’epoca della prima guerra del Golfo, attraverso l’estetica della sparizione si organizza una logistica della percezione, nella quale l’intelligenza visiva è organizzata per far funzionare la macchina militare. Estetica nella quale, per costruire l’oggetto guerra e il campo di battaglia, le immagini sono selezionate, facendo scomparire le altre, per ottimizzare la prestazione bellica.

Proprio nei primi anni ’90, sia in Virilio ma anche in Baudrillard, oltre a definire l’estetica della guerra e i suoi scopi funzionali, si afferma che l’estetica della scomparsa riguarda la rimozione delle stesse immagini dei combattenti. Questo sia nell’organizzazione della logistica della percezione militare della guerra del Golfo, mutuata dal cinema, sia nella propaganda dei media, sterilizzata per poter governare l’opinione pubblica. In entrambi i casi i combattenti, e i loro corpi, scompaiono, così guerra e rappresentazione mediatica raggiungono i propri scopi grazie a una efficiente logistica della percezione che si fonda sull’estetica, qui radicale, della sparizione nella rappresentazione della potenza occidentale vittoriosa nel conflitto.

Insomma, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 l’estetica della guerra si basa, per funzionare nel conflitto e sui media, sul cinema come paradigma di rappresentazione della potenza dell’occidente e sulla scomparsa dei combattenti come effetto delle rappresentazioni prodotte. La guerra, dal punto di vista antropologico, si presenta così, piuttosto che come brutale presenza, come un processo di mimesi connesso a una dimensione radicalmente violenta ma lontana. Sparizione, logistica della percezione e rappresentazione mimetica, sterilizzata, della guerra si tengono reciprocamente con forza, potenza delle immagini di allora.

La nuova estetica della guerra – quella rilevabile ieri in Siria e nel Nagorno Karabakh e oggi in Ucraina – riprende quella della fine degli anni ’90, riprodotta nel conflitto Nato-Jugoslavia, ma rappresenta anche una seria novità. Qui estetica della sparizione e logistica della percezione si dispongono in modo differente rispetto al passato, secondo la spinta dei nuovi piani di complessità, e di criticità antropologica, che guerra e tecnologia oggi hanno imposto.

Già all’inizio degli anni ’10, Patricia Pilsters, dell’università di Amsterdam, prefigurava una logistica della percezione 2.0 che prendesse atto della “molteplicità degli schermi” presenti nella seconda guerra del Golfo presenti a un livello di complessità superiore rispetto alla prima.

Erano gli anni del consolidamento delle prime analisi sulla cultura digitale convergente, della valutazione di un decennio di Remediation quindi di già matura Media Convergence. Nella molteplicità degli schermi e degli smartphone che già sovraffollavano la logistica della percezione, la Pilsters vedeva un processo di democratizzazione nella costruzione dell’immagine capace di ridefinire la nuova logistica della guerra, le gerarchie sociali, e il concetto stesso di conflitto. Si parla di una democratizzazione che ridefiniva l’estetica della guerra e che, sempre secondo la Pilsters, aveva fatto riemergere, grazie al protagonismo dei device personali, quel vissuto dei soldati e la presenza dei corpi, praticamente azzerata nella logistica della percezione della prima guerra del Golfo.

In realtà, oltre dieci anni dopo queste riflessioni, le mutazioni di quella che Virilio chiamava l’intelligenza visuale, ci portano soprattutto, grazie ai social, un sovraffollamento della rappresentazione digitale dei corpi nella nuova estetica della guerra. Inoltre, piuttosto che la democratizzazione, le mutazioni dell’intelligenza visuale favoriscono una logistica della percezione che registra la moltiplicazione e la convulsione dei piani di conflitto. L’estetica della sparizione continua così a produrre gli oggetti per la quale si è costituita – sia quelli definiti come reali che i simulacri – ma serve più a una logistica della proliferazione dei centri di conflitto che a un governo degli effetti della guerra e della sua rappresentazione come, invece, avvenuto durante la prima guerra del Golfo.

La maturazione dell’uso del drone è al centro di questo processo di mutazione dell’intelligenza visuale e, assieme alla moltiplicazione dell’uso dei social, aiuta a capire lo stato antropologico della guerra. Vediamo sinteticamente il piano di estetica della guerra nel quale ci troviamo, come muta l’intelligenza visuale, come proliferano i centri di conflitto e quale terreno di antropologia della guerra definisce il conflitto russo-ucraino.

Qui si manifestano due fenomeni che, da un lato, integrano la logistica della percezione e la sua versione 2.0 mentre, dall’altro, ne cambiano radicalmente i connotati presentandoci sia una nuova tecnologia di governo della guerra sia una tecnologia ingovernabile dei conflitti. La percezione di questo intreccio, anche indistinguibile, di intelligenza visuale che emerge dal governo della guerra e del tipo di intelligenza visuale che emerge come tecnologia caotica e ingovernabile dei conflitti è la nuova estetica della guerra.

Una nuova estetica che si gioca sull’estetica della sparizione, sul sovraffollamento di rappresentazioni di schermi – che mantiene l’originaria estetica del cinema e della tv per moltiplicarla su ogni genere di device personale – che forma una logistica della percezione che non è più solo efficiente governo della guerra ma anche tecnologia dell’intreccio tra ordine e caos e della moltiplicazione dei conflitti. Qui notiamo un paio di passaggi.

Drone War

L’estetica della percezione del drone – come arma e strumento cognitivo – emerge già durante la prima guerra del Golfo sia come integrata al governo delle immagini, e della scomparsa dei corpi, sia come organizzazione della visione di un nuovo ordigno in un campo di battaglia visto in modo nuovo. L’uso del drone, e della sua estetica, con gli anni ’10 sfugge rapidamente al monopolio governamentale, diventa fenomeno di massa e si moltiplicano le logistiche della percezione autonome o decisamente nemiche rispetto alle entità governamentali. L’emergenza dei media center dell’islamismo radicale, la proliferazione della rimediazione dal basso (di ogni tipo) di cinema, tv ed estetica del drone, si sviluppa assieme ai continui intrecci di estetica del drone, della tv e del cinema che formano la logistica governamentale della percezione. Il cambiamento, e lo si è visto ieri in Siria come oggi in Ucraina, rispetto alla logistica della percezione della prima guerra del Golfo è radicale: non c’è più una estetica della guerra istituzionale occidentale dominante ma anche la proliferazione di logistiche della guerra alternative, antagoniste, nemiche, caotiche. E paradossalmente, proprio là dove l’Occidente deteneva ancora il sostanziale monopolio della rappresentazione, in Afghanistan, la logistica della percezione è servita per evidenziare l’implosione dell’occupazione ventennale di quel paese, tragico rovesciamento della logistica dell’efficienza messa in campo durante la prima guerra del Golfo.

Social

Se il drone ha rappresentato una nuova estetica della guerra sul campo che sfugge, costringendola a ridefinirsi, al monopolio istituzionale i social hanno rappresentato l’elemento di connessione, il collante di questo processo e il fenomeno che ha reso possibile il funzionamento microfisico di ogni logistica della percezione che si è creata. In questo modo sia la logistica della percezione istituzionale, che organizza l’intelligenza visuale della guerra ufficiale, sia le logistiche autonome o alternative non solo sono coestensive alla complessità del reale ma servono anche da supporto per la personalizzazione della rappresentazione bellica. Personalizzazione estetica della partizione amico-nemico, della sterilizzazione della visione del conflitto, della drammatizzazione o anche della sua banalizzazione – i ceceni in Ucraina ribattezzati “brigata tik tok” rappresentano la modalità con la quale i social definiscono l’intelligenza visuale dei molteplici conflitti che si giocano sul piano russo-ucraino. Intelligenza visuale che passa assieme al linguaggio dei videogiochi, un tempio della logistica della percezione, come dimostrano i numerosi adattamenti della saga Red Alert della EA Sports alle esigenze cognitive, percettive, logistiche delle parti in conflitto.

Già, perché, rispetto alla prima guerra del Golfo, dove esteticamente si rappresentava l’Occidente contro il nulla, nella nuova estetica della guerra si moltiplicano le logistiche della percezione secondo l’estensione della differenziazione dei piani di conflitto. Piani che non solo valgono per la Russia e l’Ucraina, e per le miriadi di loro differenziazioni interne, ma anche per lo scontro tra Occidente e paesi BRICS che è qui contenuto, e poi per le innumerevoli logistiche della percezione della guerra finanziaria legata alle diverse guerre sul campo. I social sono così intelligenza visiva della proliferazione delle logistiche del conflitto che si intreccia con una antropologia della guerra che non è solo conflitto sul campo e non è tanto definita da una sola logica amico-nemico ma da una moltiplicazione, tecnologicamente e visivamente mediata, delle figure amiche e nemiche, nella proliferazione di rapporti inconciliabili tra loro.

A differenza di quella della prima guerra del Golfo, la nuova estetica della guerra è così definita dalla presenza di più Mediated Center, come li definisce Couldry, che rappresentano la logistica istituzionale, fatta di una intelligenza visiva che intreccia molti piani di percezione (estetica del tentativo di mettere ordine alla guerra) di più logistiche della percezione formate attorno agli attori-ombra della guerra, di una galassia fatta da miriadi di logistiche del caos che si nutre degli eventi tellurici e imprevedibili. Inoltre la logistica della percezione, e con lei la nuova estetica della guerra, si distende dalla rappresentazione della guerra sul campo a quella della guerra finanziaria che trasforma ogni evento bellico in criticità finanziaria e ogni evento finanziario in possibile criticità bellica.

Attraverso l’estetica della sparizione, che fa emergere gli oggetti nella scomparsa dei fotogrammi, a differenza della prima guerra del Golfo si delinea così una logistica della percezione che rappresenta non una parte sola, occidentale, dominante, ma una violenta complessità nella presenza degli attori sul campo che nei conflitti, dal punto di vista antropologico, emerge oggi in tutta la propria devastante compresenza di ordine, caos e mutazione.

La nuova estetica della guerra non è quindi solo operativa, come logistica della percezione, ma apre anche il campo alla conoscenza di questi piani di complessità nei quali si muove la dimensione antropologica della guerra. Una dimensione di intelligenza visuale che spiega le dinamiche di escalation – dalla competizione al conflitto alla guerra su larga scala – e che incontra una estetica dalle guerre che fa conoscere la forte differenziazione antropologica della dinamica amico-nemico presente nei conflitti.

La guerra non è mai un “semplice” piano di conflitto. È un piano di conflitto sul quale se ne sovrappongono molti altri ed è questo il suo spessore antropologico. Dall’Ucraina la nuova estetica della guerra ci mostra la logistica della percezione di questo convulso piano antropologico e ce lo fa conoscere nel suo livello di complessità facendoci intravedere le sue mutazioni.

La logistica della percezione è così passata da essere l’intelligenza visuale dell’efficienza dell’Occidente dominante a essere l’intelligenza visuale dei livelli di caos e di ordine presenti in un fenomeno, la guerra, che mostra continui, brutali processi di differenziazione sociale entro una dinamica amico-nemico che produce continui, nuovi, perversi livelli di feroce lotta per le risorse e per il potere.

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