Secondo la Bce, l’inflazione, aumentata in maniera significativa nei mesi scorsi, rimarrà elevata e per questo, nel corso della riunione del Consiglio direttivo di giovedì, è stata confermata la riduzione degli acquisti netti di titoli di stato nell’ambito del programma App e la loro conclusione nel terzo trimestre dell’anno.
La fiammata inflattiva sembra dunque far più paura del rallentamento dell’economia. “Qualcosa – ci dice Sergio Cesaratto, professore di politica monetaria europea all’Università di Siena – deve essere mutato nei rapporti di forza all’interno della Bce per cui da dicembre (almeno) è in corso la ‘normalizzazione’ della politica monetaria”.
Cosa pensa di quanto deciso dalla Bce giovedì?
Se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, i tassi sono ancora fermi e la politica di riacquisto a scadenza dei titoli pubblici già in pancia all’Eurosistema è stato confermata.
Christine Lagarde ha anche precisato che tale riacquisto potrebbe avvenire favorendo i titoli eventualmente sotto attacco per assicurare un’uniforme trasmissione della politica monetaria in tutte le giurisdizioni. Certo siamo lontani da una politica europea che metta in sicurezza il debito pubblico italiano in una situazione che può diventare drammatica. La Presidente della Bce ha anche distinto fra la congiuntura americana dove vi sono segni di ripresa dei salari monetari, e quella europea in cui questi sono fermi, cioè non reagiscono (ancora) all’inflazione. Il plumbeo clima di guerra si sovrappone alla debolezza sindacale. Se l’origine dell’inflazione è esterna alle nostre società, vale a dire nei prezzi dell’energia e più in generale nelle interruzioni negli approvvigionamenti globali, sarebbe per ora inutile – così si ragiona – accrescere la disoccupazione per frenare gli aumenti dei salari. È comunque un ragionamento rivelatore del ruolo delle banche centrali.
In che senso?
Nel senso che la regolazione del conflitto sociale viene affidata all’azione brutale delle banche centrali che accrescono la disoccupazione per sedare le proteste dei lavoratori, invece che all’accordo sociale, per quanto complicato. Del resto a noi italiani questo ruolo della banca centrale è ben noto dalla stretta monetaria di Einaudi del 1947 e da quella di Guido Carli del 1963 – ruolo che le fu tuttavia impedito dalla forza dei lavoratori negli anni Settanta. Perché la Bce non perora politiche nell’eurozona volte a redistribuire equamente i costi della crisi? La verità è che essa è parte del progetto di distruzione dell’Europa sociale per il quale è nata l’Europa monetaria.
Per l’Italia tutto questo cosa significa?
I tassi di interesse sui titoli di Stato italiani stanno già aumentando, mentre le previsioni di crescita stanno peggiorando. Non parliamo poi della sciagurata possibilità di un embargo nell’acquisto del gas russo, irresponsabilmente perorata da un Enrico Letta cinico verso il suo Paese. Il dibattito sulla riforma della governance europea è peraltro fermo, né si sta parlando di nuovi “Recovery fund” a fronte della nuova emergenza, come avevamo sperato. L’Europa sembra subire il conflitto senza reagire da alcun punto di vista. Doveva essere più ferma prima nel rassicurare la Russia circa la neutralità dell’Ucraina e il rispetto degli accordi di Minsk. Ora dovrebbe comunque allontanarsi dalla logica bellicista americana e da quella di ulteriori estensioni della Nato, e pensare a nuovi equilibri di pace in Europa, nel rispetto della sicurezza e indipendenza di tutti i Paesi. È molto difficile, ma all’Europa ci devono pensare gli europei, e la Russia fa parte dell’Europa. La Russia è il Paese aggressore, va bene; ma la pace si fa coi nemici. Sono orgoglioso di aver insegnato per alcuni anni il “realismo politico”, la scuola di relazioni internazionali a cui si rifanno i migliori studiosi internazionali critici dell’atteggiamento occidentale. Nel testo straniero che usavo (pubblicato dalla Bocconi), già vent’anni fa si avvertiva dei pericoli dell’allargamento della Nato a Est. Il prossimo anno lo adotterò di nuovo.
Di fronte alle rivendicazioni salariali che stanno crescendo in Italia (vedasi le recenti dichiarazioni del Segretario generale della Cgil Landini), non c’è il rischio di innescare la spirale prezzi-salari che potrebbe anche peggiorare il quadro?
In questa situazione credo che la Cgil farebbe bene a collegare la difesa dei livelli di vita dei lavoratori con il tema della guerra. Sono molto tiepido sull'”internazionalismo proletario”, i sindacati dei Paesi nordici non hanno mosso un dito a difesa dei lavoratori greci massacrati dalla Troika. Però la guerra, questa guerra, non è nell’interesse dei popoli, doveva e poteva essere evitata. Le sue conseguenze sui salari, sullo Stato sociale, sull’istruzione, sulle prospettive dei nostri giovani saranno devastanti. Il disastro ambientale ne verrà accelerato. Se non si reagisce ci attendono decenni di tensioni internazionali, se non peggio; un nuovo medioevo. Naturalmente sciagurata è l’opposizione del centrodestra a qualunque misura redistributiva basata sul riequilibrio del carico fiscale fra chi paga e chi non paga le tasse. La vicenda del catasto urbano è esemplare. Il paradosso italiano è che le ZTL che ci perderebbero votano a sinistra, e le periferie che ci guadagnerebbero votano per il centrodestra. Possibile che nessuno glielo spieghi?
Cosa pensa della decisione del Governo, sancita nel Def, di lasciare il deficit/Pil al 5,9% quest’anno e di tornare all’avanzo primario nel 2025?
Purtroppo se non si ferma questa guerra e si riafferma una volontà di pace, seppur difficilissima, i costi economici saranno tali da far tremare l’equilibrio finanziario del Paese e per molti anni. Senza un sostegno europeo, fiscale e monetario, sarà dura. Io spero che ci sia una rivolta popolare contro la guerra e i suoi costi sociali.
Se non potrà fare più deficit, e lo spread salirà, come farà l’Italia a sostenere l’economia? Dovrà fare ricorso al MES?
II ricorso al MES è stato sinora politicamente e socialmente improponibile, a meno di riforme alla Micossi, cioè trasformandolo in un’agenzia europea del debito. Nel quadro attuale l’armamentario europeo a fronte di un possibile crollo del debito pubblico italiano, cioè un balzo dei tassi di interesse a livelli insostenibili, è tuttavia ancora quello del “whatever it takes”: intervento della Bce e del MES a sostegno dei titoli italiani, e Memorandum of understanding, leggi Troika. Sarebbe un massacro sociale. In un clima di guerra tutto diventa tuttavia possibile.
Un’ultima cosa: si parla di un possibile ingresso di Christine Lagarde nel Governo francese in caso di vittoria di Macron alle presidenziali. Ci sarebbe da chiedersi in primo luogo, se questi rumors non segnalino una certa volontà a non vederla più alla guida della Bce, e, in secondo luogo, cosa accadrebbe nel caso effettivamente lasciasse il suo incarico: a quel punto la presidenza andrebbe verosimilmente a un tedesco...
Christine Lagarde ha perso la voce quando le è stato domandato in conferenza stampa... Mi sembrerebbe strano che Macron intenda rinunciare a una francese in una posizione chiave, con il possibile peggioramento degli equilibri nel Governing council della Bce, in fondo per assegnarle un ruolo che in Francia non è di spicco. Certo, ci mancherebbe un tedesco presidente della Bce... Francia e Germania pensino a garantire la pace in Europa sganciandosi dal treno americano. All’eventuale aggressività russa verso l’Europa ci possiamo pensare da soli.
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