«Diciamo chiaramente ai rappresentanti USA, che le forze armate russe sono in diritto di considerare i convogli americani-NATO carichi di armi e diretti verso il territorio ucraino, come legittimi obiettivi di guerra»: lo ha dichiarato Sergej Košelev, vice direttore del Dipartimento America del Ministero degli esteri russo.
La stessa cosa era già stata detta dal titolare in persona del Ministero, Sergej Lavrov, il quale aveva anche sottolineato come i sistemi razzo di produzione sovietica o russa, di cui dispongono i compratori finali, per legge non possono essere trasmessi ad altri stati, in riferimento alla più volte ventilata fornitura a Kiev di caccia ex-sovietici da parte di Paesi dell’ex Patto di Varsavia.
Le dichiarazioni russe coincidono temporalmente con l’annuncio fatto da Joe Biden il 21 aprile sulla fornitura all’Ucraina di un pacchetto aggiuntivo di “assistenza per la sicurezza” del valore di 800 milioni di dollari.
D’altronde, sono gli yankee che cercano in ogni modo di dettare la linea di quello che i russi, spingendo un po’ sulle definizioni, chiamano “Occidente collettivo”.
È da Washington che sono sorte e continuano a nascere le più diverse strutture: NATO (30 paesi), QUAD (Australia, India, USA, Giappone), AUKUS (Australia, USA, Gran Bretagna) e, in parallelo, i 28 della UE. Per dire, il bilancio della NATO costituisce, da solo, il 50% delle spese mondiali in armamenti.
E dal momento che la crescita degli armamenti e le spinte aggressive, osservano al Russtrat (Istituto russo per le strategie politico-economiche internazionali) vanno di pari passo con il peggioramento delle situazioni economiche, come è possibile oggi evitare di finire in una guerra mondiale?
È possibile, se gli USA vengono fermati. E come? Si deve prima di tutto puntare ai loro punti deboli: rafforzamento dei legami Russia-Cina, caduta del sistema del dollaro, guerra nucleare, complesso militare-industriale, enorme debito pubblico.
Di contro, Washington punta a contrastare la possibile alleanza russo-cinese, mirando all’apertura di un ”secondo fronte”, nella regione Asia-Pacifico, con la partecipazione giapponese quale leader regionale. Potrebbe interpretarsi così anche l’attivismo manifestato da Tokyo negli ultimissimi tempi, con tour del primo ministro Fumio Kishida in India, Filippine e, a seguire, Indonesia, Vietnam, Thailandia.
Tokyo sarebbe spinta a tale attivismo, nota Vladimir Pavlenko su IARex, da una volontà di rivalsa per i risultati insoddisfacenti (per il Giappone) dei colloqui con Mosca sulle isole Kurili e con Pechino sull’arcipelago Senkaku.
E, a guardar bene, i viaggi di Kisida hanno immediatamente preceduto, o seguito di poco, importanti vertici dell’Occidente sulla situazione in Ucraina: è così, ad esempio, per il prossimo vertice ASEAN e il viaggio in Indonesia, per ammonire Gjakarta a proposito della partecipazione di Vladimir Putin al prossimo G20.
Dopotutto, non è questo il senso e lo scopo del AUKUS, la nuova “NATO orientale”, in combinazione con la QUAD? Non è questo il senso del colpo di stato in Pakistan, per sostituire il tiepido pro-russo Imran Khan col dichiarato filo-americano Shehbaz Sharif?
Ma, tornando al tema specifico del conflitto in Ucraina, Aleksandr Belov, sulla base di quanto scritto da Ted Carpenter sull’americana Responsible Statecraft, si chiede se davvero la strategia USA e occidentale – con un sempre più massiccio invio di armi in Ucraina, fino alla possibile fornitura di aerei da caccia – sia quella di arrivare a un conflitto mondiale.
Tanto che il senatore repubblicano, Lindsey Graham arriva a dichiarare che «la sconfitta di Putin è possibile se il mondo libero gioca il tutto per tutto per la vittoria» e questo significa, tra le altre cose, «la fornitura alle forze armate ucraine di ulteriori aiuti letali e maggiori possibilità».
Appunto questo è ciò che può portare, anche per errore, alla guerra nucleare, osserva Carpenter. L’obiettivo di Mosca è obbligare Kiev a rinunciare alla NATO, riconoscere la sovranità russa sulla Crimea e l’indipendenza del Donbass. Se Putin vede che, a causa delle forniture di armi all’Ucraina, questi obiettivi vanno persi, allora questo potrebbe essere «un grosso stimolo all’escalation del conflitto con l’impiego di armi nucleari tattiche contro obiettivi politici e militari ucraini».
Più o meno lo stesso concetto ribadito anche dal direttore della CIA William Burns; mentre spavaldamente, l’ex ambasciatore yankee a Mosca, Michael McFaul, afferma che che gli ammonimenti di Putin sul ricorso all’arma nucleare vadano ignorati. Una tale arroganza può portare alla catastrofe, sostiene Carpenter.
Vari alti funzionari delle amministrazioni Bush, Obama e Trump hanno a suo tempo ripetutamente respinto gli ammonimenti di Mosca che i tentativi di far entrare l’Ucraina nella NATO o anche di trasformarla in una risorsa NATO, pur senza l’adesione formale, sarebbero stati inaccettabili per la Russia.
Chiaramente, l’amministrazione Biden non ha colto o ha ignorato i segnali di pericolo: l’attuale operazione in Ucraina è una prova che il Cremlino non stava bluffando.
Dunque, chi oggi si sbraccia per maggiori aiuti militari a Kiev, sta implicitamente seguendo la stessa strategia USA al tempo delle operazioni sovietiche in Afghanistan, con le forniture di missili “Stinger” ai mujaheddin afgani: all’epoca, Mosca evitò di colpire le forze USA in Pakistan.
Ma c’è una grossa differenza tra la guerra in Afghanistan e l’attuale situazione in Ucraina. Nonostante che quel paese fosse vicino all’Unione Sovietica e nella sfera di influenza di Mosca, non era di interesse precipuo per la sicurezza dell’URSS. L’Ucraina riveste tutt’altra importanza per la Russia, ed è estremamente improbabile che Mosca accetti qui una sconfitta militare.
Dunque, conclude Carpenter, più forte ed effettiva è la resistenza militare ucraina, maggiore è il rischio che la Russia possa andare a una escalation «fino all’impiego dell’arma nucleare»; dopo di che, nessuno, in un paese o in un altro, sarà più in grado di controllare il processo di escalation e le sue terrificanti conseguenze.
E anche sui social statunitensi crescono gli appelli a frenare il sostegno militare yankee a Kiev.
La notizia che gli USA starebbero per iniziare l’addestramento degli ucraini all’impiego di obici, sembra mandare in bestia gli utenti di twitter, secondo i quali Washington, in questo modo, non fa altro che alimentare il conflitto, mentre dovrebbe puntare ai negoziati.
Ecco i commenti: «E questo aiuterà la fine della guerra? Fesserie!», scrive uno. Mosca dispone «di oltre 5.000 pezzi di artiglieria a reazione. Dunque, c’è bisogno della pace e non di benzina», osserva un altro. «Perché diavolo ci consideriamo neutrali, quando partecipiamo attivamente ad armare e addestrare il loro esercito? È come se fossimo in guerra, usando però soldati di un altro paese».
E ancora: «Perché gli USA non favoriscono una soluzione con le trattative? Tutto ciò di cui c’è bisogno è che l’Ucraina sia neutrale. Se questo è troppo pesante per Zelenskij, gli USA potrebbero “convincerlo” con l’aiuto di $$», osserva un utente forse troppo ingenuo.
Un altro, un po’ più scafato: «Quando c’è la possibilità di fermare la guerra, ecco che la NATO, per qualche ragione, sceglie di rimanere in Ucraina e non annuncia il ritiro delle forze. NATO e USA vogliono che la guerra continui e non che finisca. Gli USA hanno ricavato la propria forza nella Prima e nella Seconda guerra mondiale ed è per questo che vogliono sempre nuove guerre».
Al sodo: «Chi esce vincitore dalla guerra? Le nostre corporation. Ecco, sosteniamo i nostri impavidi direttori delle corporation e non mettiamo in questione la guerra».
La pensano così anche quegli impavidi manager di Leonardo, Oto Melara, Fincantieri... e i loro contigui portavoce “resistenziali”.
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