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23/04/2022

L’economia di Europa e Italia ipotecate dalla guerra. Draghi ci trascina a fondo

È perentorio l’incipit dell’ultimo rapporto del Centro Studi della Confindustria: “La guerra frena l’Europa, in particolare l’Italia”. Nell’analisi flash sulla congiuntura ad aprile il CsC spiega che “lo scenario italiano è in peggioramento a causa del rincaro dell’energia e di altre materie prime”.

“Gli indicatori congiunturali a marzo – osserva il CsC – hanno confermato il netto indebolimento dell’economia italiana. Il conflitto in Ucraina amplifica i rincari di energia e altre commodity, accresce la scarsità di materiali e l’incertezza. Sommandosi agli effetti dei contagi, ciò riduce il Pil nel primo trimestre 2022 e allunga un’ombra sul secondo: l’andamento in aprile è compromesso e le prospettive sono cupe”.

Insomma i palliativi e gli argomenti con cui Draghi sta cercando di “indorare la pillola” per giustificare l’economia di guerra e l’avventurismo bellicista in cui sta trascinando il paese, devono fare materialmente i conti con le conseguenze di tali scelte, che non saranno solo un paio di gradi in più o in meno sui condizionatori d’estate e i termosifoni d’inverno.

Per gli analisti del Centro Studi Confindustria, contro il caro energia gli interventi del governo sono ancora insufficienti. “A fronte del caro energia – sottolinea il CsC – il governo ha finora stanziato, per la prima metà del 2022 e senza ricorrere a deficit aggiuntivo, circa 14 miliardi di euro: 11 a sostegno di famiglie e imprese (di cui 1,2 per le grandi imprese solo per il 1 trimestre) e 3 per primi interventi strutturali su gas, energie rinnovabili e a sostegno delle filiere dell’automotive e dei micro-processori”.

“Mentre la Bce tiene fermi i tassi ufficiali, i tassi di mercato a lungo termine nell’Eurozona stanno già salendo rapidamente” e “il rialzo dei tassi a lunga scadenza è un problema per l’Italia (e gli altri paesi)” poiché “farà crescere gradualmente la spesa per interessi, man mano che le nuove emissioni avverranno a tassi più alti”. Infatti la Bce ha già fatto sapere che da luglio si cambia musica.

Per questo l’Italia “avrà meno spazi di bilancio per mettere in campo una nuova manovra espansiva di finanza pubblica. Dato l’alto debito, le politiche dovranno essere prudenti anche per evitare ulteriori balzi dello spread. Inoltre, se il rialzo del Btp si trasferisse al costo della raccolta bancaria e facesse crescere anche il costo del credito, ciò determinerebbe un ulteriore aggravio di costi per imprese e famiglie, già colpite dal caro-energia. Questo penalizzerebbe sia gli investimenti che i consumi privati, zavorrando il Pil italiano”.

Deboli anche le attese sull’export. “L’export italiano cresceva prima del conflitto: +5,8% a dicembre-febbraio sui tre mesi precedenti, ben oltre i livelli pre-Covid. Buona parte dell’aumento – spiega il CsC – era dovuta al rialzo dei prezzi sui mercati esteri (+2,8%). Erano in crescita le vendite nei principali mercati, Ue ed extra-Ue, e settori manifatturieri (ma ancora deboli gli autoveicoli). I primi effetti della guerra in Ucraina, però, sono già visibili negli ordini manifatturieri esteri, in forte calo a marzo. Inoltre, la dinamica del commercio mondiale, già piatta a inizio anno per il calo degli scambi in Asia e l’aumento in Europa, ha prospettive negative, secondo il PMI sugli ordini manifatturieri esteri globali, caduto a marzo (48,2 da 51)”.

Insomma vale la pena morire per Kiev? O per Londra e Washington?

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