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25/04/2022

25 aprile: dai “ragazzi di Salò” ai “ragazzi dell’Azov”

Alcuni giorni fa in uno sconosciuto paesino della provincia lombarda il sindaco ha vietato ai ragazzi di una scuola di cantare Bella Ciao durante le celebrazioni del 25 aprile.

Miserie a cui ormai siamo abituati in questo Paese dove l’attacco ai valori della Resistenza e dell’antifascismo è sempre più spudorato, non solo da parte della destra neofascista in tutte le sue forme e mascheramenti, ma anche da buona parte del cosiddetto centro-sinistra.

Ne è un esempio la costruzione trasversale della “memoria condivisa” sulla vicenda delle foibe, che ha avuto come coronamento l’istituzione della giornata del 10 febbraio, epicentro di un’ondata di revisionismo storico e di apologia del fascismo grazie al quale siamo arrivati perfino a dover assistere alla presenza nelle scuole di esponenti di organizzazioni di estrema destra mascherati da storici o da profughi istriani che diffamano la Resistenza e raccontano le loro panzane.

Quest’anno, in un contesto generale caratterizzato dalla guerra in Ucraina, l’attacco ai valori dell’antifascismo ha assunto la forma di beceri insulti contro l’ANPI da parte di una stampa atlantista che non tollera dissensi rispetto alla narrativa dominante sul conflitto nell’Est europeo.

Detto tra parentesi, chiedere di caratterizzare la giornata della Liberazione in chiave filo-atlantista, quando la storia d’Italia nel dopoguerra è stata segnata da trame occulte di ispirazione “atlantica” che hanno utilizzato i fascisti come manovalanza, è davvero un paradosso.

L’argomento principale che usano questi media è che gli Ucraini avrebbero ragione a prescindere in quanto aggrediti. Questo evidentemente non valeva negli anni passati quando USA, NATO e i loro alleati hanno invaso Paesi sovrani il più delle volte con pretesti costruiti a tavolino, nei quali gli statunitensi hanno una tradizione storica di primo livello: si va dall’esplosione dell’incrociatore Maine nel 1898 a Cuba che dette il via alla guerra ispano-americana, all’incidente del Golfo del Tonchino nel 1964 a seguito del quale venne attaccato il Vietnam, alle provette con le presunte armi chimiche di Saddam che il segretario di Stato Colin Powell agitò all’ONU nel 2003 per giustificare l’invasione dell’Iraq e così via.

A proposito dell’Iraq, è scomparsa circa un mese fa l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, che alla domanda di un giornalista in merito alla morte di 500mila bambini iracheni a causa delle sanzioni, rispose “Ne valeva la pena”. A dimostrazione di quanto contino le vittime civili per l’Occidente che “esporta la democrazia”.

Alcuni giornalisti che hanno polemizzato con l’ANPI sono gli stessi che mesi fa si sono scagliati contro i professori Barbero e Montanari per le loro posizioni sulle foibe. Evidentemente si ritengono investiti della missione di attaccare sistematicamente l’antifascismo… I toni usati in questi giorni contro l’ANPI sono di una violenza inaudita, e i contenuti del tutto privi di fondamento: paragonare la difesa dei militari ucraini all’invasione russa con la Resistenza italiana è un assurdo, sia dal punto di vista storico che da quello politico.

Per prima cosa c’è un fatto oggettivo che non dovrebbe essere dimenticato: nella costruzione degli attuali assetti politici in Ucraina ha avuto un ruolo determinante l’estrema destra neonazista. Fin dal crollo del blocco sovietico in Ucraina come in altri Paesi dell’Est si sono rafforzate (e sono state abbondantemente foraggiate dall’Occidente in funzione antirussa) le tendenze “nazionaliste” che hanno come esplicito riferimento personaggi che durante la Seconda Guerra Mondiale avevano collaborato con i nazisti. Nel caso dell’Ucraina, è nota la riabilitazione di Stepan Bandera, del quale si legge “La sua organizzazione fascista OUN-B contribuì all’Olocausto facendo uccidere migliaia di Ebrei e Polacchi e dopo la guerra si batteva per un’Europa totalitaria ed etnicamente pura”.

Stepan Bandera è oggi celebrato come un eroe nazionale e a lui sono stati dedicati monumenti e celebrazioni. A Lviv è stata intitolata una piazza al Battaglione ucraino Nachtigall, una delle unità che partecipò con i nazisti ad alcuni dei peggiori massacri avvenuti in quella regione.

Sono “banderiste” le organizzazioni di estrema destra che hanno costituito la principale forza d’urto durante il colpo di Stato del 2014, promosso e finanziato dagli USA, nel quale fu abbattuto il presidente Yanukovich reo di essere troppo vicino a Mosca. Dopo il colpo di Stato, com’è noto, le formazioni paramilitari neonaziste (in particolare il famigerato Battaglione Azov, che ha mutuato il suo simbolo dalle SS) si sono scatenate contro la popolazione russofona, uccidendo e devastando l’Est del Paese in una guerra che ha provocato circa 14mila vittime. L’episodio più grave è stato l’incendio della casa dei sindacati a Odessa in cui morirono alcune decine di persone. Secondo Amnesty International queste formazioni sono responsabili di “abusi diffusi, inclusi rapimenti, detenzioni illegali, maltrattamenti, furti, estorsioni e possibili esecuzioni”. Nel 2016 un rapporto dell’OSCE le riteneva responsabili di “omicidi di massa, edificazione di fosse comuni e tortura”.

L’attuale presidente Zelensky è stato eletto con il sostegno dell’oligarca Ihor Kolomoysky, che è anche uno dei maggiori finanziatori dei paramilitari neonazisti. Potremmo continuare… Ma è evidente che soltanto accostare questa feccia alla Resistenza antifascista è tanto assurdo quanto offensivo.

Ci sono voluti gli Israeliani per ricordarlo: quando Zelensky (che è l’unico presidente ebreo nel mondo) pensando di giocare in casa di fronte alla Knesset ha paragonato la guerra in Ucraina alla Shoah, il Ministro delle comunicazioni Yoaz Hendel si è indignato: “il confronto con gli orrori dell’Olocausto e la soluzione finale è scandaloso” ha detto. L’ex Ministro Yuval Steinitza ha rincarato la dose: “Se il discorso di Zelensky fosse stato pronunciato in tempi normali, non bellici, avremmo detto che rasentava la negazione dell’Olocausto… Ogni confronto tra una guerra regolare, per quanto difficile possa essere, e lo sterminio di milioni di ebrei nelle camere a gas nel quadro della Soluzione Finale, è una totale distorsione della storia”.

In Italia invece si continua con questo ritornello. Ed è in corso un’operazione in grande stile di ripulitura dell’immagine pubblica del ceto politico che governa l’Ucraina, del Battaglione Azov e degli altri tagliagole della stessa risma. La Repubblica pubblica un’intervista nella quale un caporione dell’Azov dichiara: “Non sono nazista, ai soldati leggo Kant”. Il Corriere della Sera ne intervista un altro secondo cui “La svastica è un antico simbolo slavo, pan-europeo, persino indiano. Per noi non ha alcun rapporto col nazismo. Accusereste mai gli indiani per le svastiche antiche millenni?”.

Valerio Nicolosi su Micromega ricorda che il Battaglione Azov è stato coinvolto in un’inchiesta sul suprematismo bianco che riguarda anche il nostro Paese: “nell’autunno 2019 in Campania sono stati arrestati alcuni membri di un’associazione spirituale che secondo gli inquirenti funzionava da base per il reclutamento e l’addestramento paramilitare di singoli militanti, spesso fuoriusciti dalle organizzazioni neofasciste italiane. Secondo le indagini c’è un filo che collega questa attività al Battaglione Azov e alle altre organizzazioni neonaziste e suprematiste internazionali”.

A questo punto ci si chiederà: ma se questa è la realtà dell’Ucraina, allora ha ragione chi l’ha invasa per “denazificarla”? Assolutamente no. Basta guardare chi sono gli ispiratori ideologici del putinismo per capire che siamo di fronte a un disegno imperiale panslavista che in questo caso usa l’antifascismo come pretesto. Pensiamo al patriarca ortodosso Kirill, secondo il quale la colpa più grande dell’Occidente è quella di aver imposto all’Ucraina di organizzare le parate gay, oppure al filosofo Dugin, il teorico dell’Eurasianismo, che ha forti connessioni con quei settori dell’estrema destra europea sovranista che guardano con simpatia alla Russia come principale argine all’imperialismo “giudaico-massonico” capeggiato dagli USA. Non a caso alcuni neofascisti italiani combattono a fianco dei russi nel Donbass.

In questo quadro di opposti nazionalismi e autoritarismi vi sono probabilmente più analogie con la Prima Guerra Mondiale che con la Seconda.

Nel 1914, dopo l’attentato di Sarajevo in cui venne ucciso l’erede al trono austro-ungarico, le principali potenze europee entrarono una alla volta in guerra pensando che le altre sarebbero rimaste neutrali. Alla fine invece intervennero tutte (l’Italia per ultima) e ne venne fuori il più grande massacro della storia, determinato da interessi imperialistici e dalla brama di conquiste territoriali.

La leggerezza con cui i principali protagonisti della vicenda ucraina parlano di no fly zone, di allargamento della NATO e di possibile escalation, l’assenza di interesse per i negoziati o l’interventismo violento e becero di certa stampa e di certa politica ricorda molto il clima di quell’epoca, più che la lotta per la Liberazione degli anni ’40. Ma oggi gli arsenali nucleari in mano a numerosi Paesi del mondo rendono la prospettiva di una guerra mondiale ancora più spaventosa di quanto lo fosse agli inizi del ‘900.

Dall’inizio di questo secolo sembra che siamo finiti su un piano inclinato sempre più ripido: dagli attentati dell’11 settembre alle guerre in Iraq e Afghanistan, dalla crisi finanziaria globale del 2008 alla pandemia e adesso la guerra in Ucraina, nel contesto di un cambiamento climatico che se non verrà almeno ridotto e rallentato porterà a delle conseguenze irrimediabili entro pochi decenni.

Stiamo assistendo alla fine di un modello di sviluppo, e il pericolo maggiore è che le potenze contrapposte scatenino guerre su scala sempre più ampia per appropriarsi delle risorse naturali di cui le loro economie necessitano. Economie che comunque sono alla frutta sia per le loro contraddizioni interne che per i limiti naturali del nostro pianeta.

In questo quadro di imbarbarimento il fascismo assume nuove forme e si rafforza dovunque, come inevitabile portato di un neoliberismo che la signora Thatcher riassunse efficacemente nella frase “La società non esiste”.

Il nostro Paese fa parte di un’alleanza politico-militare che ha già dimostrato tutta la sua aggressività e pericolosità a livello globale. L’Occidente è inviso a tutti i popoli del Sud del mondo (si pensi come ultimo esempio all’accaparramento dei vaccini che ha escluso i paesi poveri dalla protezione contro il COVID) e non può pensare di imporre la propria egemonia tramite la forza militare.

E invece dopo lo scontro con la Russia già si prepara quello con la Cina: i pretesti ci sono già, Taiwan o le Isole Salomone… Una guerra dopo l’altra (con il rischio di una catastrofe nucleare) tra potenze imperialiste per materie prime che comunque sono in esaurimento e che se anche non lo fossero potrebbero essere utilizzate solo a costo della distruzione del pianeta.

L’aumento delle spese militari e la costruzione di nuove basi, che avvantaggia soltanto l’industria bellica e le sue lobby, e toglie risorse alla scuola, alla sanità, ai servizi sociali, ai provvedimenti in difesa dell’ambiente, è una follia che va fermata al più presto.

In questo contesto il 25 aprile, ben lungi dal trasformarsi in una giornata di propaganda atlantista come vorrebbe qualcuno, può invece ricordarci l’esempio di chi, quasi ottant’anni fa, ha spazzato via i mostri della guerra e del nazifascismo dal nostro Paese.

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