Una volta gli “imprenditori” cercavano di nascondere la propria natura di grassatori sotto un velo di parole accomodanti, mentre provvedevano – se necessario – a “ungere” gli ingranaggi della decisione politica per volgerla a proprio favore.
Poi, con la lunga stagione neoliberista, i freni inibitori sono venuti meno. E anche le movenze della “buona creanza”. I governi passano loro ormai apertamente valanghe di “ristori”, oltre a incentivi e finanziamenti agevolati di ogni tipo, e non basta loro mai.
Quando poi qualche ministro – preoccupato dalla ancora silenziosa ma montante insofferenza sociale – chiede loro di lasciar cadere qualche spicciole di questi finanziamenti anche nelle tasche dei lavoratori dipendenti. Apriti cielo!
Il ministro del lavoro più accomodante che potessero trovare, il piddino Andrea Orlando, ha proposto l’ennesima valanga di aiuti alle imprese per aiutarle a far fronte alle difficoltà create dalla guerra in Ucraina (aumento dei prezzi delle materie prime, ecc).
Ma ha osato anche proporre che tali finanziamenti a fondo perduto fossero almeno vincolati al rinnovo e al rispetto dei contratti da parte delle aziende, e a qualche sia pur timido aumento salariale. Del resto, con il tasso di inflazione ormai al 7,5%, una misura del genere – fosse anche inferiore a quel limite – sarebbe il minimo per cercare di placare il malessere.
“Non se ne parla proprio!”, ha subito tuonato Assolombarda, la frazione regionale di Confindustria che ha espresso recentemente il nuovo presidente nazionale – Carlo Bonomi – ed è simpaticamente nota nell’ambiente come il ridotto dei “nazisti dell’Illinois”.
«In una fase estremamente critica per l’industria lombarda e italiana generata dall’aumento dei costi delle materie prime, dalle speculazioni sui prezzi dell’energia, dalle sanzioni che indirettamente impongono sacrifici e difficoltà nell’approvvigionamento anche alle nostre imprese e da un contesto internazionale di instabilità, vincolare gli aiuti economici al rinnovo dei contratti è per Confindustria Lombardia irricevibile».
Il nuovo presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, non si è però fermato alla condanna della timidissima proposta di Orlando. Ha subito pure sfoderato una richiesta supplementare.
«Questa impostazione da “premialità sociale” [orrore!!!], oltre a non considerare che le criticità colpiscono trasversalmente tutte le imprese, ignora completamente la realtà del mondo produttivo che vede a rischio chiusura il 30% delle imprese a causa dell’insostenibilità dei costi di produzione.
Le imprese, ovviamente, condividono la necessità di un aumento dei salari per sostenere le famiglie e i lavoratori in questo momento di forte difficoltà, oltre che per far fronte alla crescente inflazione; la via per l’aumento dei salari, come ribadito più volte da Confindustria, è il taglio delle tasse attraverso un intervento strutturale finalmente incisivo sul cuneo fiscale».
Una traduzione per i non esperti di busta paga è necessaria. Il taglio del “cuneo fiscale” porterebbe in effetti (a seconda della dimensione) qualche soldo in più nelle tasche dei lavoratori. L’unico “problemino” è che, tagliando tasse e contributi, quei soldi dovrebbe metterceli lo Stato, sottraendoli ad altre voci della già risicata spesa sociale (pensioni, assistenza sociale, ecc.).
Insomma: gli “imprenditori non devono mai scucire un centesimo“. O li paga lo Stato, oppure che i lavoratori crepino pure di fame.
Domanda ingenua: ma ci prendono davvero tutti per scemi? Mica siamo tutti dirigenti di CgilCislUil.
Constatazione seria: questi sono rapinatori senza limiti. Si può stopparli solo facendosi sentire con forza immensa nelle piazze. Il 22 aprile abbiamo cominciato. Non basta, ovviamente. Ma ogni grande viaggio comincia con un passo.
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