La Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Julian Assange. Salvo un ricorso dell’ultimo minuto presso l’Alta Corte, sarà ora compito della ministra degli Interni, Priti Patel, dare il suo via libera finale al trasferimento dell’attivista australiano negli Stati Uniti, che per molti è ritenuto scontato.
Negli Usa rischia una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan.
Il consenso della Patel è previsto entro un termine massimo di 28 giorni. Ma visti i rapporto simpatetici tra Londra e Washington non sembra esistano possibilità di un finale diverso.
È appena il caso di ricordare, in tempi di guerra, che questa è una sentenza di guerra che arriva dopo una persecuzione militare e spionistica contro chi ha osato pubblicare “documenti riservati” degli Stati Uniti. Ossia qualcosa che ogni giornalista degno di questo nome dovrebbe avere in animo di fare, dopo aver verificato la veridicità delle fonti.
Nel momento in cui migliaia di pseudo-commentatori a busta paga si sciacquano la bocca con le “libertà” e contro le “dittature”, un uomo libero verrà tombato in un carcere statunitense per aver fatto sapere al mondo di quali nefandezze sono capaci i suoi carcerieri.
La massa dei servi al lavoro nelle redazioni di regime, ovviamente tace, trema ed acconsente.
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