Il diritto internazionale ha come funzione quella di garantire la pacifica coesistenza e la fruttuosa cooperazione tra gli Stati. La guerra costituisce, da oltre settant’anni, una violazione gravissima di tale ordinamento giuridico, come chiaramente stabilisce l’art. 2, para. 4, della Carta delle Nazioni Unite. Unica possibilità ammessa, ai sensi del successivo art. 51, è quella della legittima difesa individuale e collettiva.
L’operazione militare scatenata dalla Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio di quest’anno cade sotto il divieto enunciato dall’art. 2, par. 4. Le varie ipotesi avanzate dal governo russo per giustificarla, dalla legittima difesa preventiva contro l’espansione della NATO e la conseguente collocazione di ordigni nucleari e altre armi offensive a poche centinaia di chilometri da Mosca, ovvero l’intervento umanitario contro il presunto genocidio in atto in Donbass, ricordano troppo quelle a suo tempo avanzate dagli Stati Uniti per legittimare le molteplici violazioni del diritto internazionale delle quali la potenza imperialista per eccellenza si è resa responsabile nel corso degli ultimi settant’anni, per poter essere accettabili.
Tuttavia ciò non toglie che le questioni appena enunciate costituiscano oggetto di una complessa controversia giuridica e politica tra Russia e Ucraina. Tale controversia è in atto da tempo ed ha ricevuto un’accelerazione significativa con gli eventi del febbraio 2014, i quali, comunque li si voglia qualificare, hanno determinato il rovesciamento di un governo legittimamente eletto, quello di Yanukovich, per sostituirvi un altro, palesemente schierato con la NATO e l’Occidente, e fautore di un nazionalismo oltranzista diretto principalmente contro la Russia e la massiccia componente (almeno il 30%) della popolazione ucraina russofona. È oramai accertato come la NATO e i servizi segreti di vari Paesi occidentali abbiano avuto parte decisiva negli avvenimenti del febbraio 2014.
Avvenimenti che hanno suscitato la reazione di parti consistenti della popolazione ucraina culminate nella secessione del Donbass. Quest’ultima, legittimata da un successivo referendum, costituisce esercizio del diritto all’autodeterminazione delle popolazioni interessate, così come esercizio di diritto ha costituito la successiva dichiarazione di indipendenza. Ricordiamo al riguardo che la Corte internazionale di giustizia ha stabilito, riguardo al Kosovo, che le dichiarazioni di indipendenza non costituiscono atti vietati dal diritto internazionale e una diversa decisione concernente quella del Donbass costituirebbe con ogni evidenza un’applicazione del principio del doppio standard secondo il quale alcuni Stati (in particolare gli Stati Uniti e i loro alleati) sono più uguali di altri.
Tale complessità deve essere considerata attentamente da chiunque oggi voglia trovare una soluzione alla pericolosissima situazione nella quale il pianeta intero si è infilato a partire dal 24 febbraio 2022. Il diritto internazionale, che si ispira ai principi di necessità e proporzionalità ed è guidato dalla finalità suprema del mantenimento della pace, non può evidentemente essere applicato con la mentalità con cui un giudice interno qualsiasi procede all’accertamento delle violazioni del diritto e all’irrogazione delle relative sanzioni, ma richiede una conoscenza profonda delle realtà di ordine storico e strategico sottostanti, in modo tale da elaborare soluzioni capaci di soddisfare tutti gli attori coinvolti.
La prevalenza degli oltranzisti, che esistono su entrambi i fronti, si tratti degli ideologhi del Cremlino che sognano di soggiogare l’Ucraina nel suo complesso, o di quelli della NATO che vagheggiano un rovesciamento di Putin, quasi che si trattasse di faccenda di ordine esclusivamente personale, o un’improbabile sconfitta militare sul campo dei russi, farebbero inevitabilmente slittare l’umanità intera nell’abisso della guerra nucleare.
Obiettivo prioritario di chiunque deve quindi essere, nella fase attuale, quello di scongiurare tale esito catastrofico. Anche la norma relativa all’autodifesa collettiva deve essere interpretata in tale ottica, evitando di fornire, alle parti in confitto, armamenti che ne consentirebbero la continuazione per un lungo periodo. Per quanto riguarda in particolare l’Italia ciò comporta nettamente la prevalenza del ripudio della guerra di cui all’art. 11 su qualsiasi vera o presunta norma internazionale desumibile dall’art. 10, secondo letture frettolose e superficiali di cui si è fatto fautore, per evidenti ragioni di ordine politico, l’attuale presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato.
Le indagini sui crimini commessi da chiunque nel Donbass a partire dal 2014 e nel territorio ucraino a partire dall’inizio dell’invasione, devono essere condotte da organi imparziali accertando ogni violazione commessa e stabilendo in ciascun caso le responsabilità effettivamente presenti, senza indulgere alla retorica da sceriffo western di Biden, presidente di uno Stato che si guarda bene dall’aderire al Trattato istitutivo della Corte penale internazionale.
La soluzione pacifica che comporterebbe l’immediata cessazione delle ostilità esiste ed è portata di mano e consiste nella neutralità permanente dell’Ucraina indipendente e sovrana e nell’autodeterminazione delle popolazioni delle province contese del Donbass e della Crimea.
Ma chi potrebbe farsene promotore? Certamente non l’Europa (e l’Italia) totalmente asservite alla NATO, anche se la possibile estensione geografica e qualitativa del conflitto avrebbe proprio in Europa il suo teatro principale. Questa è la tragedia di cui siamo testimoni.
di Fabio Marcelli, dirigente di ricerca e direttore f.f. dell’Istituto di studi giuridici internazionali del CNR
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento