Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

28/04/2022

Mattarella, il presidente del revisionismo storico

Sono due mesi che tutto l’establishment italiano ed europeo provano a far passare come “narrazione condivisa” – senza riuscirci troppo – l’oscena equiparazione tra Resistenza antifascista e quella ucraina alla Russia. Singoli esponenti politici, il fronte compatto dei media (con qualche rara eccezione affidata a singoli “interventi”), propongono questo “pensiero unico” come forma di pluralismo democratico.

In questa equiparazione ci sono diversi falsi tenuti insieme dall’evidente necessità di imporre un revisionismo storico come nuova “cultura repubblicana”, negando le radici stesse della Costituzione del 1946. Quella, sì, “nata dalla Resistenza”.

Questo tentativo ha ricevuto, il 25 aprile, l’imprimatur dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Con uno schematismo perfettamente aderente al carattere revisionista dell’operazione in corso.

Vediamo perché, partendo dalla sua frase più ossessivamente ripetuta da ogni tg.

“Nelle prime ore del 24 febbraio siamo stati tutti raggiunti dalla notizia che le Forze armate russe avevano invaso l’Ucraina, entrando nel suo territorio. Come tutti, quel giorno, ho avvertito un pesante senso di allarme, di tristezza, di indignazione. A questi sentimenti si è subito affiancato il pensiero agli ucraini svegliati dalle bombe. E, pensando a loro, mi sono venute in mente queste parole: ‘Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor’“.

Prendere i versi di una canzone, peraltro bellissima, come “certificazione politica” degli eventi storici non è il massimo. Ed espone anche involontariamente a semplificazioni deformanti, anche quando fatto con le migliori intenzioni. Figuriamoci in casi come questo.

Senza mediazione alcuna, Mattarella riduce la Resistenza italiana a semplice “lotta di liberazione nazionale” nei confronti di un invasore straniero. In quanto tale, del tutto simile a qualunque altra, in qualsiasi parte del mondo, indifferente a contenuti ideali, programmi politici, ragioni sociali o religiose, ecc.

E lo conferma subito dopo: “Oggi c’è tra gli storici concordia nell’assegnare il titolo di resistente a tutti coloro che, con le armi o senza, mettendo in gioco la propria vita, si oppongono a una invasione straniera, frutto dell’arbitrio e contraria al diritto, oltre che al senso stesso della dignità“.

Qui sta il primo falso storico.

Come si può apprendere da qualsiasi manuale di scuola media, nel 1943 – nel giro di 24 ore, l’8 settembre – l’Italia si ritrovò in guerra contro l’alleato tedesco. Che aveva mandato truppe in questo paese per irrobustirne le difese contro “l’invasione” degli Alleati, cominciata dalla Sicilia il 9 luglio di quell’anno.

Se il sillogismo di Mattarella fosse valido, insomma, gli italiani avrebbero dovuto combattere contro gli Alleati. Ovviamente, e per merito dei Partigiani italiani, non andò così. E la canzone, giustamente, inizia dalla sorpresa generale della popolazione di ritrovarsi in casa – al risveglio – un “nemico” che fino alla sera prima era un “amico”, per quanto orrendo.

Ma per spiegare le ragioni per cui le cose andarono diversamente, è indispensabile mettere in primo piano una seconda caratteristica della Resistenza italiana (e francese, jugoslava, e di tanti altri paesi d’Europa) singolarmente “dimenticata” da Mattarella nel suo discorso: oltre che “guerra di liberazione nazionale”, la Resistenza fu una lotta armata antifascista.

Una guerra che non faceva distinzione di princìpio tra soldati tedeschi e miliziani fascisti, tutti egualmente nemici a prescindere dalla nazionalità. E del resto non sarebbe stato neanche materialmente possibile, visto che i collaborazionisti fascisti – proprio per il loro essere di nazionalità italiana – erano un nemico ben più infame ed odiato.

Non a caso, proprio il 25 aprile è la ricorrenza più osteggiata dalla destra italiana, fin dalla sua istituzione, perché sarebbe “divisiva”, distinguendo tra cittadini italiani onorabili in quanto artefici della Liberazione e della costruzione di uno stato democratico (sicuramente molto imperfetto e incompiuto) e concittadini esecrabili perché responsabili (o “tifosi”, quando nati più tardi) di una dittatura che aveva trascinato il paese nella tragedia della Seconda guerra mondiale al seguito del regime più criminale che sia mai apparso sulla Terra: la Germania nazista.

Su questa caratteristica antifascista esiste una letteratura storiografica sterminata, ma soprattutto una Costituzione che vieta esplicitamente la “ricostituzione del partito fascista”. Non a caso, uno dei dettati costituzionali meno rispettato dal 1945 ad oggi.

E Mattarella, come formale “garante della Costituzione”, nonché come ex membro della Corte Costituzionale, sicuramente non può ignorarlo.

Quindi la dimenticanza è sicuramente intenzionale.

C’è anche una terza caratteristica della Resistenza italiana che la storiografia ha certificato: una guerra di classe dei lavoratori contro padroni e latifondisti, ossia contro quelle figure sociali che avevano voluto, nutrito e sostenuto il fascismo ed hanno spesso continuato a sostenerlo anche dopo la totale sconfitta.

Capiamo bene che questa caratteristica non possa stare nelle corde di un vecchio democristiano, e quindi va benissimo che la ricordiamo soltanto noi comunisti.

Non è inutile invece guardare alle attuali forze militari ucraine per vedere se c’è qualche somiglianza, oppure no, con i resistenti italiani d’allora.

Sappiamo tutti – anche i più servili giornalisti mainstream – che esiste un esercito ucraino che ha incorporato, fin dal 2014, le formazioni armate apertamente neonaziste (il battaglione Azov è solo il più famoso, per il suo essersi nascosto nei sotterranei dell’acciaieria Azovstal di Mariupol, trascinando con sé centinaia di civili come scudi umani).

Una presenza nutrita e imbarazzante per la “narrazione democratica”, tanto da scatenare una lunga e ridicola campagna di “ripulitura” dell’immagine di queste formazioni che si richiamano a Stepan Bandera, nazista ucraino organizzatore di reparti delle SS, poi animatore – dalla Germania – del terrorismo antisovietico per conto della Nato (dopo essere stato liberato, nel 1944) fino alla sua morte (1959) per mano di agenti sovietici.

Abbiamo visto interviste dove tutta simbologia nazista (dalla svastica ad altri loghi “specificamente ucraini”) veniva ricondotta (e quindi perdonata) a vecchie mitologie indiane, quasi fossero delle curiosità new age.

È del resto la “spiegazione” che da sempre danno i nazifascisti di casa nostra, le rare volte che vengono perquisiti o arrestati. Come se l’enorme lotta che il mondo ha condotto contro il nazismo – e i suoi simboli – potesse essere cancellata e ridotta a una discussione su una grafica dalle incerte origini.

Di sicuro, insomma, la “resistenza” ucraina non è antifascista. Dunque non solo non è “equiparabile” alla lotta partigiana, ma rappresenta per larghi tratti il suo opposto. Come recitava un cartello molto fotografato, ieri a Roma, “I Partigiani a quelli del battaglione Azov gli sparavano, altro che mandargli armi!”. Severo ma giusto, definitivo.

L’operazione cui Mattarella dà il suo pesante imprimatur implica lo sdoganamento del nazifascismo come “componente legittima” della “cultura democratica occidentale”. Non proprio uno strafalcione occasionale, insomma.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento