Colpisce l’insolito editoriale pasquale di Federico Rampini – sul Corriere della Sera – “Verità sgradevoli. Il mondo diviso su Putin” nel quale il democratico occidentale prende atto (con stupore ma anche con un pizzico di paura) che la maggioranza dei paesi e dei popoli del pianeta non è intruppata nello schieramento euro/atlantico e nel convinto sostegno al criminale dispositivo delle sanzioni.
L’amerikano Rampini registra che l’India (da decenni costantemente “curata” dagli USA in funzione anticinese ed antirussa) non è scattata sugli attenti rispetto alle direttive di Washington, di Wall Street e del Pentagono.
Fatto che interroga l’intero Occidente e costringe lo stesso autore a domandarsi se non sia stato masochista il comportamento che pure condivide, il quale avrebbe contributo alla formazione di un pensiero post/coloniale che narra l’arretratezza e i profondi squilibri di gran parte del mondo come conseguenza secolare dell’azione del colonialismo e dell’imperialismo.
Non a caso l’Amerikano – in questa disamina – mette nel mirino della sua amara critica gli insegnamenti che sarebbero vigenti nelle università statunitensi, dove si sono formati i gruppi dirigenti delle élites dei paesi africani i quali sarebbero stati plasmati ed orientati da questo “malsano complesso di colpa occidentale”.
Inoltre, nel cahiers de dolance redatto da Rampini, emerge la consapevolezza che Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale (per citare due delle istituzioni sovranazionali su cui si regge gran parte della potenza euro/atlantica) sono oramai inadeguati a svolgere la loro funzione, a fronte di una delegittimazione subita negli ultimi anni – una sorta di “fuoco amico” – mentre la Cina avvia la Nuova Via della Seta e si afferma, con una dinamica veloce, come un soggetto fortemente attivo in Asia e Africa.
L’Amerikano ricorda con piglio cattedratico – alle classi dirigenti occidentali – che Cina, Russia e altre entità statuali impegnate in questa nuova competizione globale che sta rivoluzionando gli assetti internazionali, non hanno dovuto subire l’esame del “rispetto dei diritti civili”, mentre verso le filiere occidentali vengono costantemente mosse critiche ed obiezioni, prima di tutto dalle opinioni pubbliche di casa propria, considerate, evidentemente, poco “patriottiche”.
Insomma un Rampini che si fa portavoce delle preoccupazioni e dei timori di quanti cominciano ad intravedere o, addirittura, hanno piena contezza che l’unipolarismo USA è sempre più declinante, mentre emerge – a ridosso di un ciclo politico caratterizzato da guerre, tensioni diplomatiche, rotture economiche e grandi rivolgimenti sociali – un multipolarismo segnato da scontri tra poli imperialisti, blocchi militari ed aree monetarie.
Allora – se queste sono le riflessioni e i tristi presagi di un dichiarato apologeta dell’imperialismo come Federico Rampini, nonché dei principali think tank collocati a New York, Londra, Francoforte, Parigi e Roma – sarebbe ora che anche tra quanti si collocano sul versante della lotta alla guerra e della critica alle conseguenze materiali (ed antisociali) del conflitto in atto nel cuore d’Europa cominciasse ad emergere uno sguardo sulla complessità della moderna contemporaneità meno viziato da concezioni eurocentriche, fondate – spesso inconsapevolmente – su una presunta “superiorità” del civile Occidente rispetto alla stragrande maggioranza dell’umanità.
Una attitudine – finalmente – aperta al mondo intero e in particolare a quella “altra metà” che storicamente è stata rapinata, vivisezionata ed umiliata dalla vicenda plurisecolare del capitalismo neo/colonialista; e che ora – con tutte le contraddizioni che un processo del genere incuba – bussa alle porte dell’Ovest!
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