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17/04/2022

Gas, cosa si rischia davvero

Estendere l’embargo al gas russo non vuol dire spegnere l’aria condizionata, ma chiudere impianti industriali e finire in recessione. Lo hanno spiegato i cinque maggiori istituti economici tedeschi – Ifw di Kiel, Ifo di Monaco, Diw di Berlino, Rwi di Essen e Iwh di Halle – presentando la settimana scorsa a Berlino le stime di primavera.

Secondo l’analisi, se la Germania interrompesse ad aprile le importazioni di gas dalla Russia, rinuncerebbe a 220 miliardi nel biennio '22-'23, mettendo a rischio 400mila posti di lavoro. La crescita attesa per quest’anno – già scesa per la guerra al 2,7%, dal 4,8 previsto in autunno – si assottiglierebbe ancora all’1,9%. L’anno prossimo, invece, arriverebbe una “forte recessione”, con un calo del Pil pari al 2,2%: solo due mesi fa, la stima per il 2023 era di +3,1%.

Questi numeri rafforzano la posizione del cancelliere Olaf Scholz, l’unico fra i principali capi di governo che in Europa si è sempre opposto all’embargo totale sul gas russo. Un NO ribadito anche dopo i recenti appelli di Ucraina, Polonia e Paesi baltici a bloccare le importazioni di gas da Mosca per costringere Putin a trattare. Secondo Scholz, una mossa del genere non solo non porterebbe alla pace, ma “provocherebbe danni all'intera Europa, causando una povertà di massa”.

Sulla stessa linea del cancelliere c’è anche Christian Sewing, amministratore delegato della prima banca tedesca, Deutsche Bank, che ha parlato di “terribili ricadute” in caso di stop totale al gas russo.

Certo, si può obiettare che Scholz e Sewing puntano a tutelare l’interesse tedesco prima di quello europeo, essendo la Germania il Paese Ue che importa più gas da Mosca (nel 2021 Berlino ha pagato a Putin circa 14 miliardi di euro, contro i 10 dell’Italia, al secondo posto). È certamente così; eppure, i segnali d’allarme non mancano nemmeno nel resto del Continente.

In un passaggio della sua ultima conferenza stampa, la francese Christine Lagarde, numero uno della Bce, ha sottolineato che, “ovviamente, un boicottaggio del petrolio e del gas dalla Russia avrebbe un impatto significativo” sull’economia dell’Eurozona, e che per questo “bisogna valutare attentamente tutti i rischi in questo campo”.

Ecco perché, finora, è rimasta nel cassetto la risoluzione approvata a inizio aprile dal Parlamento europeo (peraltro con un plebiscito: 513 voti favorevoli, 22 contrari e 19 astenuti) per chiedere “un totale e immediato embargo su gas, petrolio e carbone russi”, oltre all’abbandono “dei gasdotti Nord Stream 1 e 2”.

Le dichiarazioni di principio sono sempre facili, ma quando si tratta di passare all’azione, sacrificando ricchezza nazionale e posti di lavoro, all’improvviso la folla di idealisti si dirada. E c’è da sperare che continui così, anche perché l’Italia, sotto certi aspetti, rischia ancora più della Germania.

Nel nostro Paese circa metà dell’energia elettrica viene prodotta con il gas: una percentuale di gran lunga superiore alla media europea (18%), a quella tedesca (14%) e a quella francese (6%). Significa che, in caso di embargo, a subire il contraccolpo più pesante sarebbe l’industria italiana. E non solo quella dei condizionatori.

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