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16/04/2022

Russia - Gli alpini e quel simbolo “Z” sul ponte di Livenka

Come reagiranno gli antifascisti di Rossoš, nella regione russa di Voronež, o quelli di Livenka, nella regione di Belgorod, quando leggeranno, se non l’hanno già fatto, della vergognosa approvazione, da parte di pressoché tutti gli italici senatori, dai fascisti alla palude di governo, dell’istituzione di una “giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli alpini” a Nikolaevka (a volte scritto, chissà perché, alla maniera tedesca “Nikolajewka”: un lapsus celebrativo di cotante gesta?), come a evocare una nuova impresa imperiale in quella terra russa, un tempo sovietica?

Sarà casuale che si sia arrivati a tale approvazione proprio ora, quando ai patrii senatori sembra forse più facile contrabbandare un’altra “guerra di civiltà”, per missione di “liberazione” di «un popolo aggredito da una dittatura che aggredisce»?

Ora, quando sembra loro più facile mettere il segno di eguaglianza tra esercito russo entrato in Ucraina ed Esercito Rosso sovietico in lotta per la liberazione d’Europa dal nazismo e dal fascismo, entrambi emanazioni di feroci e sanguinarie dittature?

D’altronde, quanto a “paragoni”, ci stanno dando dentro da matti, tutti a parlare di “resistenza” in Ucraina. Tutti loro fingono di ignorare che la categoria della resistenza, come quelle di democrazia, libertà, dittatura, ecc., non hanno carattere eterno, ubiquo, valido e immutabile in ogni epoca e in ogni situazione; e, men che meno, hanno un contenuto a-classista.

Tocca sempre più spesso ricordare che la Resistenza, in Italia, per cacciare l’invasore nazista e metter fine a vent’anni di dittatura mussoliniana, aveva chiari caratteri e obiettivi antifascisti e un netto contenuto di classe, volto a debellare un ceto politico e una classe borghese che il fascismo lo avevano voluto e sostenuto.

Sembra che tutti loro abbiano udito la parola “resistenza” e, inebriati del suono, le abbiano attribuito un significato e un contenuto univoci, validi in eterno, adattabili a ogni situazione e intercambiabili in base alle esigenze politiche di chi, al momento, ne fa uso.

O si deve credere che quei signori, parlando di resistenza, intendano quella delle brigate nere e dei franchi tiratori repubblichini, che “resistevano” alla liberazione dell’Italia da parte dei partigiani; o forse quella dei volontari nazisti francesi, danesi, ungheresi, norvegesi, inquadrati nelle Waffen SS che “resistevano”, nel cuore di Berlino, alla definitiva vittoria dell’Esercito Rosso?

E dunque: come reagiranno al voto dell’italico Senato gli antifascisti di Rossoš, dove nel 2003, presente una folta delegazione dell’Associazione degli alpini, venne inaugurato un monumento, finanziato dall’Associazione, che quasi da subito sollevò le proteste dei comunisti e degli antifascisti locali?

Più attivamente, dal 2013 la questione era stata sollevata a tal punto, che le autorità locali, qualche anno più tardi, a difesa della scelta di consentire al monumento, avevano scritto una lettera lacrimevole addirittura a Vladimir Putin, in cui si professavano sinceri antifascisti.

Nel 1993, anno in cui veniva siglato il gemellaggio tra Rossoš e Conegliano, l’Associazione finanziava ancora la realizzazione di un giardino d’infanzia, costruito, tra l’altro, nell’area in cui, durante l’occupazione italiana nel 1942-’43, era dislocato il comando locale degli alpini.

Così come non pare casuale oggi il voto del Senato nostrano, così allora non appariva casuale che tutta la vicenda avesse preso corpo dopo il 1991: anno della “resistenza” russa al socialismo in URSS.

E, alla maniera di Rossoš, e forse anche di più, cosa diranno gli antifascisti di Livenka, nella regione di Belgorod, in cui nel 2018 l’Associazione alpini ha costruito un ponte in acciaio a ricordo di quella battaglia che la “Repubblica italiana nata dalla Resistenza” si accinge a celebrare ogni anno, a partire dal prossimo 26 gennaio?

Da quelle parti, in un rione della città di Livenka (l’ex Nikolaevka è oggi parte della città) già dal 2019 si sbeffeggiava la locale amministrazione, che non era riuscita a mettere insieme sei milioni di rubli per ripristinare un ponticello danneggiato dalla piena del torrente sottostante e che però aveva prontamente stanziato quasi dieci volte tanto per il restauro della locale basilica.

L’Associazione alpini aveva prontamente risposto alla “richiesta d’aiuto”, realizzando il ponte in Italia (trasportato fin là smontato e quindi montato sul posto) di 12 metri di lunghezza per 6 di larghezza.

Dopo le inaugurazioni ufficiali, e quasi a presagire il proseguo della storia, come la conosciamo oggi, dopo il voto del Senato, già in occasione della successiva festa della Vittoria, il 9 maggio, sia il monumento a Rossoš, sia il ponte a Livenka, avevano ricevuto le dovute “inaugurazioni popolari” in brillante vernice rossa.

Tre anni fa, comunque, la protesta degli antifascisti era indirizzata quasi esclusivamente contro le autorità locali, tanto che sul monumento a Rossoš era stato apposto un cartello con la scritta “Monumento agli occupanti o ai traditori?”.

Nel luglio 2019, su Nezavismoe voennoe obozrenie (Rassegna militare indipendente) Anatolij Isaenko ricordava che, già a fine 2018, la Literaturnaja gazeta aveva constatato amaramente che «Il monumento all’occupante ignoto fa tuttavia ancora bella mostra di sé a Rossoš», mentre il senatore russo Aleksej Puškov invitava gli amministratori ad ascoltare le proteste degli abitanti e trovare una soluzione... anche ambigua, che ricalcasse in qualche modo la famosa ἀμϕιβολία greca – “togliere impossibile lasciare” – la cui interpretazione è lasciata alla variabile posizione della virgola.

E infatti, la locale procura stabiliva poi che non ci fossero elementi per togliere il monumento, dato che non c’erano simboli nazisti e si poteva dunque lasciare.

Formalmente vero, scriveva Isaenko. Ma, sul labaro degli alpini, sono apposte 216 medaglie, di cui 86 per azioni sul fronte sovietico-germanico e sugli emblemi araldici degli 8 reggimenti alpini che presero parte alla campagna di Russia nel 1941-1943, viene raffigurato quello che oggi è il tridente ucraino. Guarda un po’...

E poi, elemento non formale, soprattutto per chi l’occupazione l’aveva vissuta, sulla targa affissa sulle strutture del ponte la dicitura in due lingue recava una differenza sostanziale: nella versione russa il ponte è dedicato “ai soldati russi e italiani morti”; in quella italiana, «prima al soldato italiano, e solo dopo al soldato russo (sovietico)».

Ancora nel giugno di due anni fa, Vladimir Malyšev, sulla rivista letteraria della marina militare Morpolit, chiedeva retoricamente chi avesse «inaugurato un monumento ai fascisti in Russia», a proposito di quello a Rossoš; e riportava estratti dai rapporti sull’occupazione, con gli “Elenchi delle persone fucilate dai fascisti nel periodo della ritirata”.

Tra questi, almeno dodici civili del piccolo villaggio di Ol’khovatka: una famiglia intera. C’erano agli atti anche le atrocità: alla giovanissima Anna Savčenko avevano asportato il seno e bruciato i capelli; alla piccola (due anni) Alaksandra avevano rotto braccia e gambe, sbattuto la testa, prima di spararle; infine, avevano dato fuoco ai cadaveri della famiglia Savčenko.

Il crimine, scriveva Malyšev, fu «compiuto su ordine del comando del corpo italiano degli alpini, che aveva invaso il nostro paese su ordine di Mussolini». Negli stessi Rapporti, era scritto «che le scellerate esecuzioni di civili sono state eseguite per conto del reparto di gendarmeria degli alpini»; si citavano i nomi degli ufficiali del presidio, dello Stato maggiore, ecc., e Malyšev chiedeva, retoricamente: «Questi criminali di guerra sono stati puniti? No, per quanto si sa, non è stato fatto».

E ancora: «Nel villaggio di Belij Kolodets, distretto di Bogučarskij, regione di Voronež, dopo la battaglia del 15 dicembre 1942, una quindicina di soldati dell’Esercito Rosso, feriti, vennero catturati, gettati dietro in un recinto con filo spinato, senza riparo, sulla neve, dopo aver tolto loro i valenki», gli stivali di feltro che riparavano dal gelo.

«Il 17 dicembre, i prigionieri vennero portati fuori della recinzione e picchiati con bastoni e calci dei fucili, per poi esser fucilati. Gli italiani, avvertendo l’avvicinarsi dell’Esercito Rosso, avevano fretta di disfarsi dei prigionieri. Dopo la fucilazione, quelli che mostravano ancora segni di vita furono uccisi dai fascisti con il calcio dei fucili».

È un bene, scriveva Malyšev, che Rossoš abbia stabilito rapporti di gemellaggio con una città italiana; ma «questo significa forse che dobbiamo dimenticare i mostruosi crimini dei fascisti? E non è affatto il caso di dire che i tedeschi si tuffarono nel sangue sino alla gola, gli ungheresi fino al petto e gli italiani solo fino alle ginocchia: è impossibile dire questo»: furono tutti intrisi di sangue.

Così che il monumento a Rossoš può essere «a ragione definito il monumento al fascista ignoto»; ma non risulta che ci sia «un monumento ai 12 abitanti del piccolo villaggio russo di Ol’khovatka, brutalmente assassinati per ordine dei comandanti italiani, che oggi in Italia sono considerati “eroi”».

No, non esiste un tale memoriale. Coloro che riscrivono la storia, oggi vogliono dimenticare i crimini dei fascisti in Russia.

Da queste parti, sembra addirittura che vogliano esaltarli.

P.S.: forse in molti avevano letto le esclamazioni di orrore e di scandalo vergate sugli italici media, allorché, dopo il 24 febbraio, su quel piccolo ponte di Livenka era apparso il simbolo Z. Col voto del Senato si è forse voluto riparare a all’indicibile onta, o rilanciare il rinascente imperialismo italico?

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