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17/05/2022

Italia - Triplice shock

di Guido Salerno Aletta

Dobbiamo imparare dalle lezioni del passato: quella che si approssima sarà una crisi particolarmente complessa, perché si dovrà affrontare un triplice shock, sistemico, da costi delle importazioni in aumento e di restrizione monetaria. Una situazione più grave e complessa di quelle già vissute nel '73 e poi nel '80.

L'Italia di oggi sembra divisa in tre. C'è intanto chi tace e aspetta fiducioso: è la componente rappresentata dalle grandi e medie imprese legate ai fondi pubblici che verranno erogati con il PNRR, una goduria per pochi. C'è poi il mondo che gira attorno all'edilizia, che marcia a pieno regime con i vari bonus, dando occupazione soprattutto al sud e nei piccoli centri, con lavori di recupero energetico, strutturale ed estetico che colmano nel breve termine il collasso terrificante che ha colpito il settore immobiliare a partire dal 2008.

Mentre le prime due componenti confidano nelle spese pubbliche già decise, c'è la terza, che è la vera spina dorsale del sistema economico, che sta soffrendo in silenzio. Nessuno se ne fa carico: ma il futuro dell'Italia dipende dalla piccola e media impresa, dall'agricoltura all'industria, dal commercio al comparto tecnologico, dalle imprese che comprano da tutto il mondo e che rivendono. Soprattutto il futuro industriale dell'Italia dipende dal recupero delle grandi imprese nel comparto tecnologico: è straordinariamente miope l'uso dei fondi PNRR per la trasformazione energetica e digitale, visto che, in mancanza di limiti agli acquisti dall'estero, il maggior valore aggiunto nazionale sarà nullo. Questo sperpero di risorse pubbliche peserà drammaticamente sulla bilancia tecnologica e soprattutto sulla nostra competitività futura: da qui si capisce quale sia e sarà il grado di sudditanza alle multinazionali straniere. Bisogna imparare dalle lezioni della storia, perché l'Italia ha già subito due pesanti shock energetici, nel '73 e poi nel '80. Anche in quei casi cambiava il contesto geopolitico, mutavano i rapporti tra Europa ed Usa, si assisteva ad una diversa distribuzione internazionale del lavoro.

Nel '73, ci fu una modificazione strutturale dei rapporti di scambio tra materie prime energetiche, il costo del petrolio, e manufatti, con il venir meno della maggiore competitività acquisita dalla manifattura europea rispetto a quella americana. I petrodollari, il maggior incasso dei paesi arabi derivante dagli aumenti del prezzo del barile, andavano a finanziare il deficit commerciale statunitense.

I maggiori costi energetici per il sistema produttivo italiano basato sulla manifattura, comportarono una serie di profonde trasformazioni nei singoli settori avviate solo nel 1977, con la legge n. 675. Si elaborarono i Piani di settore per la ristrutturazione industriale e la riconversione di settore: auto, chimica, siderurgia, trasporti furono messi sotto scrutinio per affrontare le nuove sfide. La Fiat Uno, ad esempio, fu uno dei risultati della ricerca applicata nel settore: un successo eccezionale, in termini di modernità e di consumi, per la prima auto media che viaggiava per venti chilometri con un litro di benzina.

La crisi del '73, che fu profonda ma breve dal punto di vista macroeconomico, non ebbe implicazioni sostanziali dal punto di vista della politica monetaria: i tassi di interesse rimasero negativi in termini reali, aiutando il sistema produttivo a recuperare margini. Il recupero di efficienza energetica, i maggiori investimenti industriali volti a recuperare produttività e l'abbandono di talune produzioni particolarmente energivore consentirono la ripresa del ciclo economico.

Nel '80, l'esperienza fu assai più traumatica: anche allora l'aumento del prezzo del petrolio, derivante dalla posizione dell'Iraq che dette paradossalmente fiato economico alla Russia sovietica che aveva iniziato l'invasione dell'Afghanistan, si inquadrava in un assetto americano ancora una volta molto complesso. Quello della stagflazione strutturale, la stagione della alta inflazione accompagnata da crescita reale nulla che era iniziata nel '71 con la svalutazione del dollaro e l'imposizione di dazi su tutte le merci importate.

Ci fu un duplice shock: da una parte l'aumento del prezzo del petrolio e dall'altro il rovesciamento della politica monetaria americana, con un aumento vertiginoso dei tassi di interesse.

In Italia, le conseguenze della crisi del '80 furono devastanti: a differenza del '73, il governo di pentapartito tenne ancora una politica fiscale piuttosto accomodante, mentre aumentavano i costi di importazione dei prodotti energetici. Una duplice componente inflazionistica, interna ed esterna, portò alla perdita di controllo degli aggregati monetari. L'aumento dei tassi di interesse a breve sul debito pubblico, in termini reali e non solo nominali ad imitazione della politica americana, fece schizzare verso l'alto il rapporto debito pubblico/PIL, fino ad allora tenuto a bada dai bassi tassi di interesse. Gli alti tassi di interesse, ribaltati sul settore privato, squassarono i conti delle imprese, indebitate con progetti di investimento a lungo termine. Gli investimenti infrastrutturali della Cassa del Mezzogiorno furono bloccati per sempre e così lo sviluppo.

Fu una catastrofe: debito pubblico alle stelle e fallimenti industriali. La desertificazione della grande industria americana ebbe in Italia la sua copia carbone.

Nel 2022 ci troviamo di fronte ad un triplice shock: dal punto di vista sistemico, era già stata prevista una transizione energetica orientata alla decarbonizzazione della produzione entro metà secolo, che già imponeva una serie di costi aggiuntivi al sistema economico.

Alla già ipotizzata leva dei prezzi energetici su base fiscale, volta ad incentivare la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, si è sostituita quella del mercato: questo è il secondo shock. Le risorse energetiche fossili costano più care per le imprese e per i consumatori finali, ma il loro maggior costo non viene incamerato dalle finanze pubbliche per essere speso in modo da finanziare la transizione. C'è un enorme buco di finanziamento della transizione energetica, insieme ad un fabbisogno di sostentamento per evitare il fallimento di imprese ed il collasso delle famiglie.

Accanto all'aumento dei prezzi dell'energia, che comporta una inflazione da costi all'importazione, c'è il terzo shock, quello di una politica monetaria restrittiva da parte della Fed ed in misura temporaneamente attendista da parte della Bce. Ciò comporta comunque un maggior costo del finanziamento dei debiti pubblici ed una perdita sul valore degli asset investiti. La svalutazione dell'euro rispetto al dollaro, pari al 20% in un anno, aggrava la situazione.

C'è chi pensa ad un Energy Fund europeo, per fronteggiare i maggiori costi e mettere sotto il tappeto i problemi.

Dobbiamo pensare al futuro, delineare il contesto della divisione internazionale del lavoro in cui l'Italia dovrà inserirsi.

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