Ormai è chiaro che né l’Ucraina, né la Russia, né gli Stati Uniti hanno intenzione di negoziare. Per la prima vige il principio che per la patria e per la libertà da Mosca ci si fa trucidare e si resiste fino alla distruzione totale della nazione e della popolazione.
La seconda è saldamente in pugno a Putin, che non conosce la parola sconfitta e per quanto riguarda gli Stati Uniti – gestiti dal partito democratico, notoriamente guerrafondaio – hanno tutto da guadagnare dal prolungamento della guerra.
Basta menzionarne i vantaggi economici: si pensi solo ai carichi di metano liquefatto che venderanno a noi europei; senza parlare del trionfo della Nato, creazione loro, che ormai ingloberà anche la pacifista, o meglio ex pacifista, Svezia, la ex diplomatica Finlandia e forse anche la ex neutrale Svizzera.
Gli unici che da questa guerra hanno solo da perdere siamo noi, gli europei. Avete dato un’occhiata alle bollette energetiche o fatto il pieno di benzina, e che dire dei prezzi dei biglietti aerei per le tanto desiderate vacanze estive...?
E poi c’è l’inflazione alimentare, i tassi d’interesse che salgono, la stagflazione dietro l’angolo, più di quattro milioni di ucraini da sistemare, da aiutare. La lista è ben lunga.
Certo l’industria delle armi gongola, ma non è certo un volano per l’economia del vecchio continente. La stragrande maggioranza dei fondi d'investimento non la toccano, come non investono nell’industria del tabacco.
Ma non basta essere tartassati dalle conseguenze negative di una guerra che si poteva e si doveva evitare con la diplomazia, adesso al vecchietto Biden è stato dato un nuovo copione da recitare da chi gestisce il potere in America, e cioè il partito democratico e chi lo dirige, probabilmente la Clinton e il suo seguito. Nel copione c’è scritto di spingere la Nato a entrare nel conflitto.
La scorsa settimana Victoria Nuland, la poco diplomatica e nota guerrafondaia Under Secretary of State for Political Affairs, ha ufficialmente dichiarato che la Nato deve intervenire per salvare gli assediati dell’acciaieria di Mariupol.
Alla Nuland, talmente imperialista da far apparire Dick Cheney come un agnellino, dell’Europa interessa poco. Per lei noi siamo una colonia, esiste solo l’America e il nemico, che al momento si chiama Russia. I nemici si combattono con le guerre per procura: quella in Corea, in Vietnam, in Afghanistan, e adesso in Ucraina.
Un intervento della Nato ci farebbe entrare in guerra. Lo sanno tutti: da Boris Johnson, di nuovo alle corde per le feste durante i lockdown, fino a Ursula von der Leyen che, infilatasi il giubbetto antiproiettile, ha incitato l’Ucraina a combattere fino alla vittoria e ha consegnato a Zelensky il questionario per entrare nell’Ue pur non avendo i requisiti per farne parte (il peggior peccato che un euroburocrate possa commettere).
Lo sa pure Mario Draghi, che per far vedere che esiste manda armi e chiede l’embargo sul petrolio russo.
Tutta questa gente gioca con il fuoco, è bene che i lettori lo sappiano. Tante, troppe guerre sono scoppiate per questo motivo. Pensare che questa guerra finirà con la vittoria di Kiev grazie all’eroismo dei suoi cittadini e alle armi che gli stiamo dando è un’illusione pericolosissima che solo chi non conosce la storia può coltivare.
Siamo insomma nella politica dell’assurdo: mentre sbandieriamo l’importanza della libertà, facciamo affari con i dittatori africani come Al Sisi. Il motivo è punire il super-dittatore Putin.
Così facendo paghiamo il doppio per le nostre bollette, accettiamo che con le nostre tasse si producano armi e contribuiamo al surriscaldamento della Terra (molte centrali a carbone hanno ripreso a funzionare). Ma che bravi, noi sì che siamo liberi e democratici!
Ogni sera giornalisti semi-mummificati intervistano colleghi ed esperti altrettanto fossilizzati che ci ripetono questo mantra: “è la cosa giusta da fare”. Accettiamo che tutto ciò che è russo venga cancellato dal mappamondo, persino gli atleti non possono partecipare agli incontri internazionali. Anche lo sport è entrato in guerra.
Politica e informazione sono a senso unico, proprio come negli anni Trenta in Germania, le voci fuori dal coro vengono stroncate e tacciate di essere a favore di Putin.
Forse la Nuland ha ragione, siamo una colonia degli Usa. Noi europei non ci siamo mai ripresi dal trauma della Seconda guerra mondiale: con i soldi del piano Marshall l’America ci ha chiuso in un recinto dal quale non siamo mai riusciti a uscire.
Tutti i tentativi di rifiutare i valori, i modelli – vedi il neoliberismo – che arrivavano dall’altra sponda dell’Atlantico sono stati inutili. La riprova? Il crollo della sinistra europea. Che fine ha fatto quella svedese? E quella italiana? Per non parlare dei laburisti inglesi.
Dove sono finiti gli intellettuali che difendevano i veri valori della libertà, quelli dell’informazione senza propaganda, della libertà di pensiero, di parola, di opinione? Ma soprattutto la libertà di scegliere la pace?
Unica, miserabile consolazione in questa catastrofe intellettuale è che ai compagni come Giulietto Chiesa o Henning Mankell questa ultima umiliazione è stata risparmiata.
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