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04/05/2022

L’Italia scende diciassette posti nella libertà di stampa. Ma nelle redazioni si parla d’altro

L’Italia è scesa dal 41° al 58° posto nel mondo per la libertà di stampa e se ne aveva nettamente il sentore.

In dieci anni, dal 2012, l’annus horribilis del commissariamento dell’Italia da parte di Draghi-Monti e troika europea, ben 32 testate giornalistiche hanno chiuso i battenti, a causa delle difficoltà del sistema dell’informazione, ma anche della riduzione del sostegno pubblico. Altre 82 sono state costrette a farlo successivamente.

Sarà anche vero che oggi in Italia si vende poco più della metà delle copie di quotidiani che si vendevano 25 anni fa, ma la situazione di concentrazione monopolistica nel mondo dei mass media è stata impressionante.

Così come lo è la paurosa estensione del precariato nel mondo del giornalismo che ha creato un sistema di ricatto su reporter, cronisti, collaboratori o free lance che mina profondamente la libertà di stampa.

Il risultato è che nel 2021 l’Italia è scesa dal 41° al 58° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa curata ogni anno da Reporters Sans Frontiéres.

È sconcertante che gli articoli pubblicati in Italia a commento del rapporto annuale di Rsf parlino quasi esclusivamente della situazione in altri paesi, mentre fanno i finti tonti sulla situazione italiana che, come abbiamo visto, è sensibilmente peggiorata.

I più accollano ancora il problema alle minacce della malavita o dell’estremismo politico (brucia ancora quello slogan “giornalista-terrorista” gridato nelle manifestazioni No Vax), ma è evidente come questo sia un giustificazionismo debole e fuori bersaglio.

Vedere però i servizi dei Tg, i talk show o i primi commenti sui grandi giornali che segnalano nel titolo la precipitazione della libertà di stampa in Italia, ma poi parlare ampiamente solo dei giornalisti in Russia, è decisamente vergognoso. Tra l’altro se la Russia è al 155° posto, la “democratica” Ucraina da armare fino ai denti è al 106° posto, insomma non proprio un campione della libertà di stampa.

Nel mondo ci sono sicuramente paesi dove i giornalisti spariscono in carcere, in Italia invece spariscono dalle redazioni o vengono azzittiti da “querele temerarie” da parte dei potenti. I metodi sono diversi, ma il risultato prodotto è lo stesso.

In realtà anche il Rapporto di Rsf appare un po’ fuorviante. Secondo il rapporto il problema della ridotta libertà di stampa sarebbe “il caos informativo, l’abbondanza di notizie inesatte o fuorvianti, a cui i lettori sono sottoposti ha avuto effetti disastrosi sul mondo dell’informazione”.

Ed ancora: “All’interno delle società democratiche sono cresciute le divisioni interne, dovute all’aumento dei media d’opinione e alla diffusione di circuiti di disinformazione amplificati dal funzionamento dei social network”.

Insomma invece di salutare positivamente il fatto che, fortunatamente, non esista più un monopolio informativo dei media dominanti (gli unici che hanno le risorse e i padroni alle spalle, ndr) perché la comunicazione via social ha allargato la circolazione delle notizie, riduce tutto questo al pericolo della “disinformazione”, coniando la categoria delle fake news dalla quale però vengono sistematicamente assolti i giornali che ne fanno un uso quotidiano e manipolante.

Insomma, le fake news quotidiane dei giornali del gruppo Gedi (La Repubblica, La Stampa, etc.) sarebbero indice di “democrazia”, quelle di altre fonti invece costituirebbero una minaccia.

Lo conferma il fatto che, nonostante ci sia ormai un TG unico dalla Rai a La 7, che ci siano i principali giornali e la stragrande maggioranza del Parlamento schierati a sostegno della guerra della Nato contro la Russia, la maggioranza dell’opinione pubblica in Italia invece è schierata contro la guerra.

E lo è sia perché non si fida più dell’informazione ufficiale o “ufficialista”, sia perché magari ha accesso ad altre fonti di informazioni che avanzano una narrazione diversa sulla guerra.

Infatti le proposte che circolano in ambito europeo – dal Parlamento alla Commissione – sono proprio quelle di restringere gli spazi comunicativi “altri” per facilitare il compito ai media allineati; e tutto questo, ovviamente, in nome della “libertà di stampa”.

È questa ripetuta ipocrisia, così come sulla guerra, che la società reale comincia a ritenere insopportabile e ad agire di conseguenza.

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