Se si alza lo sguardo al di sopra del devastato panorama politico italiano, non è difficile trovare “qualcosa di sinistra”. Ovvero personaggi e temi che rispettano i criteri fondamentali di questa ormai fantasmatica definizione. Vicinanza agli oppressi, riconoscimento dell’autodeterminazione di tutti i popoli e non solo di quelli sottomessi all’imperialismo occidentale, politiche sociali, subordinazione dell’interesse privato a quello collettivo, ecc.
Questa intervista quasi scandalizzata de La Stampa ad Ignacio Lula da Silva, ex presidente del Brasile ed storico leader del PT (partito dei lavoratori) mette in luce un programma che un tempo avremmo definito “socialdemocratico” ma che nell’Italia (e nell’Europa) attuale appare quasi rivoluzionario.
Niente a che vedere con i presunti “democratici” italiani, servi dei servi dei servi dei servi...
Da leggere, insomma, per recuperare un senso delle parole, che non sappiano di prostituzione intellettuale.
Questa intervista quasi scandalizzata de La Stampa ad Ignacio Lula da Silva, ex presidente del Brasile ed storico leader del PT (partito dei lavoratori) mette in luce un programma che un tempo avremmo definito “socialdemocratico” ma che nell’Italia (e nell’Europa) attuale appare quasi rivoluzionario.
Niente a che vedere con i presunti “democratici” italiani, servi dei servi dei servi dei servi...
Da leggere, insomma, per recuperare un senso delle parole, che non sappiano di prostituzione intellettuale.
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Di Luis Inacio Lula da Silva si può dire di tutto, ma non che non abbia dimestichezza con i giornalisti. Si è presentato alla stampa straniera a San Paolo con i numeri degli ultimi sondaggi, che lo danno 15 punti (47% a 32%) davanti a Jair Bolsonaro.
Mancano 40 giorni al primo turno, ma è vietato cantare vittoria perché i sondaggi vanno presi sempre con le pinze e perché il Brasile negli ultimi anni non ha risparmiato colpi di scena.
La sua campagna punta all’amarcord, che i brasiliani ricordino l’epoca dorata dei suoi due governi (2003-2011), quando il Pil cresceva dell’8%, i sussidi sociali erano erogati a decine di milioni di famiglie e non mancava l’impiego. Oggi l’inflazione è da record, sono tornate la fame e la miseria, oltre dieci milioni di disoccupati.
«Non mi spaventa prendere un Paese in queste condizioni, sono più o meno le stesse del 2003. Dobbiamo puntare a generare impiego, investire in opere pubbliche, far girare di nuovo l’economia. Siamo una grande nazione e possiamo fare molto meglio di quanto è stato fatto negli ultimi sei anni».
Le domande spaziano dalla guerra in Ucraina ai rapporti tra America Latina e l’Europa, noi non abbiamo potuto esimerci di chiedere un commento sulle prossime elezioni italiane.
Lei ha diversi amici nel mondo della sinistra italiana, che effetto le fa sapere che in testa ai sondaggi oggi c’è la coalizione di centrodestra e che è possibile che Giorgia Meloni, leader di un partito erede di un movimento post fascista, potrebbe diventare premier?
«Accompagnerò con interesse e affetto le elezioni. Amo il vostro paese, ho grande ammirazione per il movimento sindacale italiano, la mia ex moglie era italiana, lo sono i miei nipoti, abbiamo trenta milioni di discendenti.
Indipendentemente dalle mie simpatie politiche, come Capo di Stato tratterò con estrema serietà le relazioni con il prossimo governo. Se la destra vincerà dovrà lavorare molto bene, altrimenti perderanno le prossime elezioni: l’alternanza al potere è l’essenza della democrazia.
Nessuno, del resto, può considerarsi insostituibile. Il Brasile, questo sì, deve tornare al centro delle relazioni internazionali. Oggi siamo diventati un paria del mondo, Bolsonaro non ha visitato nessun paese e nessun leader internazionale è venuto da lui.
Noi eravamo trattati con rispetto dal G8 e dal G20, in Europa, negli Stati Uniti, in Africa o in Asia. Così sarà nei prossimi anni e questo vale anche perl’Italia».
Se lei vince i sette maggior paesi del Sudamerica saranno guidati dalla sinistra, questo può aiutare l’integrazione regionale e contribuire a risolvere l’empasse politica in Venezuela?
«lo voglio per il Venezuela la stessa cosa che desidero per il Brasile; elezioni libere e un risultato riconosciuto da tutti. Non sono stato d’accordo quando la Ue ha riconosciuto come presidente Juan Guaidò, per me è un impostore. Bisogna rispettare l’autodeterminazione dei popoli, nessuno può intromettersi nelle questioni interne di un Paese».
Il presidente Bolsonaro ha minacciato di non riconoscere il risultato delle elezioni in caso di sconfitta. Esiste un rischio per la democrazia brasiliana?
«Bolsonaro è una brutta copia di Trump, ma sono convinto che sarà costretto ad accettare la sconfitta. È inimmaginabile che un Paese che ha lottato tanto per recuperare la propria democrazia possa buttare all’aria tutto per colpa di un leader che racconta sette fake news al giorno, che sfida le istituzioni, che pensa di essere padrone delle Forze Armate ed offende il potere giudiziario.
Vogliamo far prevalere l’amore sull’odio, la solidarietà sulla rabbia e il rancore. Non ho parole per descrivere un uomo che non è stato capace di versare una sola lacrima perle 680 mila vittime brasiliane di Covid, che non ha visitato un bambino rimasto orfano di un genitore.
Niente è importante per lui, tutto sembra un gioco macabro. Abbiamo bisogno di rivitalizzare la nostra democrazia. Bolsonaro recentemente ha detto che solo Dio lo toglierà dalla presidenza; io dico che sarà il popolo, con elezioni libere e democratiche, a farlo».
Il mondo ha saputo del brutale omicidio di Dom Philips e Bruno Pereira in Amazzonia. Cosa fare per evitare che questi delitti a danno di chi difende la foresta si ripetano e come frenare il boom del disboscamento?
«Dobbiamo recuperare gli strumenti pubblici creati per proteggere l’Amazzonia, come l’Ibama (la polizia ambientale brasiliana), che è stato smantellato dall’attuale governo e la polizia federale. Chiederemo la collaborazione dei proprietari delle terre; i sindaci, gli enti pubblici, i privati. Vogliamo creare un ministero peri popoli indigeni.
Non posso promettere che non cadrà più un albero, ma è possibile frenare questo fenomeno se lavoriamo tutti insieme. Noi siamo sovrani sull’Amazzonia, ma non possiamo essere così stupidi dal rifiutare la collaborazione della ricerca scientifica per poter sfruttare le risorse della foresta per l’industria farmaceutica o dei cosmetici senza provocare l’attuale distruzione».
Il mondo guarda alla guerra in Ucraina e alla possibilità di un conflitto tra Cina e Taiwan. Il Brasile è assente, cosa farà se sarà eletto presidente?
«Io spero innanzitutto che questa guerra terminerà prima delle elezioni. Ma se così non sarà, vi assicuro che faremo tutto il possibile per dialogare con tutti per cercare di arrivare ad una pace.
La guerra non ha senso, non ha senso spendere miliardi in armi o missili. Il mondo ha bisogno di investimenti in politiche per l’impiego, contro l’esclusione, per combattere la fame o il cambiamento climatico.
Ma dobbiamo ripensare il ruolo e le regole delle Nazioni Unite, che non riescono a frenare tutti questi conflitti. L’Onu ha avuto la forza di creare lo Stato d’Israele, ma non ha saputo creare lo stato palestinese.
L’attuale Consiglio di sicurezza con il potere di veto alle cinque nazioni vincitrici della Seconda guerra mondiale non ha senso. Perché non includere nazioni come il Brasile, il Messico, l’India, la Germania, il Giappone, l’Egitto o il Sudafrica? Dobbiamo creare la geopolitica del ventunesimo secolo per garantire più pace nel mondo».
In chiusura Lula ha risposto ad una domanda sulla sicurezza in queste elezioni e sul fatto che è costretto ad indossare un giubbotto antiproiettile nei comizi di piazza.
«Io non ho paura, affronto questa campagna come tutte le altre, mi esercito in palestra un’ora tutte le mattine per affrontare questa sfida. Devo prendere tutte le precauzioni del caso, ma sono tranquillo. Non vedo l’ora che arrivi il due ottobre, sono convinto che vinceremo già al primo turno».
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