Una vicenda decisamente allucinante conferma l’aria putrida e la subalternità della politica ufficiale, anche in queste elezioni. Mentre il Copasir corre ad invocare ed acchiappare fantasmi russi, l’unico Stato che a questo punto sembra interferire apertamente sui candidati da eleggere e sugli orientamenti dei partiti appare più Israele che la Russia, e lo fa attraverso un personale politico e giornalistico fortemente compromesso con gli interessi israeliani e il progetto ideologico sionista.
Un giovane candidato del Pd in Basilicata, Raffaele La Regina è stato costretto a rinunciare alla sua candidatura come capolista a causa delle strumentali polemiche scaturite da un post su Facebook di due anni fa, in cui si metteva in discussione la politica israeliana, soprattutto sulla questione di Gerusalemme capitale. La Regina si era dovuto scusare per il post che, a suo avviso, era stato una leggerezza, affermando di non aver mai messo in discussione il diritto dello Stato di Israele a esistere. E il segretario Letta, dopo le scuse, aveva dichiarato “chiusa” la vicenda, ma non è bastato. È stato sufficiente che gli apparati ideologici filoisraeliani continuassero ad abbaiare e il giovane candidato del Pd è stato costretto a farsi da parte.
C’è poi il caso di Rachele Scarpa, altra giovane candidata del Pd nel collegio di Treviso. Il caso, strumentale come sempre, è stato sollevato dal senatore Giovanbattista Fazzolari (FdI) e dal solito on. Andrea Orsini di Forza Italia (un pretoriano degli interessi israeliani in Parlamento, ndr). Sotto i riflettori è finito un post della candidata pubblicato nel 2021 (durante l’ennesima mattanza israeliana su Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania nel mese di maggio, ndr). Citando anche Human Rights Watch, Rachele Scarpa parlava di “regime di apartheid di Israele” e di “atti di guerra e di repressione nei confronti dei civili da parte del governo israeliano”.
Queste parole, ampiamente condivisibili da chiunque abbia un minimo senso della giustizia e della storia, sono state ripescate dai “media killer” della destra innescando reazioni strumentali. “Un’altra aspirante parlamentare del Pd ha scritto gravi post contro Israele: si tratta di Rachele Scarpa. Troppi esponenti del Pd parlano come estremisti islamici: una vergogna”, ha commentato addirittura il leader della Lega Matteo Salvini. Fazzolari ha parlato di “deliranti attacchi”, Orsini di “pesante indizio della mentalità che serpeggia in una parte significativa della sinistra italiana”, definendo “addirittura osceno accostare le parole Israele e apartheid”.
Al coro della destra sionista non poteva mancare Renzi, il quale scrive “Ho visto che uno dei migliori candidati del Pd, capolista in Basilicata, ha fatto un tweet antisemita contro lo Stato d’Israele. Mi rivolgo alla comunità ebraica: vi sembra normale che il Pd candidi uno che mette in dubbio la legittimità dello Stato di Israele?”
La giovane candidata del Pd, diversamente dal suo giovane ex collega della Basilicata, finora non sembra essersi fatta intimidire ed ha risposto argomentando la propria posizione con un post pubblicato su Facebook. Rachele Scarpa scrive: “Il Partito Democratico, di cui faccio parte, sostiene da sempre il processo di pace in Medioriente e io mi riconosco nella posizione espressa dall’Unione Europea e anche dal presidente Biden a favore di una soluzione a due Stati per il conflitto tra Israele e Palestina, quindi senza negare mai il diritto di Israele a esistere in sicurezza e allo stesso tempo quello dei Palestinesi a vivere al di fuori di uno stato di occupazione e con libere elezioni senza ricatti di Hamas”, ha scritto la candidata capolista per il PD a Treviso. “Ben altro discorso – ha aggiunto – è la legittima critica alla politica del governo israeliano, quando in passato in nome del diritto di difesa è arrivato a colpire la popolazione civile, ricevendo critiche da tutto il mondo anche da parte di esponenti del mondo ebraico o da parte di politici preparati su questi temi”. E ha concluso: “La mia militanza politica è iniziata dal viaggio nel campo di sterminio e concentramento di Auschwitz: ritengo una priorità assoluta lottare contro razzismo e antisemitismo. È la politica estera delle destre italiane a essere completamente indifendibile e ad avere come riferimenti ‘campioni della democrazia’ come Bolsonaro, Orbán, Putin e Trump”.
Insomma non proprio il massimo, ma almeno ha tenuto il minimo sindacale sulla questione israelo-palestinese.
La Repubblica ha preso la palla al balzo per tornare alla carica sul tema: “Nel condannare le dichiarazioni di La Regina, che ha volontariamente ritirato la propria candidatura, e Scarpa, il leader del Pd Enrico Letta segue lo stesso solco. Ma una condanna non basta. Simili incidenti dovrebbero spingere i progressisti italiani a una riflessione più profonda sui motivi che li scatenano. Come ha fatto Starmer nel Regno Unito, equiparando l’antisionismo con l’antisemitismo e presentandolo come l’antitesi della tradizione laburista” scrive Enrico Franceschini sul giornale diretto da un ammirato e ammiratore del Mossad.
Ovviamente anche Il Foglio (quello anche di nome e non solo di fatto, ndr) non poteva esimersi dal metterci becco, anche se lo fa in maniera meno sguaiata di altri. Riferendosi al Pd scrive che “mentre le posizioni ufficiali del partito sono sicuramente estranee alla propaganda anti israeliana e antisemita, permane nella militanza un’area di incertezza e di confusione, che riguarda soprattutto (ma non solo) le generazioni più giovani per le quali l’epopea della nascita e dell’autodifesa eroica di Israele è storia antica, mentre la impossibilità di risolvere la questione palestinese parla di più alla loro sensibilità”.
E questa contraddizione l’abbiamo vista tutta proprio a maggio del 2021, quando mentre tutti i leader politici – dal Pd a Fratelli d’Italia, passando per Lega e M5S – correvano a partecipare al Portico D’Ottavia ad una manifestazione di sostegno ad Israele, non pochi iscritti ed elettori del PD, in un impeto di riscatto e dignità, scelsero di stare nelle piazze che manifestavano contro l’ennesima mattanza israeliana verso i palestinesi, quella volta non solo su Gaza ma anche a Gerusalemme, in Cisgiordania e nei Territori occupati nel 1948.
Di fronte a tanta vigliaccheria politica e mediatica l’unico rimedio – che abbiamo praticato, continuiamo a praticare e a suggerire – è quello di tenere il punto e di non arretrare di un millimetro sul diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e la cessazione dell’occupazione coloniale e dell’apartheid israeliani verso i palestinesi. E questo anche nelle scadenze elettorali dove molte parole diventano fuffa o espressioni da temere o di cui vergognarsi o da nascondere.
Al momento l’unica forza politica che ha scritto nero su bianco del suo programma di governo il riconoscimento dello Stato di Palestina è l’Unione Popolare. Tutti gli altri sostengono l’occupazione e l’apartheid israeliani oppure stanno muti sulla questione. Non solo, tutti hanno ribadito la loro totale subalternità al vincolo euroatlantico.
Non è molto ma è tanto in questa fiera di ipocrisie, vigliaccherie e complicità sulla questione palestinese, ma anche sulla libertà di parola e il futuro della politica estera del nostro paese.
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