Gli scricchiolii del sistema crescono di numero e intensità, ma non per questo la speculazione rinuncia a fare il suo gioco. Il che, come vedremo, aumenta gli scricchiolii. Ma questa è la natura del capitale: sfruttare le occasioni dal punto di vista individuale, senza alcuna preoccupazione per la tenuta dell’insieme.
Dal punto di vista bassamente “nazionale” aumentano le preoccupazioni per la possibile offensiva al ribasso sui titoli del debito pubblico italiano. L’occasione sarebbe data dall’imminente fine del governo Draghi, considerato dai “mercati” una garanzia.
Tralasciamo qui le considerazioni già fatte più volte – il PNRR, o Recovery Fund, blocca fino al 2026 ogni velleità programmatica che vada fuori da quel solco, pena disastri finanziari inenarrabili (stando alla propaganda di regime, ovvio...) – e cerchiamo di capire quanto sta accadendo.
Diversi hedge fund (fondi altamente speculativi) avrebbero in questi giorni rastrellato circa 39 miliardi in titoli di stato italiano “in prestito”, il che preparerebbe una massiccia scommessa al ribasso sul valore di quei titoli.
Tecnicamente è lo strumento delle “vendite allo scoperto”. Ci si fa prestare dei titoli o delle azioni che non si possiedono e le si rivende in grandi quantitativi provocando una caduta piuttosto violenta del prezzo. Raggiunto l’obiettivo, le si restituisce ai proprietari e si incassa la differenza tra quello che le si sarebbe dovuto pagare e il prezzo raggiunto effettivamente sul mercato.
In pratica: prendo in prestito un pacchetto di titoli che ha come prezzo 100, lo rivendo in più tranche a 99, 98, ecc. fino a 85-90, e poi lo restituisco. Tutto quello che ho venduto ad un prezzo superiore mi resta in tasca. Il vero proprietario ha sì, un titolo svalutato, ma può contare su una sicura risalita dei valori a fine speculazione.
L’unico che paga è lo Stato che ha emesso il titolo, costretto a erogare cedole o rendimenti superiori al preventivato. E questo aumenta il debito pubblico di quello Stato (l’Italia, nel caso in questione), ovvero l’unica cosa che abbiamo effettivamente “in comune” come popolazione, costringendolo a politiche di “austerità” per non aggravare il rischio finanziario.
I 39 miliardi accantonati per questo eventuale attacco sono tanti, ma non sono un record. Dunque vien da pensare che “qualcuno” stia saggiando le difese (ovvero se la Bce interviene oppure no, comprando titoli di stato italiani) e aumentando di fatto il potere decisionale della banca centrale europea sulle politiche di bilancio di questo paese.
En passant, il gioco serve anche a ricordare ai ridicoli “leader” impegnati nella campagna elettorale che, qualsiasi cosa promettano, ci sono molti vincoli esterni – sanciti da trattati – pronti a scattare in caso di “variazione non consentita” dall’”agenda Draghi”.
Giorgia Meloni ha capito subito l’antifona: “Sono molto cauta... Nessuna persona responsabile, prima di avere un quadro completo delle risorse che possono essere investite, può immaginare di rovinare le finanze del Paese”.
E per maggiore sicurezza: “Vogliamo un diverso atteggiamento italiano sulla scena internazionale, ad esempio nei confronti della Commissione Europea. Questo non significa che vogliamo distruggere l’Europa, che vogliamo lasciare l’Europa, che vogliamo fare cose pazze”.
Insomma, il “pericolo sovranista” che dovrebbe rappresentare è certamente sovradimensionato (dal misero Enrico Letta e da Repubblica) e anche i post fascisti vengono serenamente arruolati nel campo euro-atlantico. Del resto, se si sono già santificati quelli del battaglione Azov, perché mai “i mercati” dovrebbero preoccuparsi di nostalgici assai meno pericolosi?
Anche perché, a ben guardare i dati dello Standard&Poor Market Intelligence, le “munizioni” accumulate da quegli hedge fund sono molto più numerose nei confronti della Francia (81 miliardi) e soprattutto della Germania (98 miliardi, dopo un picco a 121).
Al dunque, come si vede, è tutta l’Unione Europea a rappresentare un boccone succulento per la speculazione al ribasso. Ma in questa debolezza non conta troppo il debito pubblico (la Germania sta al di sotto del 60% previsto da Maastricht). Conta il prezzo del gas e dell’energia in genere.
Il tallone d’Achille delle ambizioni europoidi sta insomma nella dipendenza energetica, per mancanza di materie prime. Non nel rispetto o meno di “regole” inventate a tavolino ai tempi in cui era considerato “normale” fare profitti solo speculando sul piano finanziario.
“Le cose reali”, i beni fisici, riprendono il posto che hanno sempre avuto nella storia dell’umanità: quello centrale.
Ed è solo a questo punto – sarà un caso? – che quel banchiere issato all’Eliseo ha potuto scoprire che “stiamo vivendo un punto di svolta o un grande sconvolgimento. In primo luogo perché stiamo vivendo la fine, o quella che potrebbe essere la fine, dell’abbondanza”.
Per l’Occidente e in primo luogo l’Unione Europea...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento