Bisogna prendere atto che il degrado politico di questo Paese è arrivato al di là di ogni possibile marcia indietro. Un degrado che elimina anche la sola apparenza della “democrazia parlamentare” (borghese, certo) e anticipa forme più o meno esplicite di regime, senza più garanzie costituzionali, ad ogni livello.
Avevamo scritto che questa è “la campagna elettorale più finta che sia mai esistita” e immediatamente i protagonisti – o i fatti – si sono incaricati di portare le prove.
In queste ore impazza l’indignazione delle cordate politiche centriste – tutte – per il faccia-a-faccia tra Enrico Letta e Giorgia Meloni previsto a poche ore dal voto, la sera del 22 settembre, nel solito studio televisivo gestito dal primo officiante del regime, Bruno Vespa, quello che ha sempre rivendicato di obbedire all’”azionista di maggioranza” (ossia dalle forze più importanti del governo).
Pur facendo la tara alle lamentazioni dei molti indegni che popolano la scena politica alla caccia di una poltrona, appare evidente che la scelta di contrapporre i soli Letta (Pd) e Meloni (i postifascisti di Fdi) è conseguente al tentativo di ridurre la dialettica politica a due soli soggetti, relegando tutti gli altri sullo sfondo.
Una riedizione aggiornata del “bipolarismo obbligato”, anche se palesemente il Paese genera una pletora di posizioni che però raramente corrispondono ad interessi sociali diversi. Quando ciò avviene – come nel caso di Unione Popolare – la conventio ad excludendum è ancora più drastica.
Un tentativo francamente ridicolo – vista la qualità e il posizionamento degli “esclusi”: Renzi, Calenda, Lupi, Salvini, Berlusconi, ecc., praticamente indistinguibili l’uno dall’altro – ma evidentemente vissuto come una necessità vitale del sistema politico-mediatico.
Il bisogno è quello di “polarizzare” una campagna politica tra complici, disegnando uno scenario inesistente nei fatti: quello di una lotta per la vita e la morte tra un immaginario “campo democratico” e un fantasmatico “campo sovranista” che da tempo si sgola in proclami di fedeltà alla Nato e all’Unione Europa (nell’ordine).
A spazzar via questa pretesa basta da sola la constatazione che il “campo democratico” è tra i principali sponsor dei nazisti ucraini del battaglione Azov, da mesi consegnati al lifting orchestrato dai principali media di regime (l’accoppiata Corriere-Repubblica è in piena produzione quotidiana...).
E l’unica distinzione possibile tra i due “campi” si riduce ad un’altra constatazione: qualche nazistucolo che si aggira nella galassia dell’ultradestra (che “non butta via mai niente”, tra i propri membri) può finire tra i mercenari stranieri al fronte in Ucraina. Mentre sicuramente ciò non accade tra gli attori del “campo democratico”, fedeli alla linea Nato secondo cui questa guerra “va combattuta fino all’ultimo ucraino”. Per procura, insomma, non in prima persona...
Ma la “collocazione internazionale” dei singoli candidati assume una centralità in genere incomprensibile, in una campagna elettorale caratterizzata più di sempre da mirabolanti “promesse” che si sa impossibili da realizzare (basta l’ennesimo avvertimento del Commissario all’economia Gentiloni, sul PNRR “immodificabile” qualsiasi sia la futura maggioranza di governo).
Ed è ancora una volta il sedicente “campo democratico” a esibire il più feroce integralismo euro-atlantico, silurando in un attimo la “giovane promessa” La Regina per un post di blanda critica all’espansionismo israeliano. La stessa accusa pende ora sul capo di un’altra “giovane” Rachele Scarpa, buttata nella mischia nel tentativo – evidentemente non troppo meditato – di cancellare l’immagine del Pd come comitato dei peggiori affari.
Compito impossibile, assistendo (e ascoltando) alla rissa tra boss di periferia proiettati ai vertici del Pd romano, come Albino Ruberti (ora ex capo di gabinetto del sindaco Gualtieri) e i fratelli De Angelis (Francesco è il boss del partito in provincia e guida il consorzio industriale del Lazio, Wladimiro è potente assicuratore di zona con Unipol).
Quel “davanti a me te devi inginocchià, se no te sparo” fa venire nostalgia per lo stile assai più sobrio degli “a Frà, che te serve” con cui Gaetano Caltagirone (allora potente palazzinaro romano) accoglieva le visite di Franco Sbardella, factotum locale di Giulio Andreotti. Ma anche i gangster non sono più quelli di una volta...
Un solo avviso finale: questa banda è anche quella che chiede il “voto utile per fermare la destra”. Vedete un po’ voi se è credibile...
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