La destra e le paure dell’establishment.
Scrive su Domani Stefano Feltri: “Se oggi Giorgia Meloni può ambire ad andare a palazzo Chigi è anche grazie al cinismo dell’establishment italiano che ha deciso di legittimarla”.
Manco a farlo a posta, contemporaneamente, Angelo Panebianco scrive sul Corriere: “C’è sempre, nelle elezioni italiane, un ‘sovraccarico etico’ dato che, secondo le minoranze politicizzate, a scontrarsi sono il Bene e il Male. Per la minoranza di destra la parte del Paese che vota per la sinistra è dominata dai comunisti, per la minoranza di sinistra l’altra parte è in mano ai fascisti”.
Tralasciando il cerchiobottismo, che è il massimo della moderazione raggiungibile dagli argomenti di Panebianco, pasdaran dell’establishment, la bocca buona della borghesia italiana su certe disgustose formazioni politiche non è una novità.
Pensiamo al partito di Berlusconi e come in questo ultimo quarto secolo la borghesia italiana abbia sorvolato su tutto, pur di avere a disposizione qualcuno cui affidare i propri privilegi.
O alla Lega, che da Bossi è diventata di proprietà di Salvini e delle sue sconcezze politiche sulla legalità, la sicurezza, i diritti umani e la politica estera.
Per arrivare a Meloni, cui potrebbe essere affidato il ruolo di garante dell’autoritarismo necessario a comprimere le tensioni sociali, inevitabili a fronte del previsto “maremoto” sociale che si preannuncia per via dell’intreccio tra crisi energetica, crisi ambientale e inflazione, con l’aggravio, per i redditi bassi, dell’aumento del costo del denaro.
Si palesa una situazione simile a quella che per decenni fu la missione del MSI, cioè essere lo spauracchio contro l’avanzata delle rivendicazioni operaie e popolari, del protagonismo dei diritti delle donne, dei giovani, della difesa dello Stato sociale, oltre che rifugio di generali felloni e golpisti, ed essere nei fatti il bacino militante dei responsabili delle stragi, anche quelle di mafia, dei tentativi di colpo di stato, della cospirazione antidemocratica ordita dalla P2.
Perché questo è stato il neofascismo italiano, file da cui Meloni e i suoi “fratelli” provengono: è da questo che non hanno mai preso le distanze, questo è il vero problema politico, questa è la vera fiamma che arde nella loro storia, non certe pagliacciate nostalgiche, più patetiche che disgustose.
Il “cinismo dell’establishment” – come lo chiama il direttore di Domani – è figlio di quella lunga stagione. La borghesia italiana, quella grande e quella piccola, i ceti ricchi e medi temono con tutto il sistema nervoso del lobbismo, delle caste, delle oligarchie, del familismo che prima o poi esploda la rivolta.
E che redistribuzione della ricchezza, attraverso investimenti nel welfare pubblico, – cioè Istruzione, Sanità e Previdenza – adeguamenti salariali al pari dei paesi del G7, pieno riconoscimento dei diritti delle donne, degli omosessuali, degli immigrati siano provvedimenti inevitabili.
Per la salvaguardia del nostro sistema politico, della coesione sociale, della stessa produzione delle merci, della loro distribuzione interna ed esportazione e dell’ambiente sarà necessario intervenire con una decisa “agenda sociale”.
Tutto questo fa paura. A ben vedere è proprio questo che la destra sta sfacciatamente dicendo in campagna elettorale, cioè “se non votate per noi certi privilegi rischiano grosso”.
Ed è proprio su questo che si misura, al contrario, la timida cautela delle proposte sociali del centrosinistra, cui fa da sponda la goffaggine politica del M5s.
Invece che puntare a mobilitare la coscienza e gli interessi materiali della stragrande maggioranza degli elettori con una piattaforma, che attivi il loro protagonismo nella lotta politica, per un concreto miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, hanno paura di spaventare l’establishment italiano, che invece sembra pronto a puntare decisamente a destra.
Per mantenere rendite (esentasse) di posizione, per mettere la mani sui vantaggi del PNRR, sono disposti a tutto.
Tanto da pensare possibile affidarsi a una nuova missione missina.
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