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23/08/2022

Guns N' Roses - 1987 - Appetite For Destruction

Nel lungo cammino del rock, non sono poche le band che si sono imposte nel tempo grazie a una brillante carriera disseminata di ottimi album. L’esempio dei Guns N’ Roses rappresenta invece l’esatto opposto: il loro fu un debut fulmineo, devastante, universalmente riconosciuto come un esordio tra i più folgoranti nella recente storia della musica. Una botta di pura adrenalina mai più replicata, nonostante il discreto potenziale costituito dall’ammiccante doppietta “Use Your Illusion I” e “Use Your Illusion II”.

“Appetite For Destruction” esce nel luglio del 1987, ma il suo impatto cresce a dismisura con il trascorrere dei mesi, soprattutto quando in tv o alla radio atterrano a rotazione i singoli più avvincenti e celebrati (“Welcome To The Jungle”, “Sweet Child O’Mine” e “Paradise City”). Passano due anni, il decennio è ormai giunto al capolinea, però si parla ancora tanto di questo lavoro, così come infuria il gossip sui vari membri del gruppo (agli albori dei 90s, l’hype è ancora alle stelle, ma con l’inizio delle registrazioni dei nuovi pezzi e il conseguente licenziamento del batterista Steven Adler, qualcosa comincia a scricchiolare in seno alla band).

Fin dalla controversa e censurata copertina (l’immagine fu praticamente rubata da un dipinto di Robert Williams), è possibile cogliere l’anima sovversiva di questo lavoro: uno spirito ribelle che affonda le sue unghie all’interno di una scena street-sleaze-glam rock mai così viva e prolifica in terra californiana; pensiamo all’attività parallela degli sporchi cugini L.A. Guns, oppure ad altri nomi non meno importanti del giro, come i deliziosi Faster Pussycat, i più morbidi Warrant o i veterani Mötley Crüe, tutti provenienti da Los Angeles. Tuttavia, Axl Rose e soci potevano contare su un background musicale ancora più ampio, un filo invisibile capace di coniugare la passione per il blues di Slash alle più disparate influenze provenienti dai 70s (i New York Dolls, il garage rock, l’ondata punk) o dai primi anni ottanta (si parla sempre troppo poco dell’importanza degli Hanoi Rocks di Michael Monroe).

“Appetite For Destruction” è dunque il risultato di cinque individualità ben distinte, pure in sede di composizione e di registrazione (era raro che Axl e Slash si incontrassero in studio). A tal proposito, anche l’apporto di Duff McKeagan e Izzy Stradlin non fu trascurabile: se il carismatico Duff, ancora prima di entrare nei Guns, aveva già scritto “It’s So Easy” (poi divenuto il singolo di lancio del disco), Izzy lasciò il segno con il nevrotico tribalismo di “Mr. Brownstone”, con la scoppiettante “Think About You” (un pezzo dedicato all’eroina) e poi ancora con altri brani scritti a quattro mani sia con Slash che con Axl (“You’re Crazy”, ad esempio, di cui è possibile ascoltare la versione originaria sulla release semiacustica “G N’ R Lies”).

Pistole e rose, come i due lati del vinile, Side G (guns) e Side R (roses). Sei brani incentrati sugli eccessi e le dissolutezze del gruppo, ma anche sui pericoli delle metropoli americane (“You know where you are? You’re in the jungle, baby! You gonna die!”). Altri sei pezzi, invece, focalizzati maggiormente sul sesso e sull’amore, su dei sentimenti comunque affogati nel whisky: rapporti tossici e malsani che tanto profumavano di dannazione. Ecco quindi “My Michelle”, un frenetico passaggio sleaze’n’roll in cui Axl ci racconta il disagio di una sua amica, oppure la succitata “Sweet Child O’Mine” - una ballata elettrica entrata nella storia dalla porta principale - dove lo stesso Axl si cimenta in una sorta di lettera d’amore nei confronti della sua futura moglie Erin Everly (matrimonio poi conclusosi nel giro di un mese!)
Questo cuore che batte è destinato a infrangersi contro le distrazioni del successo, della droga e del caos: si respira un’atmosfera da lenta nonché inesorabile autodistruzione, nonostante ci sia ancora tanto da divertirsi nelle lunghe e folli notti losangeline (“Anything Goes”). Va tutto bene, almeno per questa volta.

I meriti di “Appetite For Destruction” sono molteplici. Prima dell’avvento del grunge, quel movimento capace di occultare (a livello mediatico e non solo) la brillante stagione dell’hard rock e di alcuni sottogeneri dell’heavy metal, questo disco ha spostato ancora più in alto l’asticella dei tanti sentieri percorsi in precedenza dal rock più duro e stradaiolo. Lo ha fatto in maniera assolutamente personale, bypassando prima di tutto le patinate sfumature dell’hair metal e poi - in secondo luogo - lanciando un messaggio grezzo, diretto e trasgressivo, alla faccia di un decennio dominato dai rigurgiti pop-wave e dall’ascesa definitiva del piccolo schermo per famiglie medio-borghesi. L’American Dream incarnato dalla presidenza Reagan non passava di certo dai brani dei GNR.

Infine, l’uscita di “Appetite For Destruction”, ha permesso ad alcuni nomi storici di potersi reinventare/rilanciare sull’onda di tale successo: il caso degli Aerosmith di “Pump” (altro gruppo a cui i Guns devono moltissimo), di Alice Cooper (il botto commerciale con “Trash”) o degli stessi Mötley Crüe, tornati nel 1989 con l’acclamatissimo “Dr. Feelgood” e ormai accesi rivali di Axl e compagni (in una celebre occasione, dagli insulti si finì direttamente alle mani).

Era davvero un’epoca dorata per tali sonorità, anche se bisogna porre l’album in questione al di là dello spazio e del tempo, non solo per le sue originali prerogative stilistiche. Perché un lampo di tale caratura non può che appartenere all’eternità. A distanza di tanti anni, forse è questo il significato recondito di “Paradise City”, quel luogo bello e dannato (“Where the grass is green and the girls are pretty”) dove torniamo ogniqualvolta la puntina del giradischi penetra nei solchi di “Appetite For Destruction”. I want you please take me home.

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