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04/11/2022

Necessità e ambiguità della manifestazione per la pace del 5 novembre

Sabato pomeriggio migliaia di persone riempiranno le strade di Roma per una manifestazione contro la guerra in corso in Ucraina e per la pace, una manifestazione indubbiamente attesa e necessaria, forse tardiva, ma che necessita di alcune puntualizzazioni sulle sue ripercussioni politiche.

In primo luogo va sottolineato l’intervento a gamba tesa del Presidente della Repubblica Mattarella, proprio alla vigilia della manifestazione, nel quale ha riaffermato “il sostegno senza riserve a Kiev” nella guerra. Dunque la continuità della linea guerrafondaia seguita fin qui dall’Italia dentro la Nato e la Ue. Nessun tentativo, neppure timido, di interloquire con una manifestazione che chiede invece un cambiamento di rotta rispetto a quella seguita ossessivamente fino ad oggi.

Eppure i promotori della manifestazione (soprattutto l’associazionismo cattolico e quello di “sinistra”, insieme a Cgil Cisl Uil) hanno fatto di tutto per rendere la piattaforma della manifestazione estremamente generica e accettabile da tutti: cessate il fuoco, negoziati, stop alla minaccia delle armi nucleari. Anche in questa occasione, come già era avvenuto nella manifestazione di marzo, è stata la Cisl a imporre un più marcato sostegno all’Ucraina che ha provocato moltissime recriminazioni e aperto nuovamente grandissime ambiguità.

I guerrafondai (Meloni e prima ancora Draghi, Quirinale, Pd, Calenda etc.) pretendono il perpetuarsi della posizione italiana nell’ambito dell’ostilità dichiarata alla Russia e rigettano ogni equidistanza come approccio alla posizione che richiede un negoziato tra le parti, dunque Russia e Ucraina, come alternativa alla prosecuzione della guerra.

I promotori della manifestazione hanno cercato di smarcarsi da questa ipoteca fin troppo timidamente, mentre la spinta che viene dalla società appare assai più avanzata di quella espressa dalla politica.

Dalla piattaforma infatti è assente quello stop all’invio di armi all’Ucraina che è precondizione minima di ogni smarcamento dell’Italia dal coinvolgimento attivo nella guerra per procura degli Usa e della Nato in Ucraina. E non è certo un dettaglio, anzi è il fattore decisivo sia perché è la richiesta consolidata e maggioritaria nell’opinione pubblica in Italia, sia perché prevede e consente azioni concrete e conseguenti sul piano politico e parlamentare.

Sta in questo l’ambiguità su cui ha giocato il leader del M5S Giuseppe Conte nel costruire la manifestazione del 5 novembre. È in questa ambiguità che la manifestazione configura una “zona grigia” in cui, paradossalmente, potrebbero trovare accoglienza anche i guerrafondai del PD, cioè i più ossessi sostenitori del coinvolgimento militare dell’Italia nella guerra, dell’invio di armi all’Ucraina e dell'obbedienza alla Nato. Ma in questo caso l’ambiguità diventerebbe una contraddizione irricevibile per molti che saranno in piazza sabato pomeriggio.

Inutile, ovviamente, pretendere dagli organizzatori della manifestazione di sabato qualche messa in discussione della subalternità dell’Italia alla Nato, che pure sta dimostrando materialmente la pericolosità dei suoi vincoli e dei suoi automatismi per il nostro paese e le sue relazioni con il resto del mondo. Eppure proprio nel ridisegno dei rapporti con la gabbia euroatlantica – che noi decliniamo come rottura – è possibile individuare la necessità per l’Italia di avere una politica estera non allineata e quindi più aperta alla cooperazione internazionale in un mondo avviato velocemente verso la multipolarità.

La divaricazione delle posizioni sulla guerra è leggibile anche nella contrapposizione che attraversa il mondo degli intellettuali, diviso dall’appello pubblicato dal giornale cattolico “Avvenire”, firmato tra gli altri da Massimo Cacciari, Franco Cardini e Marcello Veneziani, secondo il quale la minaccia delle armi nucleari impone lo stop alla guerra, non presuppone il ritiro dell’occupante e prevede il riconoscimento delle istanze della Russia in sede di negoziato, compresa l’istituzione di organismi misti russo-ucraini per lo sfruttamento delle risorse dei territori contesi.

Apertamente contrapposto a questo, è stato reso pubblico un altro appello dal sapore guerrafondaio, promosso da Micromega e sottoscritto tra gli altri da Paolo Flores d’Arcais, Dacia Maraini, Maurizio De Giovanni e Erri De Luca, secondo il quale “pace vuol dire il ritiro dell’aggressore entro i suoi confini, ogni altra soluzione sarebbe un premio a chi la pace l’ha violata”.

Ne deriva che dentro la manifestazione per la pace del 5 novembre agiranno posizioni politiche sulla guerra molto diverse tra loro e che faranno bene a palesarsi come tali.

Una divaricazione che viene colta significativamente da “un giornale di riferimento” di molti di quelli che saranno in piazza. La Repubblica infatti sottolinea che: “In tutte le storiche manifestazioni pacifiste ci sono sempre stati due filoni culturali di base: quello nonviolento e quello antimperialista. Non mancano neanche in questa occasione, ma con ulteriori diversificazioni all’interno di ciascuno e con una inquietante domanda: qual è l’imperialismo nel mirino, quello russo o quello americano? Alcune delle forze che manifesteranno addebitano a Usa, Nato e Ucraina la responsabilità principale della prosecuzione del conflitto.

Un esempio minore ma lampante: Unione popolare, il cartello che alle Politiche era guidato dall’ex pm Luigi de Magistris e che comprende Potere al Popolo, Rifondazione Comunista e altre forze minori, ha completamente espunto dall’appello la parte di solidarietà e appoggio al popolo ucraino, sostituendolo con questo passaggio: “Più armi, più distruzioni, più morti non sono la soluzione“
.

L’Unione Popolare sabato sarà in piazza e parteciperà alla manifestazione dando appuntamento alle ore 13 in Piazza Esquilino a chi ha una posizione antiguerra e anti-Nato più definita.

Sabato 5 novembre in piazza per la pace e contro la guerra ci saranno dunque motivazioni assai diversificate. Come spiegato nelle settimane scorse anche sul nostro giornale, è un bene che la gente si opponga al coinvolgimento dell’Italia nella guerra arrivando a tale conclusione anche da strade e con ragionamenti diversi dal nostro, ma va definito nettamente un perimetro politico dentro al quale non può esserci inclusione per chi, con atti materiali in Parlamento, nel governo e nella società, agisce per la prosecuzione della guerra, l’invio delle armi all’Ucraina e il rigetto di ogni negoziato che non sia solo sanzione di vittorie o sconfitte militari.

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