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15/12/2022

MES, un vecchio arnese

di Guido Salerno Aletta

In politica è sempre così: una volta che viene istituito un Ente, quale che sia, è difficile sbarazzarsene: soprattutto nel caso del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, che è progettato per intervenire in caso di crisi finanziarie. Meglio non chiuderlo, semmai dovesse servire. Ora che anche la Corte di Karlsruhe ha dato il via libera al Bundestag tedesco, l'Italia rimane l'ultima a non averlo ancora ratificato.

Chi è rimasto per ultimo, in genere chiude la porta dopo aver spento la luce: con il MES, sarebbe il caso di fare così.

L'abbiamo già visto che cosa è il MES, un FMI in miniatura che non è nemmeno una istituzione dell'Unione Europea, ma dei soli Paesi aderenti all'Euro. Già questo fa un po' sorridere, perché ormai i Trattati sono come le matrioske, le bamboline russe di legno che si chiudono ad uovo le une nelle altre.

La verità è che neppure il FMI, e tanto meno il MES, hanno le risorse finanziarie che sarebbero necessarie per intervenire quando dovesse entrare in crisi un Paese delle dimensioni dell'Italia.

Il capitale teoricamente utilizzabile dal MES, pari a 704,8 miliardi cui corrisponde una capacità di indebitamento sul mercato per altri 500 miliardi, è virtuale: è stata versata solo la prima quota di 125,3 miliardi a cui l'Italia ha contribuito per 15 miliardi.

Praticamente, e dopo anni che è stata chiusa la partita della Grecia, il MES è solo un salvadanaio che gestisce in modo discrezionale i fondi che ha già a disposizione, in attesa di qualche crisi. È una sorta di estintore, da mettere ancora in piena carica, da usare in caso di incendio.

Inutilmente, in occasione della epidemia di COVID, il management del MES ha cercato di trovare una nuova ragione di vita, proponendo un "prestito sanitario" per investimenti nel settore ospedaliero, che nessuno Stato ha accettato.

Ha fatto mille volte di più, immediatamente e senza tante remore la BCE, che ha dato corso al PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program) immettendo in due anni la stratosferica somma di 1850 miliardi di euro, acquistando titoli pubblici a manetta.

Quando ci sono crisi finanziarie sistemiche in una area interconnessa come quella dell'euro, che si propagano da un Paese all'altro come è successo nel biennio 2010-2012, il sistema di intervento di salvataggio per singolo Paese è del tutto inutile.

Il motivo è semplice: sono le stesse banche degli investitori dell'Eurozona che in caso di pericolo ritirano i fondi dai Paesi in difficoltà.

È successo con la Grecia, con la Spagna, con l'Italia: appena c'è una tensione sul mercato, si entra in modalità di protezione e si coinvolgono anche i Paesi non direttamente a rischio, creando un vortice.

Non è un caso che Mario Draghi, a Londra nel luglio del 2012, dovette annunciare che avrebbe fatto "Whatever it takes" per salvare l'euro dalle bordate della speculazione: solo i mezzi teoricamente illimitati di creazione di moneta da parte di una Banca centrale possono spaventare gli speculatori.

E poi sarebbe lo stesso meccanismo del MES ad innescare le crisi: non appena si sapesse sul mercato che un Paese ha chiesto le misure di aiuto, anche quelle precauzionali, si formerebbe subito la coda degli speculatori, che sanno bene di quante risorse dispone e fanno il tiro al piccione.

Basta vedere che cosa è successo con la Grecia, quando hanno obbligato il governo di Atene a dichiarare il default sul debito pubblico ed a rinegoziarlo a condizioni migliori con i detentori, per poi avere gli aiuti. Nel frattempo, sul mercato il valore dei titoli era precipitato anche a 30-35 euro, rispetto al facciale di 100 euro: i piccoli risparmiatori avevano svenduto per paura, ma a comprare i titoli greci a quei prezzi infimi erano stati i fondi speculativi che poi li hanno rivenduti al governo di Atene ad un prezzo assai superiore, guadagnandoci bene.

C'è poi un altro fatto: gli interventi del FMI avvengono quando un Paese è insolvente verso l'estero, e prevedono una svalutazione "a metà strada" della valuta del Paese debitore in modo da rendergli più facile il risanamento. Ma questo sistema è impossibile all'interno dell'Eurozona: come è già successo per la Grecia, un referendum sul mantenimento dell'euro, sarebbe dirompente.

Il MES è stato il tentativo di scimmiottare il FMI, per non dipendere da una istituzione di stabilizzazione monetaria che ha sede a Washington, visto che si interveniva con una "Troika" composta da FMI, BCE e UE.

E poi ci sono già tutti i meccanismi di vigilanza preventivi e successivi previsti dal Fiscal Compact sulle finanze pubbliche e quelli più generali della Commissione Europea sugli squilibri macroeconomici.

La situazione oggi è già particolarmente complessa per via della inflazione, dell'enorme debito pubblico accumulato dagli Stati in due anni di crisi economica determinata dalla epidemia di COVID, del rialzo dei tassi di interesse deciso dalle Banche centrali che non sanno bene neppure loro che cosa fare, viste le incertezze sugli andamenti dei prezzi e delle economie.

"Quieta non movere".

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